E mi chiedo se si possa passare tutto questo tempo a mendicare, spiluccare, vagabondare ed indietreggiare. Ti vedo da lontano con la mano ritratta, il sorriso smorzato, di tre quarti per evitare il mio sguardo, silenzioso per glissare su ogni mia parola. Con te mi sento sottosopra, faccio tutto il contrario di tutto perché ho trovato quest'equazione semplice che pensavo fosse un modo di risolvere il peso dell'indifferenza, in realtà, di pesi ne prendo due sopra alle spalle, quello tuo per l'incomprensibilità di fondo che mi fa dare di matto e quello mio per il senso di inettitudine che, talvolta, mi pervade come impotenza crescente.
E assaggiarti come le primizie, fare un giro con le dita che tracciano percorsi su pieghe e fessure, catturare ombre e luci incastrate tra gli occhi semichiusi. Non separo, non divido, non mi sottraggo, ma aggiungo, moltiplico ogni gesto, ogni progetto su te. Nulla mi sa di vuoto, mi riempio in un pieno, in un totale. È difficile anche respirare tra le emozioni forti. Dove iniziano i tuoi occhi, dove finiscono i miei capelli, dove originano le stelle, dove continuano le mani, dove s'incontrano le voglie, dove si fondono le anime, dove penetrano le luci, dove ansimano le bocche. I gesti non mi obbediscono. Sei come vino che scorre nelle gole e che inebria.
E abiti nell'intercapedine del mio cuore fatiscente. Bevo l'acqua che scorre dai tetti e che si raccoglie nella grondaia d'un amore in costruzione. Anche stavolta mi tocca ingoiare detriti e terriccio, filtrare le impurità per quanto possibile, secernere il buono dal cattivo, ma molto veleno andrà a depositarsi lo stesso nel fondo dell'anima che non sa più di casa mia. T'aspettavi una reggia? Deluso? Vecchio castello decadente e senza ponte levatoio. Per raggiungermi? Guadare il fiume ed i suoi mostri! Per trovare cosa? Ricordi imbalsamati affissi alle pareti antiche, stanze sinistre e spettrali. E me.
Immagini eidetiche. Sinestesia. Carezze che si posano leggere come foglie e penetranti come guglie. Mi percorri dagli occhi alle caviglie. Attesa dolorosa come doglie, la tua mano mi raccoglie. Preludio.
Con te, è spesso alluvione. Rischio di allagare. Poi, spiove. Spiove sull'ansia, spiove sui muscoli tesi, spiove sulla mano che, ossessivamente, tira su la cornetta, poi la riposa, poi la riprende. Spiove sul sonno agitato, spiove sul letto dove mi giro e mi rigiro. Spiove sui tetti spioventi, spiove sulle nuvole che da grigie e cariche, pian piano si fanno meno paurose fino a diradarsi. Spiove sulla tua voce al telefono. Spiove.
La non fretta mi calma. Spezza il circolo vizioso dell'attacco e fuga che mi fa vivere con quella tragica quota d'ansia, come fosse un cavallo imbizzarrito, che non so gestire. Ed ho l'illusione di saltarci in sella e poter decidere nella libertà più assoluta, per prove ed errori, di poter cambiare sentiero e godermi il panorama di percorsi non battuti; vedere un "non ti scordar di me" nell'atto di sbocciare, una viola del pensiero istigarti a che il mio volto ti venga in mente, il volo di una rondine ricordarti che con me potrebbe essere primavera, un pesco in fiore richiamarti il mio profumo. La non fretta mi porta alla serenità: mentre colgo il bello ed il buono di ciò che mi passa accanto, trovo te seduto ad aspettare che qualcosa di dolce possa prenderti per mano.
Voglio volere volare, sentire la tua voce tra l'ombra e l'oceano. Non vedo seguito oltre le tue spalle perché ogni cosa inizia e finisce col tuo volto stampato nei calchi dei miei palmi quando mi avvicino per baciarti i sorrisi radiosi che mi fanno vivere e desiderare di esserci più che mai. Dirsi si, poi no, fuggire, andare e poi scoprirsi a farsi promesse che sanno di un "per sempre" recitato tra l'abbraccio ed il sospiro, tra uno sguardo ed un graffio. Incastrare le parole come i corpi, fasciarci di desideri come con le lenzuola.
Ed io dovrei cambiare e snaturarmi, adattandomi, adeguandomi a cosa? A chi? Non vedo grandi modelli cui ispirarmi! La maggior parte sono passati a miglior vita e qui mi rimangono solo un paio di rappresentanti!
Non potrei pensare ad altro materiale, per il senso di colpa, che non a quello che possa impastare la coscienza con il cemento armato per costruire le colonne che fintamente reggono l'impalcatura di una presunta espiazione.
Ho un problema nella valutazione degli individui! Quelli gettonati li valuto due soldi bucati da riporre in una tasca scucita di pantaloni di bassa sartoria e, quelli apparentemente sempre nell'ombra, per me valgono oro! Ora i punti sono due: o io non so riconoscere il valore delle persone e sono una psicotica che se ne va controcorrente rispetto alla massa informe, oppure sono gli altri che si avvicinano alle persone in base alla presunta fama che quest'ultime si costruiscono ipocritamente attorno, quasi fosse un'aurea luminescente, per scoprire poi che sono dei lanternini che si fanno scazzare dalle falene stupide che continuano a ronzarci e sbatterci contro!