Scrivo e leggo, leggo e scrivo. Le emozioni spingono la mia penna e muovono i miei arti. Più scrivo e più voglio scrivere; il mio cervello sembra non volersi fermare e il mio cuore continua a dettare. Mi rivedo in questi righi larghi, paralleli: in ogni rigo sono sempre io ma ogni rigo è, anche, un me diverso. Scrivere è parlare e parlarsi.
Egli, come se non aspettasse altro, proferì parola: "Giulio, lasciarvi, lasciare la mia quotidianità, è stato tremendo; la mia anima era qui ma il mio corpo era altrove e, allora, capisci come non sia stato, affatto, facile affrontare, nuovamente, i giorni. Ti dirò, sembravano tutti uguali, fermi, incolore. È stato come se il mio giorno fosse già passato. Ma proprio in uno di questi giorni ho trovato il coraggio di riprendere il mio giorno, ritrovando la mia anima. Così, ho capito quant'è bello scorgere un orizzonte senza pensare possa essere la fine di un mondo. Caro e vecchio amico, eccomi qua, eccoci qua". Guardavo Gianni, estasiato dalle sue parole.
È come se ogni battito fosse un fotogramma, l'istante immortalato, e noi vi siamo dentro come protagonisti o comparse o figuranti. È in quel battito che ritroviamo le nostre paure e il nostro coraggio, la nostra forza e le nostre debolezze, i nostri dubbi e le nostre certezze, la nostra coscienza e la nostra incoscienza, i nostri fatti e i nostri misfatti, la nostra faccia e le altre facce: il battito diviene un fotogramma del film della nostra vita, piccolo ma unico, uno ma essenziale.
Stavamo là, seduti, come fossimo in paradiso e ci sentivamo sospesi in aria. Non avevamo mai creduto di poter essere così vicini; più volte era capitato di sfiorarci col pensiero. Un ghigno, un sorriso, una smorfia, diventano quel rincorrersi con la speranza affannosa di incollarsi. Ma eravamo rimasti lì, in quel fugace batter di ciglia, in quel sorriso indicativo, in quella timidezza che stringe - a protezione - ciò che di più prezioso custodiamo dentro. C'eravamo, lo sapevamo, ma non trovavamo mai il coraggio di dirci. L'unica nostra terra diventava il nostro sguardo.
La bellezza è, anche, in questi ragazzi che si donano senza pretendere perché la più bella pretesa dell'arte è esprimere il cuore. Ai bambini si devono raccontare le favole perché i bambini hanno bisogno delle favole per crescere col cuore. L'arte è la favola di cui non ci si può privare e di cui non è giusto privarsi. In Italia, museo a cielo aperto, storia di ogni espressione artistica, l'arte dev'essere perorata e sostenuta secondo merito perché se una favola incanta significa che attraversa il cuore. W l'arte.
Perché dell'amore non si può raccontare il sapore, il gusto, l'intensità. Si può solo esprimere con gli occhi. Si scrive dell'amore a volerne cercare la vita. L'amore è come dire cielo: fino a quando non si riflette nella pupilla rimane cielo.
Un giorno mi sono detto: hai percepito le difficoltà di una quotidianità sempre più caotica e meno ordinata; hai definito le domande, gli interrogativi, quali spunti di riflessione che rendono almeno un senso, quando anche le risposte non potrebbero averne. Ti sei dichiarato ansiosamente tranquillo, rivelando, implicitamente, che – ormai - si può essere tranquillamente ansiosi. Hai ricordato le parole quali vecchie amiche, amiche intime, perché - in questa realtà - l'intimità, forse, ha vita nelle poche parole autentiche, vere, sincere. Hai scritto panta rei e carpe diem. Certo, tutto scorre perché la vita corre e non si ferma. Si cresce, si muta, si diventa altri e si scopre la verità. E si conosce la falsità.
Lo so... crescendo il mondo ci confonde e, purtroppo, spesso perdiamo il coraggio di credere nel nostro sogno.
Ma è proprio in quel momento che bisogna cogliere l'attimo.
Prova - un istante - a chiudere gli occhi. Cosa vedi? Non solo il buio ma scorgi, anche, una strana luce o delle luci, vero? Ecco! Oltre il nero degli occhi chiusi c'è un orizzonte luminoso che pulsa.