Scrittore, filosofo, educatore e attivista sociale , nato martedì 9 settembre 1828 a Jasnaja Poljana (Federazione Russa), morto domenica 20 novembre 1910 a Lev Tolstoj (Federazione Russa)
Capì che oltre alla vita materiale di cui s'era contentata fino allora, c'era una vita spirituale. In questa vita spirituale si penetrava per mezzo della religione, ma non quella che fino all'infanzia avevano insegnato a Kitty e che consisteva nell'andare alla messa e ai vespri, alla casa delle vedove, dove s'incontravano persone di conoscenza, e nell'imparare a mente testi slavi col pope: una religione superiore, piena di mistero, che si collegava a idee alte, a sentimenti puri, ad una fede che non era un dovere ma uno slancio d'amore.
"Se cantassi così, come me ne vanterei!" Pensava Kitty, "come sarei contenta di vedere tanta gente sotto alle finestre! E a lei non importa nulla: pensa soltanto a far piacere a maman. Chi le dà quella forza di essere indifferente a tutti e rimanere così serena?"
"Sempre la stessa cosa!" Tutti, sua madre, suo fratello, tutti credevano necessario immischiarsi nei suoi affari di cuore, e ciò gli smosse la bile, mentre era solito non perdere mai la calma. "Che importa loro? Perché ognuno si crede in dovere di occuparsi di me? Di starmi addosso? Perché vedono che questa è una cosa che loro non possono capire. Se fosse una delle solite relazioni mondane mi lascerebbero in pace. Sentono che questa è un'altra cosa, che non è un capriccio, e che quella donna mi è più cara della vita. Qualunque sia per essere la nostra sorte, ce la saremo fatta da noi e non ce ne lamenteremo". Quella parola "noi" lo legava ad Anna. "Non occorre che c'insegnino a vivere. Loro non hanno idea della nostra felicità, non sanno che senza quest'amore per noi non ci può essere né gioia né dolore, non ci può essere vita".
Ecco come sono queste persone: una volta ogni dieci anni imparano due o tre parole del vocabolario e le adoperano addirittura al rovescio, convinti di sapere tutto. Dicono le parole, ma non ne capiscono il significato.
Anna entrò giocherellando con le nappe del suo cappuccio. Aveva il capo basso, ma il viso raggiante di una luce che non era di gioia ma somigliava al cupo rosseggiare di un incendio in una notte tenebrosa.
Aleksej Alexandrovic non era geloso. La gelosia, secondo lui, offendeva la moglie e nella moglie si doveva avere fiducia. Perché poi si dovesse avere questa fiducia, cioè un'assoluta sicurezza che la sua giovane moglie avrebbe sempre amato solo lui, non se l'era mai domandato. Ora, però, benché la sua convinzione nel fatto che la gelosia era un sentimento vergognoso e che bisognava aver fiducia non fosse turbata, si sentiva davanti a un nuovo fatto, illogico e assurdo, e non sapeva che cosa dovesse fare. Aleksej Alexandrovic era di fronte alla vita, di fronte alla possibilità che la moglie amasse qualcuno che non era lui e questo gli sembrava molto illogico e assurdo, perché si trattava della vita stessa. Aleksej Alexandrovic aveva passato tutta la sua esistenza lavorando in quell'ambiente di funzionari che della vita è solo un riflesso. E ogni volta che si era scontrato con la vita vera e propria, se ne era allontanato. Si trovava nella situazione di un uomo che sta per passare su di un ponte sospeso sopra un abisso e tutt'a un tratto si accorge che il ponte è smontato e l'abisso gli si apre sotto i piedi. L'abisso era la vita vera, il ponte la vita artificiale che aveva menato fino allora Aleksej Alexandrovic. Per la prima volta gli si presentava la possibilità che sua moglie amasse un altro, e si spaventava davanti a questa possibilità.
A tavola la conversazione oscillò nello stesso modo fra i tre soggetti inevitabili: le notizie del giorno, il teatro e la critica del prossimo. E quest'ultimo prevalse.