Forse, ha più paura chi sta dentro alla recinzione di filo spinato, costruita bucandosi le mani pur di mettersi al sicuro, acconsentendo a farsi colpire solo dal cielo quando piove, rimanendo in ginocchio nel fango e con le mani aperte, le braccia alzate in segno di preghiera perché la pioggia cessi. Credo. Penso tema più chi sta dentro al cerchio di fuoco, appiccandosi i roghi nel cuore, tenendo le belve fuori, ma facendosi divorare dai mostri dentro. Deve avere serrature strane, l'anima e chiavi di ferro, la solitudine e cardini di forgia indistruttibile, il tormento quando la tormenta, dentro e fuori, spazza e sfinisce.
Chissà cosa sente la foglia che si stacca dal ramo, benché le sue nervature apparissero salde nell'innesto, invece, guardarsi morire la speranza del verde ed arrivare alla secchezza dell'arido, inquietante, malaticcio, giallognolo e tentennare nella sospensione del refolo che, sadico, pone in prospettiva lo schianto, ma perpetua il senso del precipitare nella stasi della vertigine. Aspiriamo al nitore degli approdi, delle definizioni perentorie dei verbi nella coniugazione d'un passato prossimo che ci faccia chiudere gli occhi in segno di rassegnazione, evitando il gerundio della paura. Sta cadendo.
Tutti a far vanto delle grandi cose come a calibrare e misurare volumi e capienze dell'enorme sotto il segno dello smisurato. Declino. Coltivo piccole cose che mi preoccupo di far stare in un pugno così d'aver la sensazione di non stringere solo mosche e portarmi sempre il mio mondo dietro.
Dico che le parole mi fanno segno e che i significati m'aprono fistole sotto la pelle, lasciando i vestiti intatti e recidendomi solo le vene, rompendomi il cuore. Ma non si potrà mai dir di me d'essere una donna in disordine, forse, solo chiusa nella scatola delle mille razionalità, una per ogni diversa occasione, colta o perduta, tralasciando la sciatteria ed ogni cosa abbia a che fare con l'ovvietà; di questo, ne è pieno il mondo ed a volte, il mondo è un brutto posto.
Lascio che il bene si sgualcisca a contatto delle mani rozze di chi riserva carezze ai volti plastificati. Ed io che me ne vado in giro, fatta di fragile lamella, continuo a passeggiare sotto le macine dei mulini per vedere se combatterli o lasciarmi sbriciolare faccia qualche differenza.
Ho visto muoversi le foglie. La sensazione che il tramonto mi uscisse dalle spalle, portandosi dietro il rosso delle mie emozioni antiche, scricchiolanti, che l'autunno fa cadere dalle vene e rimanere all'ombra di querce che mi danno memoria del coraggio e dell'arresa. Il tempo suddiviso in fasi fa pavimento ed i passanti sono sempre troppi e poco attenti a ciò che resta a terra e si calpesta. Distratti. Protesi agli astri, diventano meteore. Vanno. Di bagliore in bagliore; scemano. Ed io sfumo.