Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Adrift! A little boat adrift!
And night is coming down!
Will no one guide a little boat
Unto the nearest town?
So sailors say - on yesterday -
Just as the dusk was brown
One little boat gave up it's strife
And gurgled down and down.

So angels say - on yesterday -
Just as the dawn was red
One little boat - o'erspent with gales -
Retrimmed it's masts - redecked it's sails -
And shot - exultant on!
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    La preraffaelita

    Sopra lo sfondo scialbo e scolorito
    surge il profilo della donna intenta,
    esile il collo; la pupilla spenta
    pare che attinga il vuoto e l'infinito.

    Avvolta d'ermesino e di sciamito
    quasi una pompa religiosa ostenta;
    niuna mollezza femminile allenta
    l'esilità del busto irrigidito.

    Tien fra le dita de la manca un giglio
    d'antico stile, la sua destra posa
    sopra il velluto d'un cuscin vermiglio.

    Niuna dolcezza è ne l'aspetto fiero;
    emana da la bocca lussuriosa
    l'essenza del Silenzio e del Mistero.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Non turbate il silenzio. Tutto tace
      verso la donna rivestita a lutto:
      la campagna, lo stagno, il cielo, tutto
      illude la dolente... O pace! Pace!

      O pace, pace! Poiché nulla spera
      ormai la donna declinante. Invano
      fiorisce di viole il colle e il piano:
      non ritorna per lei la primavera.

      Oh antiche primavere! Oh i suoi vent'anni
      oimè per sempre dileguati. Quanto,
      oh quanto ella ha sofferto e come ha pianto!
      Atroci sono stati i suoi affanni.

      Nulla più spera ormai: però la bella
      timida primavera che sorride
      dilegua la mestizia che la uccide,
      e un sogno antico in lei si rinnovella.

      Non pure ieri il piede ella volgea
      allo stagno che l'isola circonda?
      Ella recava un libro ove la bionda
      reina per il paggio si struggea:

      (avea il volume incisioni rare
      dove il bel paggio con la mano manca
      alla donna offeria la rosa bianca
      e s'inchinava in atto d'adorare).

      O sogni d'altri tempi, o tanto buoni
      sogni d'ingenuità e di candore,
      non sapevate il vuoto e il vostro errore
      o innocenti d'allor decameroni!

      Ella col libro qui venia leggendo
      e a quando a quando in terra s'inchinava
      la mammola, l'anemone, e la flava
      primula prestamente raccogliendo.

      Oh tutto Ella ricorda: le turchine
      rose trapunte della bianca veste,
      la veste bianca in seta, e la celeste
      fascia che le gonfiava il crinoline.

      Poi apriva il cancello, e il ponte stesso
      dove or riposa la persona stanca
      allora trascorreva agile e franca
      né s'indugiava come indugia adesso.

      Poi entrava nell'isola, e furtiva
      in fra il tronco del tremulo e del faggio
      guatava se al boschivo romitaggio
      l'amico del suo sogno conveniva.

      Oh tutto Ella ricorda! Ecco apparire
      l'Amato: giunge al margine del vallo
      dell'acque, e raffrenato il suo cavallo
      il cancello la supplica d'aprire.

      "Non dunque accetta è l'umile dimanda
      del vostro paggio, o bella castellana?
      Combattuto ha per voi; fatto gualdana
      egli ha per voi, magnifica Jolanda. "

      Egli disse per gioco. D'un soave
      sorriso ella rispose: assai le piacque
      il madrigale, ed al di là dell'acque,
      sorridendo d'amor, getta la chiave.

      Oh tutto Ella rammemora. Non fu
      ieri? No, non fu ieri. Il lungo affanno
      ella dunque già scorda? O atroce inganno
      quel dolce aprile non verrà mai più...

      Non turbate il silenzio. Tutto tace
      verso la donna rivestita a lutto,
      la campagna, lo stagno, il cielo, tutto
      illude la dolente... O pace, pace!
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La falce

        I.

        Giugno. Per le finestre il sole inonda
        la bella stanza d'una luce aurina:
        freme la messe ai solchi della china,
        la messe ormai matureggiante e bionda.

        La bruna sposa sede alla vicina
        cuna ancor vuota: pare ch'Ella asconda
        un gran segreto quando l'occhio inchina
        al seno stanco che l'amor feconda.

        È la cuna ancor vuota, ma Ella sente
        che l'ora dell'avvento è assai vicina
        che ben presto il Messia sarà presente.

        E a quel pensiero il bruno capo inchina
        al lavoro sottil, le mani adopra
        su le fasce su i lini su la trina.

        ii.

        Ottobre. Per i vetri Autunno inonda
        la bella stanza delle luci estreme:
        vanno i bifolchi cospargendo il seme
        su per la china con canzon gioconda.

        La sposa agonizzante in su la sponda
        del letto sta riversa e più non geme
        e accanto a lei nato e morto insieme
        è il bambino difforme. Una profonda

        quiete è d'intorno: sopra il lin vermiglio
        tutto di sangue che un baglior rischiara
        la sposa muore, bianca come un giglio.

        La Morte, intanto, il feretro prepara:
        e l'alba di diman la madre e il figlio
        saran racchiusi nella stessa bara.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Perché nel vetro di Boemia antica,
          dopo un'ora, già langue l'aromale
          fior che m'offerse la mia dolce Amica?

          Ché la verbena vi languisce, quale
          la Donna amante il biondo Garcilaso
          già martoriata dal segreto male.

          Io so quel male: il calice del vaso
          la bella mano - o gran disavventura! -
          col ventaglio d'avorio urtò per caso.

          E pur bastò. La lieve incrinatura
          è insanabile ormai; il morituro
          fiore s'inchina, stanco, nell'arsura,

          ché la ferita del cristallo duro
          tacitamente compie tutto il giro
          per cammino invisibile e sicuro.

          Vanisce l'acqua e muore il fiore. Io miro
          il calice mortifero che serba
          quasi non traccia di ferita in giro,

          e una assai trista simiglianza e acerba
          sento fra il vetro e il calice d'un cuore
          sfiorato a pena da una man superba.

          La ferita da sé, senza romore,
          il calice circonda nel rotondo
          e il fior d'amore a poco a poco muore.

          Il cuor che sano e forte pare al mondo
          sèrpere senta la segreta pena
          in cerchio inesorabile e profondo.

          E pur la mano l'ha sfiorata a pena...
          Perché nel vetro di Boemia antica,
          dopo un'ora, già langue la verbena

          che vi compose la mia dolce Amica?
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Il volto un poco inchina
            - né triste né giocondo -
            sopra il seno infecondo
            la Donna sibillina.

            Il piucheumano mesto
            volto sacerdotale
            l'assembra una vestale
            senza parola e gesto.

            Da lunga data tiene
            i frutti contro il seno,
            né i polsi vengon meno
            nella fatica lene.

            Ardon di pari ardore
            i frutti della Terra
            ch'Ella commisti serra
            con quelli dell'Amore.

            E nel suo cuore ascoso
            un brivido la scuote:
            pensa dolcezze ignote
            in braccio dello Sposo.

            Quando l'Annunciatore
            verrà nel suo cospetto
            recando il bacio e il detto
            del dolce suo Signore,

            allor su l'origliere
            per Lui tutti disserra
            e i frutti della Terra
            e i frutti del Piacere.
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