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Marco entrò in quell'aula di tribunale col passo svelto e lo sguardo sfuggente di chi si sente colpevole senza attenuante alcuna. Si sedette affianco al suo avvocato difensore d'ufficio mentre io, tre panche addietro, lo osservavo con l'attenzione ed il disgusto che il mio stato di padre tradito mi permetteva di provare.
Quella lama con cui uccise la sua ragazza a causa di un adulterio a quanto pare immaginario, partorito dalla sua mente paranoica ed ansiogena, uccise oltre a quella poveretta anche me e mia moglie, se solo fosse stata ancora in vita, se solo quel tumore non l'avesse strappata all'affetto della sua famiglia.
Lo sguardo severo ed imparziale del giudice fu un chiaro segno premonitore: non ci sarebbe stata pietà per Marco, in quell'asettico stanzone adibito ad aula di tribunale.
Mi sentivo insolitamente rilassato alla prospettiva che ci si poneva innanzi, come se l'eventuale condanna di mio figlio in qualche maniera fosse risolutrice di molti dei suoi, e dei miei, problemi.
Quando il giudizio finale venne emesso, Marco non fece una smorfia, non disse nulla. Accettò il verdetto con sorprendente tranquillità: chissà, forse anche per lui quel giudizio era risolutore.
Due guardie giurate l'accomagnarono fuori dall'aula dopo averlo ammanettato,... [segue »]
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