Scritta da: Dario Pautasso
Il poeta perfetto
Il poeta perfetto non vuol esistere,
egli si nasconde nel buio:
non potrebbe sopportare
il dolore lancinante
della sua eterna bellezza.
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Il poeta perfetto non vuol esistere,
egli si nasconde nel buio:
non potrebbe sopportare
il dolore lancinante
della sua eterna bellezza.
Sono entrato nella piazza
curvo sotto il peso
che portavo ben chiuso sulle spalle:
la gente ronzava come sempre
ed io ho detto: eccovi!
Eccovi il sole,
non ve l'aspettavate da me!
Ho lasciato cadere quella palla
infuocata di meraviglia
proprio lì, ai miei piedi.
Tutti si coprivano il volto,
abbassavano lo sguardo
urlavano come impazziti.
Spegni quella maledetta luce!
Ben presto la piazza era vuota
solo il vento brontolava nel candore.
Le persone, tutte, chi qua chi là
s'erano rifugiate nelle stalle
nei bunker antiatomici
nelle cave delle miniere
ovunque fosse buio.
Abbandonai il sole e le seguii
dentro uno scantinato sudicio
immondo d'odori di
sudore e lacca e fiati gravi
e deodoranti e merda e paura.
Allungai le mani per farmi spazio
e sentii le forme cadenti
dei corpi compressi nell'oscurità,
m'appoggiai al ventre obeso
di una vecchia donna
che si strinse al muro bestemmiando
e finalmente ero calmo
finalmente sicuro
finalmente a casa.
L'ultimo bicchiere
prima che le stelle mi strappino via
Addio bei occhi verdi
Addio pianto eterno
scappo con le mani
che indicano il mondo
dai lati
lo citano dai lati
lo scrutano dai lati.
Dai amico, ancora un bicchiere
l'ultimo bicchiere.
Canta il gallo
e le stelle mi strappano via
Addio arbusti di luce*
Addio gelidi venti.
Nessuno è venuto a raccogliere
brandelli di carne.
Nessuno è venuto a porgermi
meraviglie nei palmi caldi.
Vedi Dio?
Non hai voluto ascoltare il mio
bel canto di gioia.
ed ora è troppo tardi:
nel vetro di questo ultimo bicchiere
si schianta il mondo
in un frastuono d'ebbrezza.
Addio bei capelli di fieno
Addio sorriso da copertina
Arriva il giorno
e le stelle mi strappano via.
Se fosse la prima volta
avrei dolci parole
per narrarti sogni a lieto fine,
porterei tra le mani una margherita
fresca di campo
ed avrei occhi di meraviglia
nei tuoi occhi.
Se fosse la prima volta
avrei mani calde
per stringerti
e un fiato dolce di campagna
per congratularmi del tuo sorriso
così giovane,
così vero.
Ma sei una poesia che ho già scritto
quando ero troppo giovane
e troppo arrogante per guardare
oltre il mio sguardo;
sei una poesia che ho già scritto
con mani impastate dei colori
dell'inesperienza.
con grazia dinoccolata d'immaturo,
con voce fredda d'incuranza.
Se fosse la prima volta,
ma sei una poesia che ho già scritto
nel momento sbagliato
quando le parole scorrevano
frettolose ed imprecise
come un canto stonato
nella notte.
sei una poesia che ho già scritto
e ora, guardami,
le mie labbra sono mute
come terre
desolate.
Nulla è reale
se non ciò che ci fa star
bene
o male.
Non c'è vita nella vita se stai soffrendo troppo.
Non c'è morte nella morte se sei in pace.
Il vuoto è pieno zeppo
se ti spaventa.
I fantasmi sono sempre esistiti
se li hai temuti.
I tramonti piangono le loro cascate
di colore
ai tuoi occhi
solo quando sollecitano un'emozione.
Ho visto tanti, troppi tramonti
in bianco e nero...
Ho ammirato notti senza luna
nei colori più sgargianti.
Anche il tempo si esprime solo
in gradi di sofferenza,
e lo spazio nei livelli d'immensità
con cui ci opprime.
Come un segreto indagatore
mi annido nella sofferenza,
dagli animi più bui
io traggo le energie
per l'ennesimo passo.
Come un ballerino
si muove grazioso
io, di roccia in roccia,
dispiego la mia danza:
le ginocchia sbucciate
e dolenti
l'animo in fiamme,
volteggio.
E tutto dov'è quiete
dove è richiesto
un volto di pace,
io taccio,
timoroso del mio stesso cuore.
L'ultima volta che ho baciato
i tuoi occhi ero calmo
come il suono di un ruscello
lontano.
Ero dolce quando già l'onda
cresceva dentro un cuore
riarso.
Avrei voluto che le mani
continuassero a non tremare
per carezzarti i fianchi
ma già il tuono rombava
incalzante
nella mia mente.
L'ultima volta che ho baciato
i tuoi occhi
sapevo che il muro
stava crollando
eppure il sorriso ci rassicurava:
piangevi di gioia
prima del tuono
prima che l'onda mi sommergesse,
ancora.
L'ultima volta che ho baciato
i tuoi occhi
ho sfiorato una lacrima
che innaffiava la tua vita
così genuina,
forte: il fiore più bello.
L'ultima volta
già le foglie del mio albero
si staccavano man mano
lievi ed atroci
tra il giallo accecante e il rosso dolente
nella nera pozza
degli addii.
Se guarderete tra la gente
vedrete un uomo che non è un uomo.
È un soffio di fiato che non è fiato.
È un'ombra.
Quest'uomo che non è un uomo
porta il peso di tutte le incomprensioni
di tutte le esistenze del mondo,
da sempre:
è l'angoscia.
Ha due braccia che sono travi
e un sorriso che è un pozzo
dove cadono le espressioni degli altri
senza lasciare traccia.
Niente speranze, niente sogni,
nessun segreto da proteggere;
il sole è pallido anche a maggio:
è l'angoscia.
Quest'uomo stravolge il cosmo
anche quando questo vuol starsene fermo,
perché le cose non sono cose
ma sono non-cose. E la vita non è vita,
è non-vita.
Così le stelle si confondono.
Egli non appartiene alla terra,
non rientra in nessuna categoria,
è solo nella sua lotta.
Non può non essere solo
perché, solo, lotta contro il se stesso solitario.
Questo fiato che non è un fiato
vorrebbe gioire
ma se lo fa tremano le labbra e smette subito
e se vuole piangere
non c'è lacrima che gli bagni la guancia:
è l'angoscia.
Quando quest'ombra comprende che è essenziale
a questo mondo, quando ci crede davvero,
quando accetta che non può esistere una forza oscura
che gli stringe le membra e gli affanna la mente
più forte di lei,
se questa forza è la somma dei suoi stessi pensieri
che sono il suo Io,
quest'ombra smette d'essere ombra,
smette d'essere fiato,
smette d'essere uomo.
È più di un uomo:
è un uomo che piange
che ride
che ama.
E il sole scalda la pelle.
Anche le stelle si riorganizzano.
Verrò a cercarti e ti starò vicino
quando nuovamente ti incamminerai
nelle desolate terre del dolore,
là dove c'è sempre una tacita battaglia,
là dove si è soli tra la moltitudine,
là dove i consigli sono vana parola,
verrò a cercarti.
Non credere che abbia in me
un motivo più degno d'esistere:
non ne ho.
Non credere che le tue dita sottili
che fragilmente tendi sul fragore del mondo
per ritrarle ratte e tremanti di paura
mi sconfortino.
Non mi sconforteranno.
Non credere che io ceda nel vederti nascondere
nella fragile mano i vergognosi occhi
di cui un tempo vantavi il fulgido bagliore turchino,
perché io,
io non cedrò.
Verrò a cercarti quando ti nasconderai
nel roveto del tuo rifiuto,
nelle tetre pianure degli addii.
E sarò silente nel tuo silenzio
ben desto quando vorrai parlare...
e nulla più.
E se dovesse essere questo
ciò che è vita,
se non dovesse esserci altro
che io farò,
sarà la mia vita
e la vivrò pienamente...
(... cercandoti,
per starti vicino).
Gettato supino sul villoso prato
col cielo di giada che volge al giorno
ascolto il passo appesa sospirato
delle lumache nel loro cauto ritorno
ai bui anfratti, alle segrete loro
al doveroso ristoro or che la brina
al sol nascente si solleva e scema
in vacillanti vapori di fugace bruma.
E d'esse, una, che nel braccio mio disteso
ha trovato impedimento al natural cammino
d'ogni animal notturno quand'è mattino,
s'arresta, incerta, finché col corpo teso
scivolatami sopra, torna al crocevia
dei folti steli d'erbe, ed io illeso
tremo al solletico di quel dolce viaggio
inciso sull'arto dal lucente segno
che tutt'intorno irraggio.
Le fronde strepitano al frizzante vento
e tra di esse innumerevoli frullii d'ali
d'uccelli, che ora paion dieci, ora cento
alcuni vociferando aspri, altri sussurrando canti
di richiami d'amore o di volgar confronti
di chi vive la libertà, e ogni giorno col suono
d'ugola che a noi par donato da nude divinità,
avanzan leggi sulle di ciascun proprietà.
E l'allodola che tra tutti innalza il suo sublime suono
e il frenetico merlo, che al suolo schiocca brutale
e una gazza che grida rauca il suo gemer infernale
e il fischiare fine dello storno
e poi ancor di tutti gl'altri passeracei
un sol brulicante assolo di contorno,
finché il collo incassato e goffo di un airone
con l'ampie ali e 'l volo leggiadro e fino
dal fremer tutt'intorno distoltami l'attenzione,
mi solleva alla mente il ricordo fanciullino
d'un giorno cupo, tra le mani un grigio aquilone.