Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Laudata sii dal figlio
che, compiuti vent'anni
oggi lascia li inganni
ritorna come giglio.
Oggi il candor riceve
sull'anima perduta
della bianca caduta
in terra prima neve,
se la tua mano fina
sì tenera e sì affranta
recando l'Ostia Santa
verso di lui s'inchina.
Egli che tu ben sai
per motivo nessuno
ai ginocchi d'alcuno
non si prostese mai,
ai tuoi ginocchi indice
l'umilicordia e attende
mentre i labbri protende
all'ostia redentrice.
Oggi, lasciati i gaudi
e i canti del Piacere,
solleva l'incensiere
di tutte le sue laudi.
Laudata per l'amore
- il solo di sua vita -
per sua dolce infinita
pazienza nel dolore.
Eretta sullo stelo
o Rosa adamantina
invitta a la ruina,
invitta a lo sfacelo,
la casa il gran valore
sorregge di sue vene,
come i solchi trattiene
la radice di un fiore.
Più che la laboriosa
femina dell'Ebreo,
Madre di Galileo,
o madre mia dogliosa,
voglio esaltarti: voglio
su le tempie che adoro
recingere l'alloro
del mio protervo orgoglio.
Laudata sii. Il greve
peso dell'esser mio
nel mese che un iddio
nasceva su la neve
tu desti in luce. Forse
venne l'Annunciatore
e il bacio del Signore
anche al tuo labbro porse?
O sogno! Allora anch'io
(il supremo che agogno
sogno è raggiunto. O sogno!)
son figlio d'un iddio?

Ho un biasimo solo dal quale
saprai la mia gioia di vita.
Perché non mi hai fatto immortale?
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Poi che il romano Uccello lo stendardo
    latino impose su l'itale terre
    surgesti minaccioso baluardo.

    Surgesti minaccioso e nelle guerre
    che devastaron la campagna opima
    gran nerbo di guerrieri entro rinserre.

    Allora Duca non v'era non Reïna,
    ma molti feditori e balestrieri
    per il peggio dell'oste e la ruina.

    Rozzo sorgevi allora, ma tra i neri
    fianchi adunavi impavida coorte
    d'uomini armati di coraggio e fieri.

    Da i tuoi muri turriti da la forte
    ossatura dei fianchi da i bastioni
    le bertesche gittavano la morte

    su i signori feudali, su i baroni
    vogliosi di posar la man predace
    su nuove terre e aver nuovi blasoni.

    L'Evo Medio passò, ma non si tace
    per anco il ferro: i Conti San Martino
    nell'antico manier non hanno pace.

    Il Torresan, secondo Attila, insino
    questi colli per ordine di Francia
    porta guerra con suo stuolo ferino.

    Ma il Bassignana sua coorte slancia
    e, mentre fra le braccia di Leonarda
    meretrice quei dorme, ecco l'abbrancia.

    Nel diruto castello fino a tarda
    etade vive Donna Caterina
    sposa esemplare in epoca beffarda.

    E contro il Cardinale che Cristina
    di Francia come sua suddita guarda
    Don Filippo difende la Regina.

    Per alcun tempo qui, quando la tarda
    baronia declinò, ristette l'urna
    che d'Arduino il cenere riguarda.

    Ma invidïosa poi ladra notturna
    viene coi bravi antica Marchesana,
    l'urna si toglie e fugge taciturna.

    O quante larve vivono d'arcana
    vita in miei sogni! Parlano gli abeti
    del grande parco, s'anima la piana

    dei prati illustri. Appare fra i laureti
    bella ospite del Re Carlo Felice
    Maria Luisa da i grandi occhi inquieti

    ed ecco il Re che un'era nuova indice,
    ecco Maria Cristina sua consorte,
    ecco risorta l'epoca felice.

    Così mentre m'aggiro e su le morte
    foglie premo col piede lungo il viale
    mille imagini son da me risorte.

    E tutto tace. Non il sepolcrale
    silenzio rompe il suono delli squilli
    non latrato di veltri. L'autunnale

    luce è silente. Non canto di grilli
    estivo e roco. Solo indefinito
    fievole viene un suono di zampilli.

    È il ferro di cavallo. Quivi ardito
    sul delfino cavalca ancor Nettuno
    di verdi-gialli licheni vestito.

    Le sirene lapidee dal bruno
    manto di musco accennano al ferrigno
    Signor del luogo. E non risponde alcuno.

    Però su l'acque in tempo eguale il Cigno
    muove le palme con ritmo silente
    e volge attorno l'occhio fiero e arcigno.

    Sogna ancor forse Leda nelle intente
    pupille nere lungo la divina
    sponda d'Eurota? Ahimè, la Dea è assente.

    Ma fra i mirti, fra i lauri la Regina
    del luogo appare cavalcante e bionda
    come bianca matrona bizantina.

    Avanza il baio fino su la sponda
    del bacino. Si specchia trepidante
    la signora nell'acqua. E il sol la inonda.

    E l'erme antiche memori di tante
    Iddie pagane del bel mito assente
    la rediviva Diana cavalcante

    guatano immote, misteriosamente.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Dal pavimento di musaico, snelli
      colonnati surgevano a spirale
      s'attorcevano in forma vegetale
      li acanti d'oro sotto i capitelli.

      Quivi posava un vaso - trionfale
      sculptura greca - e ai dì lontani e belli
      di Venere accorrean schiave a drappelli
      per colmarlo di mirra e d'aromale.

      E le turbe obliavano l'orrore
      aspirando l'aulir dell'incensiere
      lenitore d'affanni e di dolore.

      Simile a l'urna Voi amo vedere,
      dolce Signora, che col vostro amore,
      m'offerite la coppa del Piacere.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Mammina diciottenne

        Non mai - dico non mai - così m'infiamma
        il senso d'una vita bella e forte
        come quando apparite nelle corte
        gonnelle d'alpinista, esile damma!

        Non m'irridete! Ché nessuna fiamma
        come costoro che vi fan coorte
        m'invita a seguitar la vostra sorte,
        o Margherita, giovinetta Mamma!

        O Margherita, mamma diciottenne,
        chinatevi sul bimbo vostro e ad ogni
        bacio s'unisca l'oro delle teste.

        Guardandovi così fu che mi venne
        come un rimorso di cattivi sogni
        e un desiderio di parole oneste.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il modello

          Perché non tenteremo la fortuna
          d'un bel sonetto biascicante in ore
          e dove il core rimi con amore
          e dove luna rimi con laguna?

          Pensiero! - E non bellezza inopportuna.
          Sincerità! - Il tema delle "otto ore".
          Amore! - Un tal che si trapassa il core
          per una sarta, al chiaro della luna.

          "Ma che arte, che lima!... Chi s'adopra,
          scrivendo, a farsi intendere con poca
          fatica, sarà valido e sincero... "

          Così farò. Così, lasciata l'opra
          del paiolo e del mestolo, la cuoca
          dirà con te: "Ma qui c'è del pensiero! ".
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            A un demagogo

            Tu dici bene: è tempo che consacri
            ai fratelli la mente che si estolle
            anche il poeta, citaredo folle
            rapido negli antichi simulacri!

            Non più le tempie coronate d'acri
            serti di rose alla Bellezza molle;
            venga all'aperto! Canti tra le folle,
            stenda la mano ai suoi fratelli sacri!

            E tu non mi perdoni se m'indugio,
            poiché di rose non si fanno spade
            per la lotta dei tuoi sogni vermigli.

            Ma un fiore gitterò dal mio rifugio
            sempre a chi soffre e sogna e piange e cade.
            Eccoti un fiore, o tu che mi somigli!
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              La loggia

              Noi ci vedemmo sotto cieli tetri,
              vite di Cipro, al tempo che tu arricci
              pochi rimasti pampini ed arsicci
              sui tralci immiseriti come spetri.

              Ci rivediamo che ricopri i vetri
              di verde folto, allacci di viticci
              e attingi coi tuoi grappoli biondicci
              la loggia, in alto, più di venti metri.

              Chi vede le tue prime foglie vizze,
              o loggia solatia, in Vigna Colta,
              come un'amica dolce ti ricorda.

              Tu fosti che indulgesti alle sue bizze,
              quando Centa vietava la raccolta
              alla piccola mano troppo ingorda.

              II.

              M'è caro, loggia, poi che le tue pigne
              la nuova luna di settembre invaia,
              piluccare i bei chicchi a centinaia
              fra le grandi compagini rossigne.

              Più mi compiaccio in te che nelle vigne,
              ma, poiché getto i fiocini ne l'aia,
              Centa s'avvede, Centa la massaia
              mi ricerca con l'iridi benigne.

              «Bevesti il latte che non è mezz'ora!
              Uva e latte dispandon per le membra
              tossico fino! Quella gola stolta!...»

              Sgridami, Centa! Sali come allora
              a condurmi pel braccio via! mi sembra
              che tu debba allevarmi un'altra volta...
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                L'esilio

                Non ti conobbi mai. Ti riconosco.
                Perché già vissi; e quando fui ministro
                d'un rito osceno, agitator di sistro
                t'ho posseduta al limite d'un bosco.

                Bene ravviso il sopracciglio fosco
                le bande fulve... Chi segnò di bistro
                l'occhio caprino gelido sinistro?
                Or ti rivedo in un giardino tosco,

                vergine impura, dopo mille e mille
                anni d'esilio. Tu, fatta Britanna,
                scendi in Italia a ricercarvi il sogno.

                Sono tre mila anni che t'agogno!
                Ma com'è lungi il sogno che m'affanna!
                Dove sono la tunica e le armille?

                ii.

                Dove sono la tunica e le armille
                d'elettro che portavi a Siracusa?
                E le fontane e i templi d'Aretusa
                e l'erme e gli oleandri delle ville?

                Del tempo ti restò nelle pupille
                soltanto la lussuria che t'accusa,
                vergine impura dalla fronte chiusa
                tra le due bande lucide e tranquille.

                E questa sera tu lasci le danze
                (per quel ricordo al limite d'un bosco? )
                tutta fremendo, come un'arpa viva.

                Giungono i suoni dalle aperte stanze
                fin nel giardino... O bocca! Riconosco
                bene il profumo della tua genciva!
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Garessio

                  Dalle finestre medioevali e oscure
                  non più le dame guardano i cavalli
                  e i cavalier passar per queste valli,
                  corruscanti di lucide armature.

                  Dalle finestre medioevali e oscure
                  non più ridon le dame ai bei vassalli,
                  ma i garofani bianchi, rossi, gialli
                  protendono le gran capigliature...

                  Pace e Silenzio! Fiori alle finestre
                  che invitano a piacevoli pensieri!
                  Ed ecco in alto, nel dirupo alpestre

                  fra le balze dei ripidi sentieri
                  Voi, o Maria, Voi che date al vento
                  il dolce riso e i bei capelli neri!
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                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    Fratelli

                    Nell'impero dell'acque e delle nubi
                    dove regnava il pecoraio e il gregge,
                    o Numero, già fatta è la tua legge
                    dalla potenza delli ordegni indubi.

                    Conduce un filo il moto che tu rubi
                    all'acqua e vola cento miglia e regge
                    gli opifici rombanti di pulegge
                    e di magli terribili e di tubi.

                    Ben riconosco il Verso tuo fratello
                    onnipossente Numero! Tu fai
                    a noi men disagevole il sentiero.

                    E il tuo parente più leggiadro e snello
                    ci fiorisce le soste di rosai
                    e di menzogne dolci più del Vero
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