Ci saremmo dovuti incontrare prima o poi da qualche parte, era questo il nostro accordo. Se saresti tu venuta da me o io da te, non ricordo. Creduli, a noi stessi l'avevamo promesso, quasi a fugare il timore malamente celato che forse ciò non sarebbe più potuto accadere. Io lo pensavo e tu non lo dicevi che se ogni falda è prosciugata in pozza d'acqua morta l'acqua non torna mai più chiara. Estinta, or tu sei sotto una croce io a temere per questa mia vita che poco amo e a malincuore abbraccio vuoto ad altro vuoto si aggiunge vero e duro è: ammetterlo! Si cresce di dolore se si scurisce la linea all'orizzonte a cui guardi e così si ruzzola ad ogni oscuramento; viene un soffio gelido in una corte vi passa e strappa foglie morte, tu guardi e con il cuore in lacrime ripensi ad ogni affetto perduto. Appena ieri, con un nodo alla gola, ho dovuto prendere atto che ci saremmo riabbracciati solo nel ricordo. Oggi festosa ad altra vita, tra volte stellate, anima tu torni. Si apre un solco nel cielo e vi passi; il virgineo tuo candore impallidisce quello alato della schiera che ti aspetta. Lassù, già addolcita e conquista il tuo sguardo casto l'infinito indifferente. Per intero percorso il calvario dei giorni, distaccatasi da questo mondo, colomba t'aggiri per elisie sfere sgombra di pena e di dolore dimentica dell'immeritato male che la vita con accanimento ti addusse. Ieri notte, sai io che così di rado sono visitato dal sogno, tua madre ho rivisto come se fosse stata reale: con un sorriso, più ampio e solare di quelli che in cuore conservo da quando era viva, mi ha detto che tu già preghi per noi, per noi che canne al vento frali e ondulanti restiamo, qui, sul ciglio romito di un presente che scoscende e tra indifferenza e stagioni al sole e all'ombra si consuma. Oh povere stente strozzate parole, balbuzie che dir vorrebbero e... non sanno!
Quando con le sue mareggiate uomo tristezza ti palleggia venuto meno il pericolo di dire parole indurite a chicchessia accorrono e fanno ressa nugoli di pensieri che non puoi fermare. Progetti e ricordi, in gran pompa sfilano e ti danzano intorno; ti rivestono con le loro trame li odi e ti mozzano il fiato: tu, chiudi gli occhi e non dici parola. Ieri, oggi, domani... gli sterili figli della nostra vita mortale, i fantasmi del nostro durare che ci ricatturano con le loro storie! Come lontani spari in giorno di festa che l'occhio non vede il cuore che batte e spera il rimbombo ne ascolta. Velleità, ideali pagliuzze accese, faville che pur rivivono nelle pupille espulse da neonati vagheggi nel silenzio chi sa dove frottole andranno a morire! Cederesti del tutto. Poi, improvviso si spezza il cerchio attorno a cui giri senza saperlo rinvieni e ritrovi il respiro. Pacato, dentro più non ti guardi, riprendi il tuo ritmo umano... Ma lo scontento ben presto riparla, allarga le braccia e ti viene incontro di te ancora prende possesso, ti fa suo! Cessa l'interiore sciabordio: ozia l'ora e si annera il tempo; spogliato rimani di ogni senso. Dimesso, tra scherni di ombre che covano fredde sere future riarso ripensi alla vita che passa... alla speranza che al limite vana ti consuma rigonfio d'illusioni. E mentre più accidiato temi gli sfasci che il vuoto perpetua riascolti i passi dei nemico che conosci il niente e la morte. Tra scaglie e pietre arse, assetato di sereno essere pure ritorni a cercare una polla per dissetare la speranza che domani ritrovi un altro te stesso.
Se mai ce ne fosse bisogno compiaciuta spendi a mio favore qualche frizzante e olezzante parola quando interrogata da civettuole di me lontano a caso racconti: nel totale, poi sai non sarò così diverso da come mi vuoi. A chi non sa nulla di noi e non è toccato da amore mostra che giusto avevano visto i nostri cuori, che un miracolo esistenziale, tardivo e raro, pur è possibile per chi spera. Ben di rado ci è consentito ribaltare un destino franato ma testimonia che ancor talvolta è possibile che una bottiglia vuota si riempia e disseti una vita che anche gli uccelli di malaugurio possono essere smentiti quando pregni di sicumera cianciano che da una pozza torbida mai si può attingere acqua chiara. -Chi da luce rischia il buio!- proclamò un poeta correremo questo rischio improvvisata dicitrice tanti curiosi poi lasceremo a bocca chiusa e con un palmo di naso.
Nell'azzurro infinito un bioccolo argentato, come isola lontana avvisto nel mare cielo. Che farà là solo e immoto, non teme l'appressarsi dell'ora che scardinerà il suo batuffolo di vapore mutandolo in altra fattura? Incerto e ignoto è ogni destino! Se penso al mio nei mutamenti che il dolore imprime viene da interiore cisterna sonora l'eco di un tonfo di vuoto accadere. Perché non rende il viver una ragione? Oh il miraggio che ci inganna e del vero ultimo ci priva! Almanacchi di pagine indecifrabili studieremo un giorno nell'Aldilà! In un fermento di puro silenzio, riapriremo il solco sempre assetato di una conoscenza che non appaga l'antico bisogno di saper per certo perché qui siamo e non altrove.
Del difficile mestiere di vivere come te, poco e male appresi: spezzare il cerchio della solitudine oltre l'ozio guardare la luna e i falò appieno comunicare con gli altri scovare una fida compagna foggiare amore e illusioni emergere da un torbido domani precluse attività io le riconobbi: goffo, tutto mal intesi negli anni. Tu forse più di me sapesti che se ben interiorizzati e seguiti (assecondandone il ritmo) soffrire diventa meno caro e l'esistere si fa desiderio continuo che vuoi appieno godere. All'alba, all'invito degli eventi sorridendo al sole che ti guarda ti persuadi ad andare per il mondo: un viluppo poi segue volubile frana si sfrangia e smentisce quanto strepitante avevi creduto. Se vieni ai ferri corti con la vita bisogna che raschi con perizia la pruina delle illusorie apparenze per trovare un senso a quanto ti accade e metterne in luce la vera sostanza: il significato supertemporale il rinveniente che non si racconta il pathos sgusciante che non si descrive l'esaustivo che giustifichi e plachi una vita febbrile scondita e rapinosa. Ammettiamolo pure senza sforzo: bisogna ben conservare la speranza e attizzare l'abitudine di illudersi non irrigidire l'elasticità istintiva se vogliamo con gusto sopravvivere se non vogliamo già stenderci stanchi, consapevoli e più lucidi, nella fossa tombale del nulla.
Da che respirai a pieni polmoni fragranze di rose quanti sono gli anni passati, quanti petali e ciuffi poi il vento ha strappato al petto e al crine di giovanili speranze portandoli via! Tra sassi e streppeti, stanche membra, aggirandosi tra ricordi, vitali tremiti cercano in una sterile ascesa di duri e infittiti silenzi. Solo un cigolio di anni, di tanto in tanto, stridulo ancora risuona lungo una solitaria strada senza ritorno, solo malinconie indelebili come scarabocchi imbrattano le nivee pagine dell'anima mia! Non basta, non basta la speranza a ricomporre quanto il tempo disfa con le sue nefande devastazioni ricorrenti! Non può la cenere ritornare ceppo e il ceppo tronco, non può il fiore avvizzito espandere la corolla se gli stami non smettono l'incessante morire! Tutto è uno scendere infinito senza salire. Senza riposo, polvere, traspirata dal tempo, sulle cose si addensa e, ne sommerge l'essenza. Cristalline trasparenze offuscate cedono il passo ad obliqui profili dalle oscure movenze! E mentre perdute presenze salpano per sempre per mete d'oblio tra tristezze nuove e antiche, il cuore afflitto si mostra sciogliendosi in pianto in uno sfioro d'angoscia.
È un nuovo giorno, albeggia. Strisce di luci tenui emerse dall'orizzonte annunciano e dischiudono un nuovo giorno. Adagio, dai pendii, migrano nebbie mattutine; i suoi giri perpetua la ruota degli eventi senza posa. Su erbe intirizzite da brine, calano e poi d'improvviso si involano gazze e passeracei solitari; di tanto in tanto, chissà da quale punto, giunge un impeto di vento e si allontana, si tinge l'azzurro di colori prediletti e rari. Lontano dai ritmi imposti dalla città operosa, con occhio gaio, in una radura di molli zolle, già bivacco con i miei pensieri. Non un blando brusio, non un fruscìo corrompe la solennità del silenzio che dilaga; spettatore resto di una quiete inusitata. Ah il ricomporsi della semplicità delle cose, il sollievo dell'orecchio dagli insulti rumorosi, le fragranze dei profumi campestri, la quiete dell'aria pura che altro respiro al petto dona! Lieto sono di essere presto fuggito dall'insolente erompere dell'aspro rullare di umani strombettii scordati, dall'invivibilità dei chiusi recinti di case, dal timore di essere pressato malamente da calca umana. Starsene soli ogni tanto, riscoprire un senso di vita smarrito, affrancarsi da un sottile e celato affanno che opprime il cuore, udire chiaro e secco il richiamo misterioso dell'immanenza, fermarsi per un poco su una piazzola del ripido pendio della vita e ammirare la terra e il cielo prima che un moto ineluttabile mi precipiti senza avviso, codesto tante volte è baluginato tra le mie brame. È solo nei brevi momenti in cui ci riappropriamo di noi stessi che avvertiamo l'infinito perdurare di un attimo, che spezziamo i reticolati dei nostri confinamenti e corriamo, corriamo tra distese di emozioni con una dolcezza e un tepore nel petto dimentichi di essere... atomi volatili del vivente!
Nello spietato specchio, ogni mattina, da anni come bolli sul passaporto dei miei viaggi per la vita rughe fanno mostra ricordandomi che vivere è fatica che non c'è pace né tregua nell'esser vivi! Invisibili lacrime segrete a me stesso disperate scorrono mute per solchi d'anima nello strazio vivo di un pesante momento di verità spesso fuggito. Ancora, per altri giorni, in uno slancio stremato, affannato correrò per la vita agonizzando ad ogni passo dietro tramortiti sogni rimpianti e ingialliti. Continuerà il tumulto che stagna nelle radici sommerse dell'acre speranza che al niente conduce! La sera poi verrà e come in un assaggio di morte le sue ombre mi correranno incontro s'aprirà l'altra porta di un oscuro ingresso! Perdendomi in quel buio che si para innanzi svanirò in un infinito e disabitato silenzio.
Spesso e a lungo, con vecchi e giovani ho conversato: le iperboliche scorribande di un pensiero inquieto e inappagato per un po', loro malgrado, hanno seguito. Sorretti da certezze, stabilizzati e ancorati, ad un dubbio non hanno oscillato, paventato un possibile sospetto all'insinuarsi che qualcosa pur non tiene hanno scartato l'idea che una bolla d'aria teme gli abbracci degli uomini senza dei o demoni e che mai poi arriveremo nel mezzo di una verità in cui si veda chiaro. Nessuna sorpresa, c'era da aspettarselo: non si differisce da ciò che si è, come paratie ermeticamente chiuse le convinzioni, tengono! Dopotutto, insidiare una mente per minare una radicata sicumera da tempo accreditata, agitare il frullino nella testa di un altro e costringerlo a domandarsi della vita non è buona cosa, né aggrada. Se si scuote dal sonno un acquario le turbolenze intorpidiscono ciò che è limpido e noi, vogliamo sempre vedere chiaro; godere la dolce ignoranza che ci fa felici, tenere a bada il fioretto invisibile che ci trapassa. E così tutto accade perché siffatto deve accadere; la ricognizione sulle cause del perché del nostro stare al mondo la si lascia ai pazzi o ai singolari, il tempo non impegnato, edace, è contingentato e... ben altro abbiamo da fare!
Quando tristezza come sinibbio l'anima sferza e il deluso giorno cade svanendo in remoto orizzonte non chiedere, al cuore vuoto che già si aggira tra ombre di fari, se la felicità o qualcosa che le assomigli pure esista. Conoscerla o l'umano privilegio di possederla non ci fu dato! Ma se un giorno, per un disguido dell'impossibile, da qualche parte io dovessi scovarla ridotta in fluido microscopico pulviscolo (pompandola col respiro dell'anima mia) come essenza per il mondo la spruzzerei su chi privato è di ogni sorriso.