Scritta da: Mariella Buscemi
Ho la pessima abitudine di non stare mai dove sono. Il mio posto è sempre altrove. Sempre. Altrove è il luogo che ha i meridiani piantati nei sogni ed i paralleli, lunghi come vertigini, piantati nel cuore.
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Ho la pessima abitudine di non stare mai dove sono. Il mio posto è sempre altrove. Sempre. Altrove è il luogo che ha i meridiani piantati nei sogni ed i paralleli, lunghi come vertigini, piantati nel cuore.
Attacco i respiri alla notte e cucio il desiderio a tagli di stoffe che coprono la pelle per non mostrarne l'assurdo bruciore; e si dipana il filo a stringere i punti d'un pensiero sdrucito, a cercare i bottoni del perdono tra le asole delle mie colpe. Sono logora e nuda, e i miei profumi mi espongono al farmi sentire a chi è sazio di odori per inebriarsi.
Il bello dei cuori che sono stati rotti è che quando vivono qualche emozione vera e pura li senti battere contemporaneamente in più punti.
Ci siamo tolti le ipotesi ai dubbi ed è lì che abbiamo preso a dosarci le anime.
Ho vagoni di parole che viaggiano su rotaie invisibili.
Ho innestato tra le voglie il fermo immagine del profumo d'un fiato, quello che mi si imprime dentro quando restiamo estatici, statici ad ascoltarci l'amore.
La non parola sulla sensazione, la pelle sul contatto, gli odori tra i sapori.
Diventi calco tre le coste perché io, convessa, possa incastrarmi come pezzo mancante dei tuoi respiri, ché se vengo meno è asfissia, se mi insinuo come piaga tra le carni, ancor prima, come coltello, cercarti in punta, sanguinarti, m'incuneo, pelle di pelle, sottocutanea tra le viscere, spasmo diaframmatico.
Lascivia.
Stremata, con il fianco sporgente ad attendere la mano, la curva dopo la vita che si distende e protende.
Mi guardi il sonno?
Custode della mia carne tra i silenzi di ciò che viene dopo.
Ti mangio la fame quando le ossa, sazie, ci divorano la carne.
Cucio maschere di notte, ma per gli altri! Per renderli più guardabili ai miei azzurri occhi che son tanto delicati nel gelo che li ammanta. Ho allestito un laboratorio ricchissimo d'ogni genere di pellame, cuoio pregiato, gemme per occhi, fili di nylon per tirare punti di sutura lungo cuciture che possano lasciare l'osceno dove devono ed imbastire con eleganza se ce n'è bisogno. Per me non tengo maschere, se non una da regina e suddita al contempo, del regno dove nessuno entra, così da bastarmi nello stato di completa autarchia che mi sono ritagliata.
Quando i pensieri parlano come gesso che stride su una lavagna, poi, ti accorgi di non aver scritto nulla. E graffiato troppo!
Ascolta il mio furore quando s'alza dal mare che tanto appaio in tempesta quanto sono più sfinita, pronta all'urlo dello squarcio, vicina alla rovina, allo sconquasso ed aspetto il vento che mi gonfi come s'io fossi vela, ma dallo strappo s'insinua disperdendo la sua forza.