Frasi preferite da Silvia

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Scritta da: Laura Corbini
Così fa il destino: potrebbe filar via invisibile e invece brucia dietro sè, qua e là, alcuni istanti, fra i mille di una vita. Nella notte del ricordo ardono quelli disegnando la via di fuga della sorte. Fuochi solitari, buoni per darsi una ragione, una qualsiasi.
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    Scritta da: Martina Negri
    Perché c'era qualcosa, tra quei due, qualcosa che in verità doveva essere un segreto, o qualcosa di simile. Così era difficile capire ciò che si dicevano e come vivevano, e com'erano. Ci si sarebbe potuti sfarinare il cervello a cercar di dare un senso a certi loro gesti. E ci si poteva chiedere perché per anni e anni. L'unica cosa che spesso risultava evidente, anzi quasi sempre, e forse per sempre, l'unica cosa era che in quel che facevano e in quello che dicevano e in quello che erano c'era qualcosa - per così dire - di bello.
    Non ci si capiva quasi niente, ma almeno quello lo si capiva.
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      Non è quello che vidi che mi fermò
      è quel che non vidi
      Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi... lo cercai ma non c'era, in tutta quella sterminata città c'era tutto tranne
      c'era tutto
      Ma non c'era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo
      Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu
      Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me
      Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi
      Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non fiìniscono mai e quella tastiera è infinita
      Se quella tastiera è infinita, allora
      Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio.
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        "Non devi pensare che io sia infelice: non lo sarò mai più." Mi lasciò secco, quella frase. Aveva la faccia di uno che non scherzava, quando la disse. Uno che sapeva benissimo dove stava andando. E che ci sarebbe arrivato. Era come quando si sedeva al pianoforte e attaccava a suonare, non c'erano dubbi nelle sue mani, e i tasti sembravano aspettare quelle note da sempre, sembravano finiti lì per loro, e solo per loro. Sembrava che inventasse lì per lì: ma da qualche parte, nella sua testa, quelle note erano scritte da sempre.
        Adesso so che quel giorno Novecento aveva deciso di sedersi davanti ai tasti bianchi e neri della sua vita e di iniziare a suonare una musica assurda e geniale, complicata ma bella, la più grande di tutte. E che su quella musica avrebbe ballato quel che rimaneva dei suoi anni. E che mai più sarebbe stato infelice.
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          Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
          Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.
          Allora li ho incantati. E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto.
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