in Poesie (Poesie criptiche)
Uomo di vento
Uomo di vento aveva il tabarro navigato e
dispensava a volontà folate e flagelli.
L'estate manifestava scomposta e sfruttata e
lui volteggiava: svuotato sgusciava in forma dimessa.
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Uomo di vento aveva il tabarro navigato e
dispensava a volontà folate e flagelli.
L'estate manifestava scomposta e sfruttata e
lui volteggiava: svuotato sgusciava in forma dimessa.
Non posso far altro che vederti in un
tempo improponibile, schivando le bagole
delle donnette e gli spigoli dei mobili.
Guardo l'orologio: le ore non si slegano
il tempo è surreale nel segno di Dalì.
Il gatto è a pancia in su.
Addento una mela: sto elaborando il
mio lasciapassare.
Gli abiti in fila indiana m'appaiono come
uniformi: con occhi e gesti nervosi li
scompongo, le scarpe scappano poi
entro in un taielleur.
Lascio la città che s'arrovella.
Scanso una lepre: la morte ride e passa,
chiedo manforte all'aria e mi soffia sulla faccia.
Sol'ora sono!
Qui, con il mio particolare che semina la felicità.
Lo sguardo buono -
Mani infarinate
e sculacciate.
Sole di ceralacca,
nel mio sguardo una tacca s'imprime
per cotanta bellezza.
Vedo fra le ciglia socchiuse
trascinare il grande sacco e
l'orizzonte, deglutire sazio.
Restò il racchio
sulla vite spellata -
cibo d'inverno.
Il novilunio -
l'oscurità attende
la nuova luna.
Non è tempo di quiete, fuor dalla finestra;
le nubi si rompono ed è tempesta
i piagnistei del vento calcano la terra,
che, pur tenace teme la rovina.
Difatti si staccano tegole dai tetti,
la natura da una forza è scossa,
che furibonda, spacca, toglie e solleva,
porta lontano, e cadono ai suoi piedi,
i resti di una guerra.
Non è tempo di quiete, nessuno è sordo;
si ascoltano le repliche del vento,
quel suo impetuoso malcontento,
che bastona le porte e, nei cortili,
la refurtiva porta,
facendola spostar di volta in volta.
Sopra il sofà, il cane sbotta d'un soffocato abbaiar,
vorrebbe dar conforto alla sua cocca,
però sta anche lui ad ascoltar,
il tempo in lotta.
I muri parlavano si dicevano tutto!
Le fessure, le fessure erano le loro bocche
i pori respiravano anche il veleno, tutti
quanti gl'istanti s'amalgamavano: nella
stanza una luce nasceva e spirava.
Alberto, era fra quei muri il più silenzioso
le sue mani aprivano mondi d'argilla
compagna, arrivava a misurare
la scheggia solare.
Vento violetto-
s'inabissa il sole
vaga il plancton.
È un tuo compito ungermi, primavera.
Ti sto aspettando, con le piante che
vogliono sgemmare, nello squinternato
andar del tempo.
Sotto la scorza di zocca la formica origlia.
Dal becco infangato della rondine, intravedo
la ricostruzione.