Sopra alla testa, ho il cielo nero pece, nessun barlume di vita bianco pace, con il cuore rosso vivo che mi tramortisce per come batte e fluisce. Vecchi ricordi, passi falsi, sguardi sinistri, mani destre ritratte.
Mi costringo alla fantasia, all'isola che non c'è. Acrobata, precaria, tipicamente instabile, assolutamente mutevole. Traballante sul reale, barcollante nel cuore.
Non sono più randagia. Non punto più agli occhi, di faccia, di petto. Ho sbranato con le fauci spalancate, gli artigli acuminati, graffiato con la mia stessa pelle squamata, ora, l'ho cambiata, come un serpente, a sangue freddo, misto a caldo, misto a stanchezza. Mi hanno trapiantato il cuore di un animale, ma adesso, sono letargica. Sono rimasta di schiena, erotica e silente, curva di cuoio rosato e seducente.
Fatta di fiori e rami, ché la carne mi cade per strada a brandelli sotto i colpi della vita. Sono la mia natura selvaggia, la mia soglia matrigna, l'indisponente, l'odiato, lo scherno, l'invidia per braccia e gambe che gesticolano e camminano normalmente. Ho le stampelle attaccate agli occhi per non cadere difronte alle immagini mentali che proiettano ricordi e li introiettano ancor più, relegandoli su un letto antidecubito, ché troppe volte mi hanno lacerato, aprendo le piaghe nella membrana sottilissima di emozioni e memoria. Profumo d'essenza di fiori di loto e ninfee sul pelo d'acqua di stagno che genera muschio sulle pareti umide di archetipi immaginifici, astratti, confusi.
E guardarmi sarà la tua condanna. Mi tesserai i capelli e le mie vipere morderanno. Groviglio di serpi dalle movenze flessuose. Consunti dalla pioggia, sguardo letale. Medusa. Decapita il mio cuore e sarai salvo. Parlami di perversioni cerebrali, mozzami i veleni e lascia che fluisca, rosso corallo, l'essenza del mio male, l'ossessione. Metamorfosi. Sgombra dai mistici sortilegi, ritorno donna. Mi salvi.
Mi scasso. Mi squarto. Mi spacco. Tuffo dall'alto verso la tua traiettoria. L'impatto è uno schianto violento. Volo donna e ne esco pesce, ma mai sirena e senza nessuna voce che incanti, senza più gambe per camminare, solo branchie per vivere dentro te e senza polmoni per vivere fuori. Nuoto, annaspo ed affogo tra i tuoi liquidi che mi dissetano e m'imbrattano.
Certi ricordi sono così sflauti e sbiaditi, al contrario, a tinte forti e cupe che si mescolano alla negazione ed alla rimozione ed il rimosso resta in noi come tarlo che logora da dentro le assi di ogni presunta serenità.