Pioverà sui loro occhi, diverrano bianchi e ciechi di rabbia. Senza fiato toglierò i libri e le grandi profezie di un futuro silenzio finale; ricorderò quello che volevo, il fiume di visioni, di pelle rossa e specchi, un rumore di nulla, un profumo di nessuno.
L'aria sembra mancare e crescono i respiri, i baci, il battito. Ogni senso è in subbuglio alla sola idea di baciarti proprio lì, nel punto dove hai più brividi, quelli lungo la schiena che sembrano non fermarsi più. Le dita scendono e si intrecciano, la pelle si attacca e sono già ubriaca del tuo odore.
Ho atteso giorni e giorni, scrivendoti. Una boccata d'aria non solo nella testa, ma anche nello stomaco e nell'anima. L'attesa finì e lì avrei voluto fermare il tempo, trovare il tasto giusto per poter vivere di continuo quel minuto. Sparì all'improvviso la fragilità e la cattiva memoria lasciando spazio ad un cuore pieno di concretezza e leggerezza. Volavo con semplici salti, non toccavo suolo, la bocca deragliava con tutte le parole che voleva pronunciare.
Gli occhi sono stanchi e affaticati per il troppo guardare quel riflesso sconosciuto. Il corpo è morbido e strappato dalla sua stessa anima.
Sono zero o cento, cinquecento, a volte mille e altre volte cinquemila
i toni di colori che ricoprono quelle giornate che corrono veloci come la luce. Il cuore trema come una foglia al vento, diventa pallido, consapevole e desideroso di voler smettere di riempirsi.
Era più o meno a quest'ora ieri, sì, più o meno a quest'ora stavo come adesso, con un singhiozzo fermo in gola che brucia che asciuga lacrime non ancora nate. Era più o meno quest'ora ieri, si, più o meno quest'ora quando decisi di fermarmi e di ricominciare di nuovo, di crederci. Già, era più o meno quest'ora ieri, l'altro ieri e il giorno prima ancora quando non riuscii più a smettere.
Pensieri intrecciati pronti all'uso. Sogni suicidi, appesi e messi a seccare. Neuroni in sciopero per le troppe idee stupide. Mani tremanti. Desiderio di male.
Era così, ne ero certa, sapevo che dietro quella porta c'era tutta la mia forza.
Non bastava aprirla, ci ho provato tante volte, perché poi come una molla si richiudeva di scatto e rimaneva bloccata per giorni interi. Non potevo nemmeno lasciarla aperta con una sedia, perché troppo leggera per impedire alla molla di scattare. Non potevo sfondarla perché poi sarebbe caduta a terra, avrebbe alzato un sacco di polvere e ricoperto per intero le mie forze ed esse sono allergiche alla polvere.
Vi dirò, ci ho provato in tutti i modi e all'ennesimo tentativo rinunciai.
Finché un giorno, portando dei grossi scatoloni vuoti, chiesi aiuto ad un amico; lui aprì quella porta, mi aspettò, tenendola aperta, riempii di forza tutte le scatole, e la richiuse poi quando tornai indietro.
Non mi è servita né la potenza né l'intelligenza, per aprire quella porta; sono bastate delle impronte nuove, dei capelli intrecciati e qualche nuvola nuova d'amore.