L'uomo e il suo doppio, come nei migliori romanzi di Pessoa, come in una struggente melodia blues che accompagna la malinconia di un saluto; che vuole essere un arrivederci, ma non gli somiglia per nulla. L'uomo, coi suoi ricordi, vicini e lontani, dalle orme più remote, alla prima musica; dalle prime arrampicate della vita alle ultime passeggiate sul vetro, limpido e pulito senza orme alcune, che divide il passato dal presente, il sotterraneo dalla superficie; che lascia uscire una luce che fa vedere il bello che è nascosto la sotto. La luce dell'ultima notte; che se stavi in silenzio potevi ancora sentirne il fiume scorrere piano. Scorrere tra le pietre bianche, dove il bianco è vivo e le tenebre non arrivano, e riflettono quel bianco in superficie, tra gli archi, le lenzuola, e l'ultima rosa tra due cuscini. La rosa bianca. E ora in silenzio si può guardare quel bianco, e ascoltare gli echi del passato, che cantavano di dolcissime ninne nanne, tra il fruscio dell'acqua che cadeva nella cisterna, e le preghiere. Magari chiudendo gli occhi può sembrare di essere molto più lontani; magari in una antica Gerusalemme, così bella tra il bianco e la sabbia. Ecco ora son qui. Lascio qui il mio doppio, la parte più buona; la parte che ama. La lascio tra il bianco e la sabbia, tra il rumore dell'acqua e la preghiera. Un giorno, se Dio vorrà tornerò a riprenderla.
Composto mercoledì 30 novembre 2011
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