Più non si riprodurrà per me l'avvicendarsi di avvenimenti lieti e tristi un giorno; tutto resterà intatto alle mie spalle: la vita quotidiana della gente il ridicolo universo, le distanze. -Vale la pena di vivere? - è la domanda schiacciante che mi si presenta davanti ogni alba. Qual è la risposta? Quante logiche astruse a sostegno di un'esistenza edace che dilegua! Eppure non so rispondere al rebus se assisto ad accasci di speranze e sventro nasciture illusioni. Esposto al dubbio che si addensa e si spalanca interrogo l'oroscopo: nella sfera di vetro divinatoria frammentario si mischia passato e futuro; non vi è collante che faccia presa né evoluta che a qualcosa adduca; mi guardo nel cuore, la poca luce mi inclina cedo, salto tra cielo e abisso; in sosta sull'orlo dello stupore nulla fiuto dall'incurante tempo per proteggermi dal peggio. Senza un chiaro senso, per abitudine, ancora per un frangente, spinto dal vento delle passioni verosimile continuerò a viaggiare; senza insegne di esultanza tremante aspetterò un segnale da un viso senza volto: qualcuno busserà la prima e l'ultima volta. Poi, stramazzato resterò muto: si acclarerà un nulla al cospetto del mondo ad onta di quel che senza volerlo. Pur fui.
Quando vetrina di cristallo puro incontaminato mi mostri, Mare, un cosmo di sconosciute creature, quando lampeggiano riflessi di vitree scaglie o spume o in un video immaginato zampilli i tuoi giganti esplodono, quando percorro l'offesa piaggia al morir di un mareggio e mi imbatto in carcasse di conchiglie o stracci di fondali o in uno sparuto osso di seppia stupito allor mi sovvien che nella notte dei tempi da te, principio equoreo, un giorno emersi uomo. Ah quante volte rapito familiare il tuo palpito riascolto come ai tuoi ritmi che di improvviso mutano altezza e tono mi abbandono! Come seguo il lacerarsi dello smisurato telo d'azzurri ad ogni strappo di vento; come ti sciorina l'insulto dei nembi al sopravvenire di una bufera! E il tuo viso che si corruga all'insorgere di un delirio lontano, le nivee frange che attaccano e devastano lidi, i getti di pulviscoli cristallini che spezzano lo sguardo all'orizzonte levato, il risucchio rabbioso di bocche ebbre al dilatarsi dei tuoi polmoni, gli scompigli di ectoplasma, i bollori di salsedine che si scagliano su venati ciottoli di riviere: cancellazione di battigie, rovesciar di scafi, affondar di navigli! Oh calma divina quando stremato in bonaccia ti assopisci in un accadere nullo! Incessante viver il tuo che ti rinnova sotto lo sguardo di un sole passante che si specchia e dilegua al passo dell'ora. È in questa immensa tua statura che un piccolo me accresciuto si ritrova che più gagliardo un sangue ritorna e mi ricaccia nel giogo della vita persuaso da richiami ineludibili giunti da fraseggi di altri sogni...
Quando l'aureo disco del giorno più non vedrò apparire all'orizzonte e nel mio cielo non vi saranno stelle, quando più non mi giungerà il suono vario dell'onda o gridìo di voci, tacerà per sempre questo mio cuore ma fino ad allora, ancor vi parli la tortura di questa passione, che voi, brama prediletta, con indifferenza, appena ascoltate! Quando dal vuoto imprigionato a voi libera ripenso, in alto vanno le mie inumidite orbite; alle illusioni, promesse strappo perché nel vostro petto cavo un posto sicuro io trovi. Se sapeste nel chiaro guardare, vedreste i miei occhi scuri fissarvi senza tregua; se dai vostri pensieri non escluso, meno penoso sarebbe il ritmo scandito dal mio dimesso andare. È da troppo tempo che guardo le pieghe della vostra bocca senza baciarle; voi non sapete che mi chinerei, fino a spezzarmi, per raccogliere, come primizia, un sorriso, da voi lasciato cadere! Non ponete altri sgambetti a questo cuore che inciampa sulle crespe del vostro animo gelato. Udienza accordate ad un amor che non s'affioca e arrestate la dolce tortura che perpetrate! Guardatemi come la prima volta: un rossore, vi ritornerà dal mio volto.
Quando solo ti senti e l'ultimo malinconico spinoso passo di spirale serrandosi ti avvolge e l'animo costringe in oblique tristezze, finisci col tirar pugni nell'aria o sputarti allo specchio pur di sottrarti ai colpi mortali che il dolor vibra al tuo esser vivo. Ad altri dir vorresti di te, delle tue pene... dell'esilio forzato del cuor che indomito non si prostra al corteo d'ombre dei giorni vuoti che passano morti lungo i viali che un tempo furono della giovinezza. Murate restano le parole che sulle labbra mute, come semi rattrappiti in aride zolle, agonizzano inerte. Ignorato dal mondo che con sguardo idiota senza guardarti ti fissa, soffri e contorci te stesso cercando di rifarti le forze, riemergere dal gorgo e aggrapparti all'istinto che trascina alla vita. Al vano gioco ritorni: altre albe verranno dalla volta trapunta di stelle! E se anche la ruota del torchio che le speranze macina non si inceppa, se anche non cessa l'ansia che ti fa infelice, nel sogno amico aspetti che qualcuno raccolga l'opaca sorte che ti inserra per trasformarla in un brivido di luce.
Tardiva dispare l'ultima stella nel cielo. Albeggia. Spirati sono i notturni sogni. Sbuca il giorno, longevità di tedi, cruda lentezza d'ore per chi come te niente si aspetta, uomo solo! Tu certo ricordi le gremite vie da tempo più non ripercorse come alle prime luci ricominci lo spingere, il pestare, il gran vociare, i tafferugli dei credenti in corteo alla supplica diurnale delle illusioni! Fuggito dagli altri, sposato te stesso, rintanato da tempo nel tugurio dei giorni un fiume in magra dentro ti corre detriti di sangue sedimentano, stagna una tremore in arterie spossate; un affievolire di flussi ti stanca di essere vivo; vano aspetti la bonifica di un sorriso, una interiore implosione di palpiti uno scoppio di riso da labbra mute... La bussola che non illuso pur segui va impazzita e senza meta tutte le direzioni per te sono uguali, l'ora della meridiana sul quadrante dei giorni perduti ripercorre il ritmo del dolore che si ravviva, nel buio ritrovi i pioli della pena che risali, nell'ombra del mondo ti lasci svanire. Dimmi: - Tornerebbe la speranza se cessasse il grido di ali spezzate, se ritrovassi la magica chiave per la toppa del cuore? - - Ma l'illusione manca! - Tu dici! - In una radura spopolata, dalla vita sono stato sbattuto e ivi, sosto smarrito: corre e si assembra il nulla che mi parla, un silenzio di sale mi nutre; pensieri amari insabbio e spalo asciugando lacrime al sole. Senza fine è l'attesa in questa caducità di uno sconvolgente accadimento umano. - Chi ti occupa e opprime? Ah, cosa potrà mai più decantare il limaccioso respiro che a malavoglia ancora ti tiene in vita? - Oh uomo solo, come ti somiglio! All'aratro del tempo seguirà un solco solo vi giaceremo entro per sempre.
Nel tedio dei giorni vuoti dalla tolda, confusa tra mille, un fazzolettino colorato ti ho visto agitare additando un saluto a me canuto fermo sul molo! Un refolo messaggero me ne ha portato il profumo ma il tuo veliero, presago delle sirti della rada, in rotta già dirige per altri porti; all'estremo limite scomparso qui non farà mai scalo, ed io che giammai potrò raggiungerti, col pensiero, appena potrò mandarti un bacio! Senza essermi stata accanto, vanita e non rinvenibile, ancestrale candore di cigno più non ti rivedrò apparire dall'orizzonte dei sogni perduti nell'intorpidire del ricordo. Eluso il richiamo di un terrifico strapiombo fuggirò tra ritrovate solitudini; da un ermo promontorio nelle compagne ore infelici che in stuolo già mi aspettano, scruterò azzurre distese a te pensando, sole che scompari; serioso, ti raggiungerà il cuore abbaglio di sogno non consumato. Ah allucinazioni in viluppo tripudi vissuti, amenità volatili, che sempre mi restano dentro quando pura magnificata essenza, salsedine ti riporta il mare!
Come ogni sera mi precipiterà addosso un decadere di luci. Preso di mira dalle mie ombre, mi sposterò in continuazione tra trincee di illusioni per non essere a fondo colpito dietro alle postazioni dei miei pensieri. Non potrò attardarmi molto per trovare un sicuro riparo: ogni indecisione sarebbe fatale! Si immilla e brucia l'attesa dell'alba se profondo penetra l'ago che in pressofusione instilla virali malinconie! Ah luce diurna, perché notturna non sei! Oscurità, che sbrecci fendi scavi e ti insinui, con quanti smottamenti il cuore incrini!
Come bimba vispa e curiosa che non sappia a freno tenere morboso istinto di sapere tu chiedi della mia vita e se a una meta il cuore vada. Ebbene fattati insistente dissetati pure alla mia fonte ma se di acre essenza sarà ripiena la coppa bada tutta tua verrà la colpa se le labbra vi hai voluto portare! Resa scabra dal calpestio degli anni è la mia vita e spianata non potrà tornare. Raggiunto da ceneri d'astri un tempo lustri di ideali or di tristezza vedo colorarsi i miei cieli di silenzi; appena un avanzo di speranza mi rimane e questo già mi basta. Sbucherà un mattino senza nubi scoprirò il fondo soleggiato di un bosco dalle cui foglie avanzerà un effuso stormire che al petto darà pace; per un attimo dimenticherò il distacco che mi aspetta, il buffo destino che fardello resta alle mie spalle. Vivrò attese di tremori umani martelleranno flutti la marina e nelle solitudini che ci afferrano ne udrò il rimbombo grandioso; fisserò sull'orizzonte il sole che nasce e muore come l'amore; mi carezzeranno fiocchi e petali erranti al respirare del vento. Un raddolcito indugio, non so se dalla sorte mi sarà concesso: gioco forza, impietrito un dì dovrò poi... mettermi in viaggio. In sordina, oggi o domani, me ne andrò senza voltarmi come chi persuaso dagli accadimenti sa, da tempo immemorabile, che indietro giammai si torna; fronda di ramo secco su cresta d'onda mi lascerò condurre alla foce. Verranno tempi di memorie, in una certezza di luce ch'io da poco affetto oscurato non ebbi mai da te sarò ricordato, per essere stato solo me stesso e non blabla da altri... inventato.
Perduta e ripensata amica un anno di assenza piena non cancella l'inciso ricordo che come cicatrice resta. Il calore di un sogno, sai di me prese possesso quando dal nulla emersa in incognito ti incrociai nell'attimo che brucia Se almeno un giorno, mi adducesse lauto un sorriso respirando ancora mi illuderei che da te fuggito poi mi abbia raggiunto con la tenacia e il passo di colui che, stanco di miserie, in cerca di fortuna salpa per dove qualcuno l'aspetta. Ma nulla esplode né vira tutto trascorre svogliato da tempo quasi infinito! Inesorabile e crudo un divenire affievolisce ogni luce il cuore ombre sposa e nell'oggi uguali all'ieri si perdono sogni e colori. Verrà domani e nulla accadrà; come sempre, svanirai di nuovo. Raccolte negli occhi disseccheranno al sole le speranze che hanno guidato uno sguardo e illuso una mente nutritasi di sale greco. Ah, come rabbrividisce questa mia vita romita a cui nessuno parla e neanche tu ascolti! Se imprudente affiorassi dallo spesso fondo che ti serra riposerebbero gli occhi! Nel cielo me ne andrei cavalcando nuvole rosate addolcito dal solo pensarti.
Che m'è succiesso da quanno mettennemo na mazz' 'e scopa sott' 'e cosce, comme si fosse stato nu cavallo, cu na scimitarra fatt' 'e cartone rinfurzato curreva a fa guerra cu 'e nemico ca steva p'arrivà; ... da quanno m'abbuscaje na preta ncapo, doppo na secutiata? Che m'è succiesso da quanno appuntunato all'angulo 'e nu vico apettava tremmanno ca passasse na guaglione e 'o core dicesse: - Mò ca passa lle facci' 'o surdeglino, m'accosta e lle dico : Vuje, mme facito suspirà! -? Che m'è succiesso 'a quanno na femmena me mannaje addì ca mme vuleva e i', gamme chïate, appuiato restai nfacci'a nu muro c' 'o core ca sbatteva e tremmava p' 'a nuvità? Che m'è succiesso 'a quanno addiventato n'ommo, sturduto d' 'a speranza ca runzea, mpapucchiato da mille sbarìe 'o tic-tac 'e nu rilorgio accuminciaje a cuntà juorne, anne e malincunie? Che m'è succiesso? M'è succiesso ca me so' fatto viecchio! St'uocchie senza chianto e stu core tutto curaggio hanno capito 'a verità! Mo 'o saccio! E chi se ne mporta si me restano 'a sfuglià sulo poco paggene primm' 'e nserrà 'o libbro d' 'o destino, c' 'a vita, passanno comm'o viento arapette tànto tiempo fà!