Mi racconterei delle cose che godono dell'aspetto dei luoghi sconfinati, poi tornerei dentro ai miei confini fragili, dalle sponde frastagliate e mi rannicchierei, costretta entro i muri del dubbio, del fastidio, mattoni d'argilla posti a pila e io, equilibrista dai piedi di cemento, con le spalle armate. C'è chi oscilla, io m'abbatto a destra e manca e resistere è gravità forzata.
Mi raccolgo in un modo che è solo mio che fa pensare sempre che fuori ci sia freddo e che la mia pelle abbia paura. Le sue mani devono avere a che fare con la neve, ché mi scosto e mi copro allo stesso modo di quando la finestra s'apre ed il gelo s'avvicina. L'attesa mi riguarda in modo esclusivo; gli occhi socchiusi e le pupille che lavorano sotto alle palpebre delicate, ché non è veglia, non ancora sonno, ma fa parte della trepidazione. Il volto pallido, trasfigurato e le mani stringersi a pugno per poi aprirsi e lasciare cadere la mancanza visibile sui palmi vuoti, tra l'aria e le unghie. Graffio pareti di nulla, intonaco cedevole di pensieri incrostati che vengono giù con la vernice sbiadita di certi sogni superati, incisi sulle scapole a monito delle prepotenti e sfacciate speranze giustiziate al fronte e seppellite in trincea.
Io parto dalle catene e dalla caviglia stretta a un piede del tavolo, quando la finestra è aperta e vedo precipitare dentro sole e profumo d'aria. Viaggio sulla scatola magica, lungo tutta la lunghezza dei capelli, e i polmoni sono anneriti dal fumo di sigarette inghiottite intere e ancora accese per vedere se dentro qualcosa brucia e se mi dico di sputare fuori ciò che soffoca in nome d'un respiro ampio che mi faccia i cerchi sopra la testa, come orbite di pianeti da saltarci su ad ogni costellazione che mi fa luce durante i balzi, in andirivieni emotivo, ché se qualcuno è coraggioso e ci sale a bordo sulla mia navicella poi scende col mal di mare; è lì che la libertà di pensare mi è vertigine, si srotola lungo i cordoni della paura di volare, standosene a fare il manutentore d'ali spennacchiate lisciando le piume e lanciando il volo, preparando lo slancio e mettendo in conto lo schianto. Ho inserito il pilota automatico sulla libertà, sull'emotività, sulla siccità, sul così è che va e vado anch'io, un po' per questo, un po' per quello con gli scioglilingua a portata di mano, con gli adagi popolari che mi fanno saggezza e con un cofano di cose sentite dire su di me che tutti sanno fuorché io. Mi scoppia l'idea d'una libertà riparatrice come fosse un kamikaze che poco lascia in vita di ciò che mi circonda per radere al suolo tutte le campane di vetro, dimenticando che dentro ci sto io.