Quando voglio leggere, scrivere o semplicemente respirarmi, mi reco sempre nel medesimo luogo. Sono venti metri quadrati di nuda roccia e terra carezzati dal mare e qualche cespuglio di macchia mediterranea. Questa è la mia oasi di natura nel deserto d'asfalto nella quale mi abbevero d'incanto per evadere dalla quotidianità, il mio feudo di serenità in cui mi sento protetto dalla realtà, una parentesi spirituale all'interno della quale sono libero di esistere e in perfetta armonia con l'universo, quasi invincibile. Quando vado via raccolgo i miei pensieri e tutti i rifiuti con i quali incivili di passaggio marcano il territorio. È un gesto di puro egoismo, perché quel lembo di mondo lo sento mio, è casa mia, per una sorta di usucapione emozionale, accoglie le mie riflessioni, mi mette a mio agio, conosce i miei segreti e le mie inquietudini. Mi ospita e mi ascolta da vent'anni. Averne cura è il minimo che possa fare, soprattutto per me stesso. E penso che sarebbe un pianeta più morbido se sette miliardi di individui adottassero una porzione di terra a cui sono affezionati, curandola come fosse il proprio giardino, una sublime forma di personalismo volta a rendere vivibile un piccolo pezzo di questo immenso, meraviglioso, sferico puzzle.
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