Ho sognato di entrare nella casa di una donna sola. Piena di foto immobili ingiallite e puzzolenti dalla troppa nicotina. Piena di cibo in cucina, nel frigorifero e nella credenza. Piena di parole mai pronunciate affogate sotto mille cucchiai di cereali al giorno. Piena di colpe e di pentimenti per aver ucciso suo padre e sua sorella.
Ho sognato di vivere un giorno con questa donna sola, l'ho sentita parlare e viver male un'intera giornata. L'ho sentita e l'ho percepita, l'ho capita. Talmente bene che non facevo quasi più caso alla differenza di età: la sentivo vicina, molto più vicina di qualsiasi altra persona, come se le nostre cellule fossero scritte allo stesso modo.
Io mi innamoro. Mi innamoro di chi sbatte di continuo il muso o la macchina. Mi innamoro della forza con cui ci si nasconde sotto le coperte o dietro un sorriso di continuo mostrato a tutti. Mi innamoro dei raggi di sole che escono dalle nuvole, di un pezzo di vetro che gioca con la luce. Mi innamoro delle foglie, degli alberi, dei gatti. Rimango persa nelle cose più stupide. Rimango innamorata di ciò che resta e di ciò che non si vede.
Mi innamoro del cuore di chi ha perso e di chi ha lasciato andare persone e cose tante volte senza parlare. Mi innamoro di quello che resta, di chi sceglie di rimanere.
Chi sono? Nessuno se non una, cento, o mille cose insieme. Un'attenta corsa senza meta, a volte disordinata ma perfetta, o una costante ricerca di un qualcosa da tempo nascosto. Il silenzio che urla ogni giorno, il vuoto nell'anima e il costante senso di inadeguatezza, di non essere all'altezza. Prima il nero e poi il bianco, poi di nuovo il nero e ancora il bianco E non importa se corro, se cado e se mi faccio male, se mi rialzo, se non mostro dolore o se mi maschero di sole. Perché io sono niente. Perché io sono nessuno.
Porto sempre con me una matita, dei colori e un pennello, in caso abbia bisogno di una maschera nuova fatta al momento. Non voglio mostrare il volto di un traditore o il volto triste e dispiaciuto per quello che (non) ho fatto, mi scuso, ma preferisco farvi vedere un sorriso e magari anche ascoltare una battuta stupida.
Ho bisogno di quella matita per disegnarmi tante mani così che ognuno ne abbia una pronta all'uso. Ho bisogno di tanti colori per dar vita ai capelli bruciati, agli occhi spenti e ai vestiti troppo scuri.
Ho bisogno di un pennello per stendere le immagini profumate di un finto futuro pieno di speranza.
Non credo di avere il talento che dicono. Ho sempre odiato la poesia e non so usare né la metrica né il ritmo. Insomma, niente da invidiare alla grande letteratura! Uno si mette a scrivere perché non sorride come vorrebbe, perché non può mangiare tutto quello che vorrebbe senza paura di ingrassare, perché non ha a fianco la persona che ama o perché ne ha alcune che vorrebbe allontanare. Uno si mette a scrivere perché ha bisogno di una scusa con sé stesso, perché non ha più voce per urlare, o forse perché non ne ha avuta mai davvero una e vuole tirar fuori tutto ciò che si agita dentro il petto.
Ecco, credo che il subbuglio porti ispirazione a volte ma non porta talento, no, quello lo si trova da qualche altra parte o ci si nasce.
Io scrivo perché vedo tante immagini e tanti colori, perché con una penna le visioni alterate diminuiscono e le voci nemiche spariscono.
Scrivo per placare la rabbia contro me stessa perché non credo nella violenza, né tantomeno in un Dio.
Mi piacerebbe parlarvi un giorno della strada che ho percorso, mi piacerebbe essere ascoltata anche se potrebbe apparire tutto troppo irreale. Non c'era nessuno ad accompagnarmi mentre la percorrevo, nemmeno me stessa. Mi ha abbandonato anche lo sguardo dopo tutto quel (non) camminare. Ascoltavo il silenzio, e non era poi così male.
Dimmi che non ho sbagliato, papà. Vieni qui e abbracciami forte, dimmi che mi vuoi bene e che non ho fallito. Dimmi che comunque non ho sprecato nulla e che ho fatto di tutto per riuscirci, papà. Vieni qui, ti prego, abbracciami, fammi dimenticare gli errori che ho fatto, e ti prego guardami negli occhi e poi stringimi, perché ho bisogno di te. Dimmi che non ti ho deluso, papà. Ti prego, papà.
Ho cambiato (ahimè) spesso idea nella vita, la cambierò di sicuro più avanti nel tempo e la cambio anche ora. Sogno di questo e altro, e di tante altre cose, come un vagabondo o un'artista senza pace. Sogno fiera di farlo, anche se consapevole delle prove commesse, delle strade percorse solo per metà dove facevo credere agli altri che sarei arrivata al traguardo prima o poi (forse, più "poi" che "prima" ). Ricordo i pianti in silenzio a sopportare la colpa, e la disperazione e la frustrazione che combattevo contro voglia e contro me stessa. Perché ad un certo punto te ne accorgi che non vai più, e cambi strada, cambi spazio, con un nuovo travaglio, una nuova destinazione. Sogno la mia vita come un film o un romanzo, con la consapevolezza che questo animo ribelle oramai non lo cambio più.
Ho venduto la mia anima tempo fa e ripudiato una gran quantità di storie. Per non parlare poi degli anni arresi e persi gratuitamente che ora si sommano sotto i miei occhi. In più ci sono gli incubi che vivo anche da sveglia, le paure in testa, il freddo e il vuoto, e le esperienze che mi appartengono, si, ma non si capiscono; non si sa se sono spaventate dal futuro, o se sono solo stanche di non servire mai a nulla.