Bestia immonda, che nelle carni affonda, alito lercio di rabbia e pazzia, bestia immonda, che nelle carni affonda, grida strozzate e mani tenute, bestia immonda, che nelle carni affonda, sangue, e preghiere odio e rancore, bestia immonda, che nelle carni affonda, su pelle l'odore, sul cuore dolore bestia immonda, che nelle carni affonda, profonda vergogna, profonda gogna come bestia immonda, che nelle carni affonda.
Come specchi rotti, dove guardi e ti riconosci, in altri non ricordi... La tua vita a pezzi, corpo ed anima dilaniate, ti lasci andare senza lottare, senza ricomporti per continuare. Trascini con fatica quello che resta, non hai voluto né sentire, né aspettare tanti ti parlavano del male e l'hai voluto provare. Sulla tua pelle hai pagato, cicatrici ne segnano i dolori, dove hai lasciato i tuoi amori, quanto hai amato, dove ti hanno lasciato... In quegli specchi ritrovi un po' di te, ma sei partita in fretta senza pensare, hai lasciato i ricordi, sono lì nel fango, coperti di sangue quello che per tutti hai versato e capirai finalmente, che ti sei inutilmente sacrificato.
Son passati gli anni, dentro, fuori e comunque, non ho avuto mai il tempo di pensarci, rimango sempre la stessa e dunque, vale sempre la pena di riprovarci. Ora che riesco ad essere serena, e mi godo appieno il mio tempo, per nessuno voglio darmi pena, troppo ho pensato cos'era più giusto sempre per far piacere agli altri e non sapevo il costo. Ora non do niente per scontato, come ognuno è arrivato, vado avanti per la mia strada che ho percorso da sola, nessuno mi ha mostrato la via, ed ogni sbaglio ogni lacrima è la mia. Soddisfatta di quel che ho fatto, forse troppo in fetta, con la paura di non arrivare, ma poi dove dovevo andare... ora sono qui a ricordare vorrei chiudere gli occhi e ricominciare.
Sto paese m'ha dato li natali, e l'orgojo d'esse n'Italiana, m'ha sempre caricato, me so catapultata co la mia testa dura, in questa avventura. Ho voluto conosce la storia, la curtura, pe poté ribatte co quarcuno tutti ce l'hanno co sto popolo ma in confronto a noi, nun so nessuno. Li Greci, li Francesi, e quanti se so voluti imbarcà, hanno lasciato sassi, l'hanno chiamata colonizzazione, ma a me m'è parsa na vera spartizione, chi s'è preso prima e chi s'è preso il resto a noi c'è rimasta de tutti sti popoli n'infarinatura, c'hanno invaso, profanato, riempito de templi e cimiteri, però se so presi er mejo, quello che nun se trova da nessuna parte, er sole er mare e tutto quello che ce fa corte, sto cielo blù che fa sognare tutto de st'Italia se fa ricordare.
Conterò fino a tre, forse è poco, fino a dieci dovrò contare per non gridare, la mia rabbia non si può più contenere. Mentre la gente soffre si argomenta su cosa si possa sentire in certe condizioni, si traggono le più stupide conclusioni e si decide della vita umana. Tranquillamente tra una conferenza, un incontro al vertice, si profana in ogni modo quella stanza, il dolore che tutto questo può procurare, non viene assolutamente preso in considerazione e presi da un vortice di onnipotenza che tutto travolge, si decide per la sua sorte: A morte!
Ar barcone tutto infiorato, li panni la mattina spannevo, m'affacciavo, e Roma guardavo. Er core me se apriva, cor sole tutto bello me sembrava, la mattina c'era n'aria ponentina, te faceva da svejà, come er caffè preso a prima mattina. Pe strada passava tanta gente, nun la conoscevi, ma la salutavi, come se fosse niente. Du regazzini, passavano sempre, sotto ar mio barcone, li guardavo baciasse, sotto quer portone, se stringevano, co quanta tenerezza, proprio du pupi, lei ancora co la trezza. Se nasconnevano, pe nun se fa vede, poi un giorno non l'ho visti più. Ho pensato che s'erano lasciati, che mo passeggiaveno più giù, lungo er Tevere forse, ma na notizia me sconvolse, du regazzini ancora abbracciati, dall'acque der fiume so affiorati, nun se sa come se so annegati. Forse n'amore contrastato, mor'ammazzato, me so sentita così male che nun me so più affacciata a quer barcone, nei vasi de fiori tutto m'è seccato, so rimasta stravolta da sta brutta questione.
Le tue mani sul suo corpo, con quale coraggio, penserai a me la chiamerai amore per non sbagliare e quante bugie le racconterai, dirgli ti amo come farai. Sono anni ormai che le mie mani sono su di te stampate, anche le mie unghie in fondo penetrate, nessuno sa delle nostre nottate, i tuoi caldi baci, i tuoi lunghi silenzi dopo l'amore... per ore mi tenevi stretta al cuore. Quando mi tempesti di telefonate, quando sei geloso del mio tempo, perché mi vuoi, padrone delle mie giornate, ma spesso non ci sei. Hai scelto senza poter pensare, ora ti aspetterò, guardando quella foglia, avrai tempo fin quando cadrà, finché di te, resiste la mia voglia. Ma quell'albero che ho scelto è sempre verde, non perderà mai le sue foglie, anch'io mi sono illusa di poterti dare un tempo, ma dalla mia finestra le stagioni passano lente, aspettandoti.
Scivola piano, sulle rotaie, hai tempo ancora per stringergli la mano... se ne è andato, con le sue bugie, lasciando qui le mie. Quante storie porta via quel treno, prende velocità e non puoi seguirlo, i ricordi vedo passare e con lo sguardo fisso rimani a pensare, fino a che scompare. Dove và nella sua corsa, porta via un addio, qualche lacrima, un sospiro, qualcuno partirà per sempre, qualcuno tornerà. Hai lasciato qui la tua valigia, un pacco che poi va spedito, per me è stato un invito, ma non voglio forzare quello che non sente più il cuore. Lentamente, finisce qui la nostra storia, come và quel treno, sulle rotaie di una memoria, che diventa un film accelerato, sei partito, e ti ho già scordato.
Sicuramente, quando mi lascerà, si perderà in un campo di papaveri, tra il grano maturo, il vento lontano la porterà, andrà in cerca di un cuore puro, quello di un bambino con il naso in su che piange per un palloncino. L'ultimo suo desiderio esprimerà, si adagerà sulle onde del mare, prima di salire a te, si farà cullare, Salirà dove dicono è luce, ma prima vorrà dare un ultimo bacio a quelli che mi hanno amato, a quelli che non ho mai dimenticato, e non finirà mai di ringraziare per tutto il donato. Tu, misericordioso, perdona qualche peccato, l'ho fatto perché ho amato, non dovevi farmi desiderare, non dovevi darmi un cuore, perdonami, altro non ho da confessare, la mia anima pura ti riconsegnerò. Mi hai sempre detto: "Ama il tuo prossimo come te stesso" Ed io l'ho fatto.
Aspettavo con ansia la festa del patrono, per seguire la banda, faceva un gran casino. Una banda scalcinata, con qualche nota stonata, per la via di buon mattino, precedeva l'uscita del baldacchino. I bambini, che gran festa, tutti alla finestra, e palloncini, dolci e gente pia, c'era di tutto in mezzo a quella via. Ecco che dalla chiesa esce la Madonna col Bambino, la banda fa un minuto di silenzio, poi la processione inizia ed è di nuovo un gran casino. La banda, le preghiere, le grida dei bambini, qualcuno piange, qualcuno impreca, quanti fiori buttati da ogni finestra, al passaggio della Madonnina. Finita la processione, ognuno piano piano, andava via si sentiva ancora cantar la litania, ma io mi ricordo la banda, ero bambina, quella si, che per me faceva festa.