Le migliori poesie inserite da Alberto Iess

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Scritta da: Alberto Iess

In eredità

A chi è morto,
l'immortale nome di un'impresa.
Alla madre,
le prime lacrime del nascituro.
A chi è vivo,
drappi ed anelli, e tanti consigli.
Al padre,
orgoglio per i trionfi ed i successi.
A chi si fa da parte,
la cicuta in un calice dignitoso.
Al fratello,
restituisco l'ebbrezze condivise.
A chi verrà,
una spinta verso la sete d'infinito.
Alle nuvole,
venti carichi di grandine potente.
Alla terra,
il profumo dei corpi riabbracciati.
Al cielo,
mille lucciole eterne e silenziose.
Al giorno,
affido il ricordo delle mie allegrie.
Alla notte,
affido il ricordo delle mie sconfitte.
Al tramonto,
le mete sbriciolate lungo il sentiero.
Al tempo,
l'insensato, commovente divenire.
All'universo,
la tromba di una gaia profezia.
All'orizzonte,
la sfrenata passione per i miei sogni.
A tutto e a tutti,
lascio in eredità me stesso.
E a me?
Morendo darò anche agli sconosciuti,
perché avrò perso
ogni brandello
di ricchezza.
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    Scritta da: Alberto Iess

    Il focolare

    La legna è invecchiata,
    il plettro d'Empedocle
    l'ha ormai consumata
    in un prezioso falò.

    Ne restano le ceneri,
    brandelli di braci incolte,
    come in biondi capelli
    la forma di trecce sciolte.

    Ed io e voi, commilitoni,
    viviamo allo stesso modo:
    bruceremo la vita in fiamme
    e ci riconosceranno solo

    attraverso l'aroma grigio
    di ceneri in un focolare.
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      Scritta da: Alberto Iess

      Poetica dell'orizzonte

      Come placidi fanciulli in spiaggia,
      scrutate la rossa retta dell'orizzonte.
      V'immaginate fatui arcipelaghi
      e spiagge sospese sulle creste
      dell'onde, ingentilite dalla scomparsa
      della brezza marina. Regna la calma
      su quelle sabbie immacolate.
      S'avete l'ardore, cimentarsi ora
      nella ricerca delle terre del tramonto!
      Non giungerete oltre le colonne
      d'Ercole, e già sarete naufraghi...
      Caso volle ch'io bramassi prima
      di voi l'impresa squisitamente amara,
      tentando invano d'approdar ai lidi
      d'un ignoto e compiuto paradiso.
      Savio e sognatore son partito,
      pazzo e sconvolto son tornato.
      Scaraventato in balia di correnti
      incontrollabili, fino all'estreme
      porte del vizio e del volere mi son
      emancipato con depravata grazia.
      Ho provato tanta mestizia e
      così forte la carica del furore,
      che s'avessi avuto un compagno
      ad allietarmi il ballo tra le schiume,
      l'avrei felice affogato in mare.
      Narran della mia lotta colle vele,
      la raccontan come il mito d'Ulisse:
      invece resto un granchio senza chele,
      ché nella mia aspra peregrinazione
      nulla ho avvinghiato, catturato.
      Non c'è che la distesa di lapislazzuli
      oltre l'orizzonte, ed è infinita.
      E quella linea, quel vago bagliore,
      ad oggi resta fuggitivo, rincorrerlo
      rimane solo un deludente errore.
      Ho spinto la mia esistenza oltre
      la banale consistenza del volere;
      v'è solo danza del caso.
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        Scritta da: Alberto Iess

        La timida gemma di primavera

        Dicono l'aurora sia un canto per la bellezza
        e che la sabbia sia poesia delle ore perdute.
        Nelle ciliegie di maggio il rosso di labbra,
        i mille capelli che s'immergono nel sole.
        Sta sbocciando in un fiore di smeraldo
        e rubino, questa timida gemma divina.
        Composta venerdì 29 ottobre 2010
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          Scritta da: Alberto Iess

          Lo stupro di Aghanaskar

          Veli insozzati dai calici,
          il mantra dello scorpione
          biascicato come supplizio.
          Bugiarda, Aghi, bugiarda.
          La scalinata pel tuo vessillo
          s'è ulcerata al grido di duna,
          e i gradini han abbracciato
          la secchezza della sabbia.
          Ora è tardi: non alla sera,
          non sotto le labbra di Virgo.
          Respira, questi profumi,
          quest'armature, l'ovunque.
          Il povero cigno dibatte
          l'ali appesantite dall'alghe,
          ma invecchia nello stagno
          coi piccoli, pallida tenebra.
          E tu, delle tue ali, che ne farai?
          E tu, madre del tuo rimorso,
          come credi l'abbandonerai?

          Ma la notte è paziente,
          e l'alba spesso temporeggia
          sotto spesse cortine di nubi.
          E l'attesa, tra tutte le funi,
          è la più fragile umana velleità.
          Così, mentre la luna nuova
          è troppo giovane per capire,
          e il sole tarda a rinvenire,
          ci immergiamo con languore
          in una selvatica danza,
          per dipinger col deserto
          la voluttà dell'universo.
          Non c'è pace per noi, Aghi;
          non dopo aver assorbito
          dal cuor leggiadro del vespro,
          gli intimi aromi delle nostre
          essenze. Stanotte spariamo.

          Il poeta è morto,
          la poesia esiliata.
          Figlie dello stupro,
          liriche d'assenzio.
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