Scritto da: Andrea Manfrè

Breve storia di Gino e del suo brutto male


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...ragazzetti coi jeans comodi, stavano attraversando una stradina secondaria, di quartiere. Il vecchio Gino dette un colpo sul rauco clacson. Questi non la presero bene e si fermarono volutamente in mezzo, costringendolo a frenare. Uno dei tre cominciò a battere il pugno sul cofano. «Vecchio rincoglionito. Vai al ricovero coglione! ». Gli altri a calciare il muso e saltare sui paraur ti. Il vecchio gino non si era mai intimorito di nessuno in vita sua pur essendo un uomo buono con un profondo senso di cristiana giustizia. Era grosso con due mani che ci potevi vangare la terra. Con calma scese. Non disse una parola, quasi si vergognasse della bocca sdentata. «Vecchio rimbambito! Pezzo di merda! Che vuoi fare? » Gli altri due non avevano ancora smesso di colpire la 127, che in trent'anni non aveva preso una botta che fosse una. Pensò alla Rosa. Al brutto male che se l'era portata via due anni prima. Alla promessa che non aveva mantenuto, quando certe sere gli prendeva di darcene a bere e a fumare. Riaprì la portiera e abbassò la grossa figura alla ricerca di qualcosa dentro la 127. Una vecchia Maser, un ferrovecchio ricordo della guerra scompariva nella grossa mano. Esplose tre colpi. Stava seduto, le grosse mani avvinghiate al volante come per reggersi. Lo sguardo assente. Le grosse dita ispessite sfioravano come quelle di un cieco il quadretto d'argento, di quelli calamitati che si vedevano un tempo, con dentro la foto della Rosa e santa Rita, e la scritta in rilievo: non correre... «Lascia non ce n'è bisogno » disse il poliziotto, facendo segno al collega.

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