Tremiam di freddo,
il sol sbrina pian piano,
vin brulè beviamo.
Composta nel febbraio 2003
Tremiam di freddo,
il sol sbrina pian piano,
vin brulè beviamo.
Quando il mio vivere,
aveva la giovinezza in pugno,
l'ingenuità negli occhi e nei pensieri:
odoravo di pane, ma non avevo fame
e m'allontanavo.
Nel calore del sole sorsi più volte,
con mani e pelle dorata
e tanta meraviglia inanimata.
T'immaginavo difronte al mare, a sostare:
m'attendevi, coi piedi nervosi nella sabbia.
T'immaginavo semplicemente ed ero lì con te.
Sberle di fuoco -
con lo scirocco marcian
sugli alberi.
Pesce in boccia -
sognare alla grande:
guizzar nel mare.
Ah! funambolo -
l'uccello vede in te,
un suo rivale.
La formica sparì -
carica come un ciuco,
dentro la terra.
Bastan i sogni
per scivolar di notte
dentro un canto.
Egli, era là, assorto come sempre,
immerso fra la gente;
beveva dalla sua fonte spirituale,
col suo fare, col suo dire,
stringendo fra le dita la sua matita,
un po' unta, un po' consunta.
Guardava fuori, ma vedeva dentro,
il tormento e il suo lamento;
sentimento opaco, convessa posizione;
sopra ogni scritto un atto d'amore,
nella sapienza della tradizione,
nel suo fluido linguaggio, nell'intimo messaggio.
Lui era un profeta.
nella sua disciplinata contemplazione,
fra il visibile e l'invisibile,
la recitazione dei miti,
dentro l'anima sensibile della natura,
uscendo dal sogno illusorio della vita.
I minuti, come bimbi giocosi
girano sui nostri corpi
vestendoli da cima a fondo.
Agosto chiama-
per limitare il foco
messer settembre.
Il cane nasava cogliendo l'aria dalla terra
col suo dafar snidava le radici; il tartufo
veniva alla luce, con quell'odor pungente
e nel pulirlo, ancor più si sentiva.
Una folaghetta passava incerta sul
frollo fogliame, mettendo in frummia il cane.
- Color gazzuolo era il cielo -
sparsa la nebbiolina
leggera per gli uccelli la mattina.
Il sole s'abbandonava fra gli alberi filando,
salavano l'aria voci vernacolari, nelle
distese di silenzio.
Le braccia della natura erano dentate e
insieme al cane, si cercavano le radici.
Mia cara anguria quanto mi piaci,
affondo i miei denti e prendo i tuoi baci,
la mia ugola gongola del rosso tuo succo,
che scende polposo con un po' di risucchio.
Alt!, ai semi, quelli li butto:
schizzan ribelli i neri fratelli,
la sete è golosa e continuo addentare,
un seme sfugge, ma non lo lascio passare.
Sapore diverso e altro colore,
sono alla buccia, che mi guarda,
col suo largo sorriso.
Siamo a Bologna coperti di freddo,
vediamo la gente che s'allarga e trasale.
Le luci son tante, salutiamo il Patrono!
abbiamo voglia di andar per negozi e
vestirci di nuovo.
Sugli Asinelli un orizzonte alpino.
Via Rizzoli incomincia a rullare:
un andazzo carnal-mordente, batte
sui muscoli indolenziti.
Ci muoviamo di musica è tutto un sognare,
son bianche le tende come panna montata,
il tintinnar d'arte artigianale, balla nell'aria gelata
col profumo di cioccolata.
Ci dirigiamo verso la fiamma d'un dehors,
ordiniamo birre e brioches: si gioca a vinciperdi!
Quest'anno la Torre è smorzata:
la sera mugugna nelle sue feritoie e pompeggia sotto i portici.