Scrittore, filosofo, educatore e attivista sociale , nato martedì 9 settembre 1828 a Jasnaja Poljana (Federazione Russa), morto domenica 20 novembre 1910 a Lev Tolstoj (Federazione Russa)
Gli era accaduto in quel momento ciò che accade sempre alle persone che, all'improvviso, sono messe davanti all'evidenza di una cosa che fa loro vergogna. Egli non seppe atteggiare il suo viso alla circostanza, visto che la moglie aveva scoperto la sua colpa: invece di mostrarsi offeso, di negare, di giustificare, di chiedere perdono, magari di affettare indifferenza - tutto sarebbe stato meglio che quel che aveva fatto - il suo viso, proprio involontariamente (azioni riflesse del cervello, pensava Stepan Arkadevic, che si dilettava in fisiologia) s'era atteggiato al suo sorriso abituale, buono, e perciò stupido in quel momento.
Le parve che non avesse lo spirito tranquillo, ma invece fosse presa da quell'irrequietezza che essa conosceva per propria esperienza e che in generale proviene dalla scontentezza di sé.
La maggioranza preferisce avere a che fare con donnine allegre: con loro un insuccesso dimostra soltanto che non hai abbastanza quattrini. Ma qui, invece, è la tua dignità che è in gioco.
Alcuni, incontrando un rivale fortunato, sono disposti a vederne tutti i difetti e negarne le buone qualità; altri, al contrario, desiderano scoprire per quali meriti il loro rivale ha vinto e non vedono in lui che i lati belli, per quanto ciò laceri il loro cuore.
E diceva la verità, perché di fatti Levin non la poteva soffrire e la disprezzava per la sua nervosità che a lei pareva così elegante, per tutto quel disdegno per le cose che le sembravano volgari. Fra lei e Levin si erano stabilite quelle relazioni che di solito si stabiliscono in società fra persone che apparentemente si trattano con amicizia, ma che nel fondo si disprezzano al punto che non possono neppure offendersi l'una con l'altra.
- Sì, caro mio, le donne sono il perno su cui tutto gira. Anche le faccende mie vanno male, molto male. E sempre per colpa delle donne. Dammi un consiglio sincero - seguitò, avendo tirato fuori un sigaro e prendendo in mano il bicchiere. - Ma su che? - Ecco. Mettiamo che tu fossi ammogliato, che tu amassi tua moglie, ma fossi preso di un'altra donna. - Perdonami, ma davvero non ti capisco, è come se io, dopo aver pranzato, passassi davanti a una panetteria e rubassi un pane.
- Non posso fare altrimenti - rispose Levin. - Tu fà uno sforzo e mettiti dal punto di vista di un campagnolo come me. Noi, in campagna, facciamo di avere le mani adatte a lavorare: perciò ci tagliamo le unghie e, a volte, anche ci rimbocchiamo le maniche. Qui invece si fanno crescere le unghie più lunghe che possono e si attaccano ai polsini dei bottoni che paiono piatti per non poter fare nulla con le mani. - Questo vuol dire che non si ha bisogno di fare lavori manuali. Si lavora col cervello... - Forse. Ma tuttavia mi sembra strano, come mi sembra strano che mentre noi campagnoli facciamo di tutto per abbreviare i nostri pasti e poter tornare subito al lavoro, qui tu ed io facciamo di tutto per allungare il pranzo e mangiar molti piatti senza saziarci. Perciò mangiamo le ostriche... - Già, naturalmente - replicò Stepan - ma questo è lo scopo della civiltà: far di ogni cosa un piacere. - Se questo è lo scopo della civiltà, preferisco restare un selvaggio.
È stato sempre così, noi russi siamo sempre così. Forse questa è una qualità del nostro carattere, la capacità di vedere i nostri difetti; ma esageriamo, ci conosciamo con l'ironia che abbiamo sempre pronta sulla lingua. Ti dirò soltanto che se un altro popolo europeo avesse avuto questa intuizione, l'inglese, per esempio, o il tedesco, ne avrebbe tirata fuori la libertà, e noi invece ne ridiamo.
Io non posso ammettere, non posso in nessun caso accettare la teoria di Keis, che, cioè, tutta la nostra concezione del mondo esteriore derivi unicamente dalle nostre impressioni. Il concetto dell'essere non ci viene dai sensi, giacché non abbiamo un organo speciale che ci trasmetta questo concetto.