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...l'animale si ferma su di un dirupo, raggiungo, un'intesa... un stretto viottolo invita a scendere, palmizi nascondono una strada lastricata, antica, percorro. Un piazzale vasto agli occhi si apre: piramidi fronteggiano, a gradoni, rapida scalinata invita a salire: in cima fauci aperte di ghepardo, pietra, osservo, mentre l'aquila si poggia sul braccio e la nera pantera accanto, orizzonti lontani negli occhi fissi... sono appena passate le tre: "presto, il chirurgo, qualcosa sta accadendo, grave...", l'infermiera di turno al telefono chiama. Le flebo collegate al braccio ferme, i sensori al collo, i tubi drenanti bloccati, suoni continui, come di stasi. "Che succede... fatemi vedere, chiamate l'anestesista... e lei presto, bendaggi, garze e quant'altro... tu scopri il paziente... Dio esclama l'assistente infermiera... sangue! Eparina... due dosi in vena... muove le dita, tamburella... dottore guardi! Alfabeto morse... respiratore, l'ossigeno, togliete la mascherina! Piano". Muove le labbra, accosta l'orecchio: "ti sono grato – sussurra – amico grazie, ricorda com'ero. Devo andare... la strada finisce qui, l'ultima corsa, il traguardo". Infermiere e assistenti asciugano una lacrima, il chirurgo copre il corpo con un lenzuolo, ma prima stringe la mano come per un ciao. Alessio fabretti 28/8/2019.
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