Mi lascio il sospeso come le corde che sento in gola prima d'un pianto a forza ricacciato indietro, come quando il sole ha voglia imperiosa d'affacciarsi e soffoca dietro la nuvola o le volte in cui le foglie restano attaccate, caparbie, ormai gialle e nonostante il vento e quando la riva è pronta ad asciugarsi, ma la risacca si spinge sempre un po' oltre al confine segnato dall'ultimo ritorno di spuma. Quando l'argento scurisce, ossidandosi e credo che anche i miei polmoni abbiano in sorte lo stesso svilimento dei respiri che finiscono per passare per condotti sempre più ostruiti dal calcare del nostalgico o dell'incompiuto in quella parte di notte dove il sonno rimane con gli occhi aperti dei bambini terrorizzati che hanno visto il brutto del giorno e se lo portano sotto al letto. Dormo su un mostro anche stanotte.
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