Poesie dal Libro:Rime. Vol. 2

Autore:
Gaspara Stampa
Editore:
BUR Biblioteca Univ. Rizzoli

Scritta da: Silvana Stremiz
Rivolgete talor pietoso gli occhi
da le vostre bellezze a le mie pene,
sì che quant'alterezza indi vi viene,
tanta quindi pietate il cor vi tocchi.
Vedrete qual martìr indi mi fiocchi,
vedrete vòte le faretre e piene,
che preste a' danni miei sempre Amor tiene,
quando avien che ver' me l'arco suo scocchi.
E forse la pietà del mio tormento
vi moverà, dov'or ne gite altero,
non lo vedendo voi, qual io lo sento;
così pensosa io meno, e men voi fiero
ritornerete, e cento volte e cento
benedirete i ciel che mi vi diêro
dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Che meraviglia fu, s'al primo assalto,
    giovane e sola, io restai presa al varco,
    stando Amor quindi con gli strali e l'arco,
    e ferendo per mezzo, or basso or alto,
    indi 'l signor che 'n rime orno ed essalto
    quanto più posso, e 'l mio dir resta parco,
    con due occhi, anzi strai, che spesso incarco
    han fatto al sole e con un cor di smalto?
    Ed essendo da lato anche imboscate,
    sì ch'a modo nessun fess'io difesa,
    alla virtute e chiara nobiltate?
    Da tanti e ta' nemici restai presa;
    né mi duol, pur che l'alma mia beltate,
    or che m'ha vinta, non faccia altra impresa
    dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Vieni, Amor, a veder la gloria mia,
      e poi la tua; ché l'opra de' tuoi strali
      ha fatto ambeduo noi chiari, immortali,
      ovunque per Amor s'ama e disia.
      Chiara fe' me, perché non fui restia
      ad accettar i tuoi colpi mortali,
      essendo gli occhi, onde fui presa, quali
      natura non fe' mai poscia, né pria;
      chiaro fe' te, perché a lodarti vegno
      quanto più posso in rime ed in parole
      con quella, che m'hai dato, vena e ingegno.
      Or a te si convien far che quel sole,
      che mi desti per guida e per sostegno,
      non lasci oscure queste luci e sole.
      dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Come chi mira in ciel fisso le stelle,
        sempre qualcuna nuova ve ne scorge,
        che non più vista pria, fra tanti sorge
        chiari lumi del mondo, alme, fiammelle;
        mirando fisso l'alte doti e belle
        vostre, signor, di qualcuna s'accorge
        l'occhio mio nova, che materia porge,
        unde di lei si scriva e si favelle.
        Ma, sì come non può gli occhi del cielo
        tutti, perch'occhio vegga, raccontare
        lingua mortal e chiusa in uman velo,
        io posso ben i vostri onor mirare,
        ma la più parte d'essi ascondo e celo,
        perché la lingua a l'opra non è pare.
        dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          -Trami - dico ad Amor talora omai
          fuor de le man di questo crudo ed empio,
          che vive del mio danno e del mio scempio,
          per chi arsi ed ardo ancor, canto e cantai.
          Poi che con tanti miei tormenti e guai
          sua fiera voglia ancor non pago od empio,
          o di Diana avaro e crudo tempio,
          quando del sangue mio sazio sarai?
          Poi torno a me, e del mio dir mi pento:
          sì l'ira, il rimembrar pur lui, mi smorza,
          che dè miei non vorrei meno un tormento.
          Con sì nov'arte e con sì nova forza
          la bellezza ch'io amo, e ch'io pavento,
          ogni senso m'intrica, offusca e sforza.
          dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Il bel, che fuor per gli occhi appare, e 'l vago
            del mio signor e del suo dolce viso,
            è tanto e tal, che fa restar conquiso
            ognun che 'l mira, di gran lunga, e pago.
            Ma, se qual è un cervier occhio e mago,
            potesse altri mirar intento e fiso
            quel che fuor non si mostra, un paradiso
            di meraviglie vi vedrebbe, un lago.
            E le donne non pur, ma gli animali,
            l'erbe, le piante, l'onde, i venti e i sassi
            farian arder d'amor gli occhi fatali.
            Quest'una grazia agli occhi miei sol dassi
            in guiderdon di tanti e tanti mali,
            per onde a tanto ben poggiando vassi.
            dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Dura è la stella mia, maggior durezza
              è quella del mio conte: egli mi fugge,
              ì seguo lui; altri per me si strugge,
              ì non posso mirar altra bellezza.
              Odio chi m'ama, ed amo chi mi sprezza:
              verso chi m'è umìle il mio cor rugge,
              e son umìl con chi mia speme adugge;
              a così stranio cibo ho l'alma avezza.
              Egli ognor dà cagione a novo sdegno,
              essi mi cercan dar conforto e pace;
              ì lasso questi, ed a quell'un m'attegno.
              Così ne la tua scola, Amor, si face
              sempre il contrario di quel ch'egli è degno:
              l'umìl si sprezza, e l'empio si compiace.
              dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                Quando fu prima il mio signor concetto,
                tutti i pianeti in ciel, tutte le stelle
                gli dier le grazie, e queste doti e quelle,
                perch'ei fosse tra noi solo perfetto.
                Saturno diègli altezza d'intelletto;
                Giove il cercar le cose degne e belle;
                Marte appo lui fece ogn'altr'uomo imbelle;
                Febo gli empì di stile e senno il petto;
                Vener gli dié bellezza e leggiadria;
                eloquenza Mercurio; ma la luna
                lo fè gelato più ch'io non vorria.
                Di queste tante e rare grazie ognuna
                m'infiammò de la chiara fiamma mia,
                e per agghiacciar lui restò quell'una.
                dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Voi, ch'ascoltate in queste meste rime,
                  in questi mesti, in questi oscuri accenti
                  il suon degli amorosi miei lamenti
                  e de le pene mie tra l'altre prime,
                  ove fia chi valor apprezzi e stime,
                  gloria, non che perdon, dè miei lamenti
                  spero trovar fra le ben nate genti,
                  poi che la lor cagione è sì sublime.
                  E spero ancor che debba dir qualcuna:
                  - Felicissima lei, da che sostenne
                  per sì chiara cagion danno sì chiaro!
                  Deh, perché tant'amor, tanta fortuna
                  per sì nobil signor a me non venne,
                  ch'anch'io n'andrei con tanta donna a paro?
                  dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    Era vicino il dì che 'l Creatore,
                    che ne l'altezza sua potea restarsi,
                    in forma umana venne a dimostrarsi,
                    dal ventre virginal uscendo fore,
                    quando degnò l'illustre mio signore,
                    per cui ho tanti poi lamenti sparsi,
                    potendo in luogo più alto annidarsi,
                    farsi nido e ricetto del mio core.
                    Ond'io sì rara e sì alta ventura
                    accolsi lieta; e duolmi sol che tardi
                    mi fè degna di lei l'eterna cura.
                    Da indi in qua pensieri e speme e sguardi
                    volsi a lui tutti, fuor d'ogni misura
                    chiaro e gentil, quanto 'l sol giri e guardi.
                    dal libro "Rime. Vol. 2" di Gaspara Stampa
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