La ragazza che guardava gli aerei
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...in cui sembravo caduto, per sollecitarmi all'imbarco. Mi sentivo intorpidito come uno che dopo anni si era svegliato dal coma.
Seduto comodamente sul posto prenotato volutamente vicino al finestrino, osservai il luccichio della pioggia sulla pista che rendeva torbidi i contorni delle luci. Mi dissi che ero proprio un idiota! Avevo parlato per un'ora con quella donna, e non le avevo chiesto neppure il suo nome.
Quella sera ho avuto la mia storia. Ma la ragazza che guardava gli aerei non l'ho più incontrata. Eppure mi sono recato spesso all'aeroporto di Treviso, a volte per prendere l'aereo, altre volte semplicemente per scrivere, orse con la speranza inconscia di vederla di nuovo. Chissà se avrà letto il mio racconto e magari avrà sorriso riconoscendosi in esso. E così, anche dopo anni, quando il cielo diviene plumbeo e sta per piovere, non posso fare a meno di chiedermi se da qualche parte c'è ancora una ragazza che tristemente guarda gli aerei.
Quattro anni dopo, aeroporto di Tessera, un mattino di primavera. Questa volta è vestita di bianco e non indossa un grande paio di occhiali scuri. Ha imbarcato il suo bagaglio e si accomoda nell'area di attesa vicino al gate che le è stato indicato perché ora parte davvero. In una mano stringe due biglietti per Parigi mentre con l'altra accarezza un bambino di circa quattro anni dagli occhi azzurro cielo. Al bimbo addita gli aerei che atterrano e decollano, mentre narra di strane storie di hostess e steward che viaggiano di continuo. Semplicemente, sta insegnando a suo figlio ad amare gli aeroporti.
dal libro "Matrimoni scoppiati" di
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