Mi tramortì un duro diniego l'amore offeso vidi in agonia era un giorno di gennaio la vita mia sentii gelare. Dèmoni vissero nel petto si agitò demente la mente la bufera scompiglio la quiete con ferro e fuoco devastai; nel delirio, il simulacro della donna per cui vivo poi con carezze orribili sfiorai il suo cuore incominciai a lapidare. All'amaro calice bevvi, piansi lame affondai ferii e feci soffrire a trionfo d'ira mi accasciai. Ah dove può follia d'amor portare! Non essere me quanto mi è costato! Sentirò mai più finestra d'amore che si apre al fischiar del mio cuore? Oh bocca senza più baci sonno che mi è negato! E questo dolore da sopportare una partenza che forse non avverrà lo sporgermi in cerca di qualcuno la condanna che devo scontare. Perdono di amore dilaghi per questa fragile spina dorsale che non seppe un giorno superare mancanze di luci, al cielo che scagliò grandine ancora guardi chi vi scorse una stella ciò che funghì in fiore si tramuti. Non leghiamoci a ciò che annera la mente ché v'è sempre un bianco di grazia nel cuore e quel che fu e avvenne non è nulla di questo.
Insisto nel ricercarti ma non sei a due passi perché codesta assenza assenzio lama affilata che fende e affonda che imperterrita, disumana non arresta il suo moto! Dov'è la bramata tua bocca? Non ritrovo le tue mani non vedo i tuoi occhi fanciulli su di me appuntarsi addolcitati volteggia come un rapace la tristezza sul cuore ombrato presto vorace sarà su di me stremato solo e indifeso! Mi afferreranno inclemente i suoi artigli al venir meno delle poche forze che oppongo e non potrò neppure più gridare: secca è la gola, immobili le labbra per aver tanto nel silenzio diffuso invocato a gran voce il tuo nome! Vivere così non è impresa da poco: è come spaccare pietre al sole privati di un sorso d'acqua ritornare a sera nella propria cella senza luci e confidare che un muro poi ti ascolti!
L'amore è morto all'alba di un caldo giorno di gennaio lo stesso giorno ch'io vivo venni al mondo, nessuno venga al corteo funebre: il cuore non vuole condoglianze lacrime non vedreste negli occhi miei prosciugati al chiudersi della bara; chi pure fu lo seppellirò senza una croce a segno nel cimitero del bene perduto e nessuno saprà poi dove è sepolto poiché non vuole né fiori né ceri. Oggi chi folle l'assassinò braccato dai levrieri della sua coscienza impune ancora vaga orgogliosa arretrando il sorriso dal ricordo. Le lusinghe del suo corpo e le bugie della sua mente già affila per ammazzare ancora l'allocco uomo che è di turno. Commemori una targa ricordo i suoi misfatti nel viale dell'amore: vi passerà viva e rinsavita forse un giorno e sarà morta.
Anche se molte volte studi seri e accurati ho condotto su acuti casi, non ho mai saputo se ereditaria o contagiosa fosse poi la malinconia progenie di melanconia. Nell'anima attentamente assiduo l'ho frugata. In un focale ingrandimento al microscopio ne ho osservato i tratti maculati. Nocciolo duro e compatto coriacea sostanza amara non si lascia vivisezionare! Reagisce con nerocupi giorni; in terreni di tristezze si espande e ivi prolifica vertiginosamente. Alle inoculazioni di rincoramento reagisce regredendo poi, tenace, cessato l'effetto, sottobraccio fra le sue spore ti riaccompagna dolcemente! Invano da tempo, nei laboratori segreti del cuore si cerca un antidoto che la debelli. Chi ostaggio ne è non rassegnato fuggir lontano spera sovente! Il vitale principio attivo contenuto in assolati giorni, talvolta, se non vi è rigetto produce solare miglioramento. Miglioramento passeggero poiché se radicata, alla prima occasione, metabolizzando nuove tossine, profonda più agguerrita ritorna! Come la cuscuta il cuore avvolge con la sue spire in tormenti di giorni; per le ampie fessure entro cui si annida non vi è tassello che tenga! La sua ombra è la tagliola che blocca i passi del domani. Nell'enciclopedia delle depressioni umane è classificata come la più profonda, al paragrafo patologie dei mali oscuri, a lettere cubitali, rabbrividendo si legge: invasivo carcinoma mortale!
Anime del fiume che stanche andate come nuvole cupe in un cenerino cielo acque non più chiare offese da scorie umane che tra giunchi e vimini al lontano mare puntate, a voi, pure e incontaminate un caro tempo, le mie barche fatte di carta di giornale affidai; dalla riva, spiando trepidante, ne seguii l'incerto periglioso viaggio. Ancor seguo il lento fluire che vi porta e che mi porta riassaporo perduta ebbrezza. Ripenso a quando fanciullo da sorgiva polla a colme giumelle vi attinsi placando l'arsura del giorno; di pietra in pietra a saltellare ritorno per ritrovar l'inavveduto spinarello catturato nella secca e subito poi scaltro dalle mani via sgusciato! Gli empi insulti degli uomini a morte hanno ferito le sacre fonti che vita vi danno. Ammortate trasparenze a liquami e fecali insidie hanno ceduto il passo tramutato in singulto è il sorriso delle argentee e cristalline spume delle antiche correnti, draghe sempre più in basso hanno raschiato il fondo, cocci di bottiglie infrante or spesso adornano feriti sinuosi brulli fianchi! È duro questo nostro tempo: in fetidi pantani spesso agonizziamo aspettando anelanti un destino edace che rischiari i nostri giorni. O potessimo rinascere e dimenticare, ritrovare le speranze costipate negli anni e dalla spirale del vortice per sempre trascinate e affondate!
Il tachimetro dei lustri già segna sul quadrante dodici giri da quando iniziò l'abrasione per rotolamento sulle ruvide pietre della strada della vita. L'accumulo dei transiti, le accelerazioni e le frenate tra notti tramonti ed albe sconquassato hanno lo châssis che, pur al peggio, ancor mi scarrozza per il mondo. Tra brusche sterzate e stridii. Consumato il battistrada, il volante quasi paralizzato, malridotto l'avantreno e perduta la necessaria convergenza, faticose manovre da lunga fiata il cuore irrigidito logorano e sollecitano senza risparmio! Quante volte, in avaria per eccesso di attrito, la cinghia di trasmissione di una illusione mi ha parcheggiato avvilito sul ciglio cupo di una via! Per polvere di giorni ridotta la trasparenza della superficie dei vetri vana appare l'alta luce dei fari; solo lo specchietto retrovisore sempre terso ed efficiente riflette il cammino serpeggiante dei ricordi! Trabiccolo, spesso in panne, tra scarrucolio di pulegge e scricchiolii, con tremuli assi traballante ancor mi trascino rimorchiato da motrici speranze. Oh l'inclemente usura del tempo che precoce dissangua la vita! Un giorno, negatami la licenza di circolazione, un atro carro traslocherà in una non lontana fonderia un'arrugginita carcassa di ferraglie per farne materia per altri stampi!
Le abbiamo tentate tutte e più volte le strade per dare un senso alla vita e ora, che non c'è più nulla da sperimentare e tutte le scelte sono state fatte, non spenderemmo neppure un soldo per un illusione che a poco prezzo ancora ci venisse offerta dal caso. Troppo volte ci siamo raccomandati alla sorte per non registrare un'altra esperienza di tremenda sincerità come pure passivo. Le prove, sul gran teatro del mondo sono state un fiasco; con dolore ancora ne udiamo talvolta i fischi. Ogni castello in cui avremmo voluto abitare è già un rudere deserto, tutti i granai da cui attingemmo semi di speranze sono svuotati, spezzato è ogni ormeggio che, pur tra sciabordii, ancora a qualche mezza verità ci ancorava. Brutto affare esistere se tutto si riduce a recriminare su memorie di immagini progettuali mai realizzate a raffigurarsi amori impossibili mai vissuti ad essere sopraffatti dalla chiacchiera, dal'si dicè, ad essere mal controfigura di un te che non esiste e neppure conosci se il giorno fugace che vivi e ti ignora passando sbadato sa di inesistenza.
Non chiedermi di vivere come un uccello che volteggi e canti senza la sua compagna: non posso così vivere il giorno se esistente mi neghi il tuo amore. Non si può volare, tu sai, il vento non può spirare quando manca l'aria; come pietraia è il fiume quando non vi scorre acqua! Vieni, come angelo fatti ritrovare sulla via del Destino insieme andiamo ciarlieri ad ascoltare il mare sotto la nostra luna, vieni teniamoci per mano il cuore troverà pace. Cos'è la nostra vita l'uno senza l'altro? All'affanno di essere l'amore è solo rimedio: con quiete, e soltanto quiete il cuore riposa quando si è soli illusione e falsa ogni altra cosa. Dacché calore non è calore e da appuntite sporgenze l'animo non preserva? Senza emozioni e senza bene che ci resta! Che di vero non menzognero ci sorride! Hai tu guardato sul brullo ramo l'ultima foglia rimasta? Così io senza di te, appeso al vuoto accartocciata sostanza senza sostanza sono: martorio senza riposo su cui la tenebra si attarda! Oltre te, in me non vi è altra vita: non rendermi già polvere dammi linfa e rinverdito più non penzoli il cuore tra il solco e la nebbia, non lasciarmi pensare e dire che tutto è vano. Non darmi solo uno sguardo ma guardami, non sfigurarmi: domani, nella cattedrale della verità benedetti saranno gli occhi di chi puro abbia saputo vedere.
Cuore, grammofono che stridi, pezzaccio di latta arrugginito preso a calci dalla vita ora che nessuno t'ascolta nullificati rimarranno i tuoi motivi! Rintànati nel vivaio arso dei ricordi e fatti pure muto se nulla barbaglia per l'orizzonte a cui riguardi! Si stella la notte in fuga eppure tra le tue spalancate imposte non trapelano che deformi sagome scure soli andremo sotto la luna! Stasera per noi scordato è ogni strumento, cupo e distorto è ogni ancestrale suono e solo un murmurare assiduo di duoli dai lidi deserti dell'animo provato si ode! Adelante pestifere pene dilaganti, son qui ad aspettarvi, infierite di più scaraventatemi nella disperazione! In quest'ora torbida e pregna di amaro crudele si svela l'ascoso senso del vuoto, ci adunghiano artigli di mostri invisibili spuntati dai dirupi scabri dell'eterno! Se presente e passato si annullano in un momento se l'avvenire è d'argilla e non turbinano illusioni, arresi consegniamoci pure all'atro fondo! Scompariamo da questo mondo che non ci vuole e da vivi, se rabbuiati, illuminarci pure disdegna con chiarie di speranze. Tutto è così e così è l'amore passa e nulla più resta insaccati nel nulla vorremo solo riposare nel mare delle ammortate presenze. Sorte inclemente fatti clemente traghettami senza indugi sull'altra sponda!
Nel rasserenante paese abitato da mordenti desideri nella piazza del cuore come usavo fare da fanciullo delle zolle di zuccherò vorrei comprare e per un po' addolcire l'acre malinconia che oggi mi tiene compagnia. Al banco dei canditi sogni con un tronchetto di liquirizia rifarmi vorrei l'anima e assaporare il frutto raro che afferra il dolce senso del ghiotto davanti a una gremita fruttiera. Uomo, chi vorrebbe che il cuore al dolore si torcesse e la tristezza amara l'anima facesse? Ma se chiusa è la credenza di golose dovizie, se la chiave non hai e non credi al miracolo che infranga il vetro blindato che dalla felicità ti separa, se non disponi di un grimaldello solo fantasticare sull'ultimo fico secco ti rimane! Sull'inaccessibile contenuto che il cristallo dei sogni ti mostra appena azzardi qualche fantasia, aspetti che arrivi il sonno sedativo che anestetizzi le papille gustative e a tacere metta le tua brame. Poi quando ti risvegli, ciò che vedi è solo il vuoto, sospeso nel vuoto le ali non servono: mancano le correnti ascensionali! Così, davanti alla delusa mira a ruotar, te ne resti in moto circolare.