Scritta da: jsegfid123
in Poesie (Poesie criptiche)
Al margine
Non vedo altro
che specchi
d'inettitudine.
Composta giovedì 20 giugno 2013
Non vedo altro
che specchi
d'inettitudine.
Soffi di vento
Muovono l'anima mia
Che tu colpisci.
Vien la notte e penso a te,
Socchiusi gli occhi, mi appari
Danzante immobile, come foglie
Che ferme cadono, spinta da soffi di vento
Vai via, e muoio,
Al penoso pensier che pesa su di me,
Nell'orrore di una esistenza senza te.
Seduto fra cumulonembi
ti vedo nuotare
nell'aria d'opprimente zavorra,
greve l'atmosfera ti traina
sul filo dell'oceano
ch'è spessa ragnatela
e denso cemento.
Qui sospeso sprofondo
nell'alta pressione con cuore pesante
come nei pouf
che tanto adoravi
e faccio piover ghiacci
su villaggi innocenti,
spaventando con Notte
i bambini dormienti,
placando le lotte
e addolcendo i lamenti.
Non più ci trovan a vagare la notte
scivolati nei canali secchi
fra le farfalle appese ai muri,
gufi in rami fermi che incassano la pioggia
goccia dopo goccia
nulla riempie
l'assidua grandine
cade con vita
in costante perdita
nello specchio il forestiero
lega il numero al complesso,
ma non bastan le mie mani
per saldar i conti
sulla cima del mio comò
che mai risplende
di nuovo tempo,
il fracasso d'una sveglia
a cui non importa.
Ho smesso di sognare
e pululi la mia mente
come tiranno senza cuore,
cieca nel tuo vedere
mi pensi distratta;
e sei così vicina
ch'è tuo il mio cielo
e sei così lontana
che non è tuo il mio mondo.
Come piangono le nuvole sole?
Vorace l'eterna tristezza attende
come avvoltoio ch'inumidisce il becco
nel veder la carcassa ch'è il mio corpo,
frammento in fili sottili
il grande amore collassa
in buco nero greve nell'assenza;
affogheremo in un catino di lacrime
simili a struzzi nascosti sotto terra
o insieme daremo voce al vento
percorrendo il fato che ci fece incontrare.
Lingue di fuoco,
ribolle il plasma,
esplosione sorda,
rumore bianco di radio scaduta
come grilli muti, cicale storpie.
Onde elettromagnetiche
di fotoni folli
volano simili a girini
nella grande pozzanghera
di nera pece non ancor purificata;
piccoli emissari,
braccia eteree attorno al blu
e al verde mutilato.
È il platonico amore
troppo spesso ignorato,
il padre d'ogni albore
e di tutto il creato.
Indifferente
così è la pioggia nel lento cadere,
scivolo al mattino dal letto tagliente
dove dormo in piedi per non esser felice
in catene di sogni infrante da un soffio;
inizia qui la discesa
su tornanti di scale a chiocciola
univoche e rettilinee.
Indifferente
come tinta nei tuoi capelli,
nei tuoi palmi pieni
e sullo stipite della tua porta solitaria;
il tuo torpore verace e lontano
sciupa la cera del mio sorriso
che cola incandescente sulla mia nuda vesta,
un albero spoglio alla luce d'Inverno.
Immolato dolcemente
fra sguardi distratti e canti freddi,
eclissato dalle fiamme che ardono pacate
sulle spoglie membra incenerite
ancor prima di bruciare veramente.
Pioggia salmastra
alimenta il fuoco tenue
fra la danza d'un fantasma evanescente,
riflesso e svelato nei vetri sciatti
di una mente sciupata da sé stessa.
Ti sfioro
fra lingue sfavillanti,
sperando d'acchiappare
un tuo tangibile
lembo di pelle.