Estate. Sotto il cielo stellato si canta, si balla, si ride alla vita di sempre. Stella cadente, messaggio di un mondo lontano, in un soffio dorato di luce ti spegni ignorata, tradita, delusa.
Stradina snella che corri veloce nel bosco, mi vedesti felice, mi ritrovi uomo. Cammino, e sento il tuo fresco respiro baciarmi la fronte, e sfiorarmi le ali, ed attenderne il volo... Solitario sentiero amico degli alberi alti che vestono il monte, son tornato da solo: ed ho solo rimpianti, non più ali da tendere al cielo.
Guardo la splendida voluta barocca risplendere dall'alto dell'infinito del mio cervello tetro. Col becco adunco e quindici artigli rossi di vergogna, seduto su mezzo cavallo bianco, ho cinque scudi di vetro sulla fronte bruciata dal sole.
Sospira profondo il vento notturno che viene dal mare. Allarga le braccia, e accoglilo. Rimani in silenzio, e ascoltalo. Porterà nubi, tempeste e pianto; ma anche dolcissimi canti d'amore.
Un telefono squilla nella notte; e suona piano, tra le soffici coltri di una donna che aspetta; ed una mano ansiosa lo solleva dai profumati panni, perché lo squillo è atteso: è lui, il futuro sposo, come tutte le notti, ormai son anni.
Son anni, ormai, da che è crollato il mondo dei nostri sogni, da quel mattino, quando l'alba spuntò senza un mio bacio, senza l'amore vero, senza il frugar veloce dei miei occhi nei tuoi, dei tuoi nei miei...
La tua voce sussurra dolce una carezza breve che un giorno fu per me, ed oggi è per l'immagine, per l'ombra cui donasti il mio mondo: "pronto... pronto..." Ti risponde il silenzio. "pronto... pronto..."
Non è il tuo uomo, felicità perduta, non lo sposo promesso: è il singhiozzo del bimbo innamorato che per la vita ti ha sposato il cuore; è il sogno che ritorna dal passato; è lo sposo di sempre: è il primo Amore.
Notte d'inverno, c'è forse vergogna nel tuo mantello grigio? No: c'è il pudore di scoprire il tuo volto, quello vero di luci misteriose nel buio, per timore che i deboli vedano stelle in Terra là dove stagni di fango scintillano d'ombra dopo la pioggia sotto il chiaro di luna. Ma anche tu hai il tuo cammino: verrà la Primavera col suo manto di fiori; e non potrai sottrarti al tuo atroce destino d'inganno. Allora sarà festa per chi sogna diamanti che il tempo e la realtà muteranno in cenere. Ma i migliori di noi, quelli che sanno vivere, sapranno dosare il proprio futuro, sapranno programmare vita, entusiasmi e sogni del proprio presente, sapranno godere il tuo fascino antico senza cadere in ginocchio ai piedi di un'illusione. Notte che piangi legata alla tua catena grigia, forse di questi hai davvero vergogna.
E se accadesse? Se d'improvviso fossi io ad aver la ragione della realtà e dei fatti dalla mia parte? Se d'improvviso si risvegliasse il mondo che dorme, quel mondo il cui sonno io veglio da sempre, attendendo che riapra gli occhi e mi sorrida? Se d'improvviso scienziati, filosofi, sapienti e benpensanti si rivolgessero a me per conoscere a fondo come funziona il nuovo e incredibile "meccanismo"? Povero me!... Non avrei risposta, non avrei spiegazione... neanche il conforto di un discorso di circostanza da pronunziare in toga, tonaca o camice bianco... Solo un sospiro di sollievo, e un sorriso troppo incantato per non apparire ebete...
No, no. Quando il mondo si risveglierà, lo porterò con me a scodinzolare felice su per i pascoli azzurri dei monti del sogno. Subito. Prima che qualcuno possa rubarmelo, e addormentarlo di nuovo.
Le scale: chi le scende, chi le sale, chi ne è sceso e le risale, chi le guarda e gli vien male, chi diventa un animale a vedere chi le sale con fatica minimale in virtù del nazionale calcio in culo sindacale, baronale, clericale, sessuale, episcopale...
Ma...
c'è chi vive un sostanziale equilibrio razionale tra l'affanno esistenziale e la lotta abituale di chi scende, chi risale, chi li guarda e gli vien male, chi diventa un animale a guardare chi le sale; e sta là, col cannocchiale, nella piana alluvionale, dove non ci sono scale.
Non le scende, non le sale; e gli sembra innaturale, maniacale, demenziale, quella scala artificiale, quel furente carnevale, quella stramba cattedrale di miserie e capitale, quel groviglio colossale sindacale, baronale, sessuale, episcopale, comunale, provinciale, nazionale, universale...
Non le scende, non le sale. E neanche gliene cale.
Un uomo si era coperto di una spessa armatura di ghiaccio, per difendersi contro se stesso, perché gli altri sapessero che era grande, grande più di loro, grande più dei loro grandi. Ma è spuntato il sole ed è rimasto nudo, esposto al loro ludibrio, alla loro pietà.
"Calpestiamolo finché possiamo, prima che la luce del sole raggiunga anche noi".
Dolce brezza d'Aprile inondata di luce, mentre ero disteso su un prato una farfalla bianca si è posata sulla mia mano e mi ha rapito, mi ha portato lontano a giocare felice tra l'erba che cresce. Cresce dalla terra umida, dalle rocce verdi di muschio; cresce anche dal sasso appuntito che mi colpì alle spalle in un chiaro mattino d'Aprile mentre guardavo i fiori e sognavo la vita... Un sasso pentito che l'erba purifica, rende vivo e gentile come il cuore ferito raccolto morente e guarito da te, dolcissima brezza d'Aprile.