Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie personali)
Paradosso
Ed allora,
quando mi sento svuotato
d'amore altrui,
attingo ad un volto ignoto
per rendere un'emozione.
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Ed allora,
quando mi sento svuotato
d'amore altrui,
attingo ad un volto ignoto
per rendere un'emozione.
Espiro.
Corpo che mi rifiuti
un pezzo dell'anima.
Inspiro.
Anima che mi torni
temendo di perderti.
Respiro.
Un litigio continuo,
il prendere o lasciare
tra rimorso ed orgoglio.
Cercami e trovami,
alza le coperte,
togli le lenzuola,
sgombra gli scaffali,
vedi tra le stanze
e se non mi trovi
fuggi, fuggi via.
Va e imbeviti
il viso nell'aria,
una lunga apnea
pescarmi il respiro
nel vento, anonimo
impasto confuso
di voci e rumori.
Non mi abbandonare stasera,
cuore!
Almeno stasera
tu non mi abbandonare!
Non voglio più
mirare alle montagne
e, cercando di raggiungerle,
cadere sul tuo sasso ogni volta.
A terra vedere qualcuno
già arrivato, o forse no,
o forse mai, un'illusione
la mia, di arrivare sulla cima,
di volere essere il solo,
come se proprio solo fossi.
Mi arrendo alla gara
e chi ne ha voglia
non si fermi!
Perduto lo è già,
da sempre,
non esiste un vincitore,
sol preferisco essere un vinto,
un vinto dalla ragione.
Castelli nell'aria,
l'aria che cerco,
senza castelli, sul corpo
mi soffia sensibile.
Tra il cielo e la terra,
privato di peso,
puro già vago
in cerca di te,
cuore,
speranza di incontri
tra altri in riposo
ancora ce n'è.
Non c'è nulla
che possa sopportare
tutto il peso del mondo
nel ciclo dell'eterno.
Nulla.
Neanche un occhio!
Sollevando un peso
scopro che la forza
è come una noce
che volge il suo guscio
al cielo scoperto.
Noce che apre una nera voragine
agli occhi del mondo,
circolare di gorghi sinuosi
bucati da eventi luttuosi,
scivola senza cadere.
Noce che non batte ciglio,
sta meglio, non ha ciglia,
niente e nessuno l'avvertono
che è giunta l'ora
di posare gli elmi,
conosce da sempre la terra
in tutta la sua nudità.
La noce non funge da porta,
blindatone l'uscio nel guscio,
non sa del negozio,
del fragile vetro,
non ha da abbassare
la saracinesca
per nascer l'indomani
ancora più stanca di prima.
Stanotte giocherò
la partita di una vita
contro il tempo.
Ho qualcosa da spartire,
tutto o niente è morire.
Ho qualcosa da donargli,
il mio sonno
lento bruciore di occhi
negli occhi il sale
ha trovato una tana,
scavarmi già può
fino in fondo.
Aspetta,
che mi arrendo.
No, non mi arrendo!
Fori di brividi
sulla nuca,
scattanti giravolte
attorno agli occhi,
il sale mescolato
a lacrime amare
e tutto tace.
Tutto.
Attento tempo!
Ti è forse sfuggito
un momento
che nasco persona?
Ti è sfuggito tutto,
tutto a me non sfugge.
Io.
Per la religione
vaso difforme,
e per la fede
specchio deforme.
Fierezza e sconcerto
rispondono stanchi
nel fiato deserto.
Non cerco riforme,
non è quel che sento.
È l'anima mia
che è senza un perché.
Solo cammino,
senza sosta trascino
il peso schiacciante
di una verità.
Senza ali, sugli orli
il peso schiacciante vacilla,
dagli orli stenta a cadere
tentando la fuga,
non ha padroni
per stare sospeso,
tra un vuoto ed un altro,
sulla pellicola
di due braccia umane.
Solo,
tutto solo,
cinto dal deserto
ho indietro una morte,
ho avanti una vita,
seguendo una morte
che non mi dà vita,
trattengo quel peso,
il vuoto mistero
risolto in un tonfo,
escluso dal vero.
Mi tocca esser larva,
qui dentro rinchiuso,
sognar la farfalla
fin dove c'è vita
lì dentro la morte,
non vedo altra sorte
di urlarmi più morte
per darmi più vita.
Un'altra vita,
prima ed ultima,
prima o dopo,
un'altra morte.
Un'altra morte,
unico modo
per tornare al mondo
da questa mia morte
che è la mia vita.
L'ho capito!
Anzi, credo di aver capito!
O perlomeno, ho una mia interpretazione!
Fermati!
Fai un passo indietro!
Fanne poi un altro!
Ecco:
Umiltà,
il climax discendente
per antonomasia.
Spandi la tua luce
sugli otto canali
di queste mie mani,
che la tua musica
- acquosa qual era
diventi cristallo
e roccia splendente -
scriva un pentagramma,
orale di accordi
del cuore che fiamma.