Sì. Detta così l'ispirazione: la mia libera fantasia s'appiglia sempre a quei luoghi dov'è umiliazione, dov'è sporcizia e tenebra e indigenza. Laggiù, laggiù, con più umiltà, più in basso, - di là si scorge meglio un altro mondo... Hai mai visto i bambini a Parigi o sul ponte i poveri d'inverno? Dischiudi gli occhi, schiudili al più presto sul fittissimo orrore della vita, prima che un grande nubifragio spazzi tutto quello che c'è nella tua patria, - lascia maturare il giusto sdegno, prepara al lavoro le braccia... E se non puoi, fa sì che in te si accumuli e divampi il fastidio e la mestizia... Ma di questo vivere mendace cancella l'untuoso rossetto e, come talpa timida, nasconditi sotto terra alla luce ed impietrisci, tutta la vita odiando con ferocia e tenendo in dispregio questo mondo, e, anche se tu non veda l'avvenire, dicendo no alle cose del presente!
Quando mi immergo nel mare percepisco oltre l'orizzonte l'infinito, ma quando seduto in mezzo alla spiaggia tra pezzi di vetro e arbusti seccati o altri residui gettati chissà da quali mondi lontani io penso, mi immergo nel mio triste destino.
Senza accorgermene ho compiuto il giro di me stesso. Ho iniziato il racconto ma inavvertitamente sono arrivato alla fine ad illustrarmi, a nascondere nell'angolo del quadro la mia immagine. Con l'ultimo cabotaggio si conclude questa passione geometrica o forse solamente si arriva a prospettare la descrizione di un punto da infiniti altri punti.
Mi sono innamorata delle mie stesse ali d'angelo, delle mie nari che succhiano la notte, mi sono innamorata di me e dei miei tormenti. Un erpice che scava dentro le cose, o forse fatta donzella ho perso le mie sembianze. Come sei nudo, amore, nudo e senza difesa: io sono la vera cetra che ti colpisce nel petto e ti da larga resa.
Crescevan nella tomba le unghia a Giuseppe, morto, adunche. Liquefatto gli gocciava il fegato. Nelle cave orbite senza luce aveva due tenere rotule di Ririrì. Dal cervello putrescente e dalla teca si sperdevan milioni di pensieri in filiere per i cipressi del cimitero.
Dio verdolino come libellula, lì cercava di penetrare fra le estreme cellule. Ma gli oscurava a lampi la via, la Tenebrosa. Bolliva nel vicolo la pignatta - oh, quanto fonda! - di donna Riricchia. Nella valle in paura del vento, le canne. Picchia la notte sugli ossi secchi della tomba.
Intorno a me i rumori di mezzanotte creano il silenzio. Fitta nebbia nera: l'oscurità dove ogni occhio umano si perde ma ritrovare sa la luce più forte in un solo granello di buio. L'ascesa dell'astro ogni cosa riluce quando all'aurora dilagare si sente il silenzio passato. È giorno... Il silenzio più assordante risveglia la vita: continuo martellare di chiodi sul corpo livido di chi aprì in croce... le braccia.
Anima regale, eterno bagliore che rinasci tra le nubi dei miei pensieri e che dai luce all'oscurità del mio vuoto, la tua sublime poesia risorge sui resti di questa sorda umanità e sugli scarti di questa vita che ha reso muta la nostra voce interiore.
No te conoce el toro ni la higuera, ni caballos ni hormigas de tu casa. No te conoce el nino ni la tarde porque te has muerto para siempre. No te conoce el lomo de la piedra, ni el raso negro donde te destrozas. No te conoce tu recuerdo mudo porque te has muerto para siempre. El otono vendrà con caracolas, uva de niebla y montes agrupados, pero nadie querrà mirar tus ojos porque te has muerto para siempre. Porque te has muerto para siempre, como todos los muertos de la tierra, como todos los muertos que se olvidan en un montòn de perros agapados. No te conoce nadie. No. Pero yo te canto. Yo canto para luego tu perfil y tu gracia. La madurez insigne de tu conocimiento. Tu apetencia de muerte y el gusto de su boca. La tristeza que tuvo tu valiente alegrìa. Tardarà mucho tiempo en nacer, si es que nace, un andaluz tan claro, tan rico de aventura. Yo canto su elegancia con palabras que gimen y recuerdo una brisa triste por los olivos. Non ti conosce nè il toro nè il fico, nè i cavalli nè le formiche di casa tua. Non ti conosce il bambino nè la sera perché tu sei morto per sempre. Non ti conosce il dorso della pietra, nè il raso nero dove ti distruggi. Non ti conosce il tuo muto ricordo perché tu dei morto per sempre. Verrà l'autunno con le conchiglie, uva di nebbia e monti aggruppati, ma nessuno vorrà guardare i tuoi occhi perché tu sei morto per sempre. Perché tu sei morto per sempre, come tutti i morti della Terra, come tutti i morti che si scordano in un mucchio di cani spenti. Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto. Canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia. La grande maturità della tua intelligenza. Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca. La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria. Tarderà molto a nascere, se nasce, un andaluso così puro, così ricco d'avventura. Canto la sua eleganza con parole che gemono, e ricordo una brezza triste negli ulivi.
Potrebbero cadere tutti i muri innalzati per dividere noi anime gemelle da quell'abbraccio universale, ma se i nostri cuori non battono violentemente per far crollare le nostre ideologie, mai saremo capaci di Amare veramente e continueremo a percorrere le nostre strade indifferenti al buio che incombe sui nostri volti.
E ti assiepi invaso dalla solitudine, con la siringa dimentica nel braccio col capo rivolto al cielo, in una inutile attesa di una gioia già scomparsa.