Le migliori poesie di Charles Bukowski

Poeta e scrittore, nato lunedì 16 agosto 1920 a Andernach (Germania), morto mercoledì 9 marzo 1994 a San Pedro, Los Angeles, California (USA - Stati Uniti d'America)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi, in Umorismo, in Racconti, in Frasi per ogni occasione e in Diario.

Scritta da: Andrew Ricooked

Su due piedi

Ci sono giorni
in cui va tutto
male.

Sull'autostrada
a casa
al super-
mercato
e da qualsiasi altra
parte

assalti
continui
ininterrotti
feroci
accidentali
a ciò
che è rimasto del
tuo
equilibrio e della tua
suscettibilità.

Gli dei prima
giocano con te
e poi
giocano
contro
di te.

I tuoi nervi
si tendono fino a
spezzarsi.

Nessuno scudo
filosofico
ti proteggerà,
nessuna dose di saggezza è
abbastanza.

Sei allo scoperto
facile preda
dei
cattivi e
delle
folle;
la rottura
del
macchinario
e della
ragione
è
completa.

Poi
c'è sempre
-all'improvviso-
un volto gioioso
sorridente
dallo sguardo
ottuso, qualche
semi-sconosciuto
che ti urla
forte:
"ehi, come ti
va?"

La sua faccia
sempre troppo vicina,
puoi vedere ogni
macchia e
poro della
pelle,
la bocca,
aperta
sembra una pesca
spaccata
marcia.

Il tuo unico
pensiero
è:
dovrei
ucciderlo?

Ma poi
dici:
"va tutto
bene.
E a te
come va?"

E
prosegui,
e la faccia-da-
capra
semi-sconosciuta
è alle
spalle
mentre il sole
filtra
attraverso
le nuvole
acide.

Vai
avanti
mentre gli dei
ridono e
ridono
e
ridono,
metti un
piede
davanti
all'altro,
muovi le
braccia
mentre la comapana
arrugginita
non suona,
e dentro la tua
testa
il sangue
si trasforma in
gelatina.

Ma
questo giorno finirà
questa vita finirà
gli avvoltoi
voleranno
finalmente
via.

Per favore
in fretta, in fretta,
in fretta.
Charles Bukowski
Composta domenica 3 gennaio 2010
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    Auto-invitati

    E va bene, mettimi le mutande al contrario, telefona in Cina,
    fai volar via gli uccelli,
    compra un quadro di una colomba rossa e ricordati
    di Herbert Hoover.
    Quel che cerco di dire è che 6 delle ultime
    8 sere abbiamo avuto ospiti, tutti auto-invitati,
    e come dice mia moglie: "non vogliamo farli restar male".
    Sicché ci sediamo e li ascoltiamo, certuni famosi
    e certuni mica tanto, certuni piuttosto svegli
    e divertenti, certuni mica tanto
    ma finisce tutto in chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera,
    parole, parole, parole, un garbato mulinello di suoni
    che rivela innanzitutto solitudine: in un modo o nell'altro
    chiedono tutti di essere accettati,
    di essere ascoltati, e ciò è comprensibile,
    ma io sono uno di quelli che preferirebbe
    starsene tranquillo a casa con la moglie e i suoi 6 gatti
    (o di sopra da solo a fare niente).
    L'impressione è che sia un egoista
    e mi senta sminuito dalla gente
    ma non ho l'impressione che loro
    si sentano vuoti, ho l'impressione
    che li diletti il movimento
    delle loro bocche.
    E quando se ne vanno quasi tutti accennano
    a un'altra visitina.
    Mia moglie è carina, li saluta con calore,
    ha un cuore d'oro, così d'oro che quando, che so,
    andiamo al ristorante e scegliamo un tavolo
    lei prende il posto da cui si può "veder la gente"
    e io quello da cui non è possibile.
    D'accordo, sono un figlio del demonio;
    l'intera umanità mi annoia e no, non è
    paura, sebbene qualcosa in loro mi spaventi,
    e non è invidia perché non voglio nulla
    di ciò che loro vogliono, è solo che
    in tutte quelle ore di
    parole parole parole
    non sento niente di davvero buono coraggioso o nobile,
    e che valga un briciolo del tempo in cui mi hanno impallinato
    le cervella.
    Te lo ricordi quando avevi l'abitudine di buttarli fuori
    dalla porta invece di fargli scaricar le batterie
    sui tuoi divani,
    quei tipi malinconici sempre a caccia di compagnia,
    e ti vergogni di te stesso per esserti arreso
    alle loro insane fesserie
    ma altrimenti tua moglie direbbe:
    "pensi di essere forse l'unico essere umano
    sulla terra?"
    Vedete, ecco come il diavolo
    mi acchiappa.
    Perciò io ascolto e loro si sentiranno
    realizzati.
    Charles Bukowski
    Composta mercoledì 25 settembre 2013
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      Il funerale di uno scrittore

      C'era una frana sulla
      Pacific Coast Highway e ci hanno fatto fare una
      deviazione fin su alle colline di Malibu
      e c'era un gran traffico e faceva caldo, e poi
      ci siamo persi.
      Ma ho intravisto un carro funebre e ho detto: "ecco
      il carro funebre, seguiamolo", e la mia donna ha detto:
      "quello non è il carro funebre", e io ho detto: "sì, è il
      nostro carro funebre".

      Il carro funebre ha girato a sinistra e io l'ho seguito
      mentre si arrampicava per una
      stradina sterrata, fino a quando non ha accostato e io
      ho pensato: "si è perso pure lui". C'era un camioncino parcheggiato lì
      e un signore che vendeva fragole
      e io mi sono fermato
      e ho chiesto
      dov'era la chiesa e lui mi ha dato le indicazioni
      e la mia donna ha detto al tizio delle fragole: "al ritorno
      passiamo a comprare un po' di fragole". poi ho fatto
      inversione e il carro funebre si è rimesso in moto
      e ci siamo avviati uno dietro l'altro
      fino a quando non siamo arrivati alla
      chiesa.

      eravamo lì
      per il funerale di un grand'uomo
      ma
      il gruppo era sparito: la
      famiglia, un paio di vecchi amici sceneggiatori,
      e altre due o tre persone. abbiamo
      detto due parole ai parenti e alla moglie del defunto
      e poi siamo entrati e la messa è cominciata e il
      prete non era niente di che ma uno dei figli del grand'uomo
      ha fatto un bel discorso, e poi è finito tutto
      ed eccoci di nuovo fuori, in macchina,
      di nuovo dietro al carro funebre, giù per la stessa stradina
      ripida
      e di nuovo davanti al camioncino delle fragole, e la mia
      donna ha detto: "non fermiamoci per le fragole",
      e mentre proseguivamo verso il cimitero, ho pensato:
      Fante, sei stato uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi
      e questo è un giorno triste.
      alla fine, eccoci al cimitero; il prete
      ha detto qualcosa ed è tutto finito.
      sono andato dalla vedova che se ne stava lì seduta tutta pallida
      e bella e piuttosto solitaria su una sedia pieghevole di metallo.
      "Hank", mi ha detto, "è difficile", e ho provato inutilmente
      a dire qualcosa che le fosse di conforto.

      allora ce ne siamo andati, lasciandola lì, e
      io stavo proprio male.

      Ho chiesto a un amico di riaccompagnare la mia ragazza in
      città e me ne sono andato all'ippodromo. Sono arrivato
      giusto in tempo per la prima corsa, e mentre giocavo la mia
      scommessa l'impiegato mi guardava strano e mi ha detto
      "Gesù, Hank, come mai porti la cravatta?"
      Charles Bukowski
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        Un trucco per alleviare il nostro sanguinare

        In pratica
        le grandi parole dei grandi uomini
        non sono poi così grandi.

        E le grandi nazioni o le grandi bellezze
        non lasciano altro che il residuo
        della reputazione che sarà lentamente
        rosicchiato via.

        Né le grandi guerre sembrano così grandi,
        né le grandi poesie
        né le leggende di prima mano.

        Persino i lutti
        ora sono così tristi,
        e il fallimento non è stato altro che un
        trucco
        per farci continuare.

        E la celebrità e l'amore
        un trucco per alleviare il nostro sanguinare.

        E come il fuoco diventa cenere e l'acciaio
        diventa ruggine, noi diventiamo
        saggi
        e poi
        non così saggi.

        E sediamo su sedie
        leggendo vecchie mappe,
        guerre finite, amori finiti, vite finite,

        e un bambino gioca davanti a noi come una scimmia
        e noi diamo un colpetto alla pipa e sbadigliamo,
        chiudiamo gli occhi e dormiamo.

        Belle parole
        come belle signore,
        si accartocciano e muoiono.
        Charles Bukowski
        Composta mercoledì 25 settembre 2013
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          Furbi (Clever)

          I furbi scendono la corrente come pesci bianchi
          sulla cresta d'acque blu, oltre le rapide.
          I furbi, con le loro gole e sopracciglia da furbi,
          i loro furbi peli nel naso, entrambe le scarpe allacciate, tutte le tragedie cancellate,
          denti splendenti.
          I furbi non si scompongono. Anche le loro morti sono morti al quadrato, furbi furbi furbi.
          Hanno case migliori, auto migliori, risate migliori.
          Persino i loro incubi sono sogni sgargianti.
          Questi furbi ti siedono di fronte, con un sorriso pulito, che li riempe, financo i capelli sprizzano nitore.
          Quanto ho vissuto e quanti ne ho visti.
          Sapete cos'è davvero la morte?
          È uno di questi furbi rottinculo che ti stringe la mano e ti abbraccia.
          Sapete cos'è davvero la morte?
          Venite a vedermi mentre allungo la carta di credito
          al cameriere disprezzandovi. O peggio.
          Charles Bukowski
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            Scritta da: Eclissi

            Una poesia è una città

            Una poesia è una città piena di strade e tombini
            piena di santi, eroi, mendicanti, pazzi,
            piena di banalità e roba da bere,
            piena di pioggia e di tuono e di periodi
            di siccità, una poesia è una città in guerra,
            una poesia è una città che chiede a una pendola perché,
            una poesia è una città che brucia,
            una poesia è una città sotto le cannonate
            le sue sale da barbiere piene di cinici ubriaconi,
            una poesia è una città dove Dio cavalca nudo
            per le strade come Lady Godiva,
            dove i cani latrano di notte, e fanno scappare
            la bandiera; una poesia è una città di poeti,
            per lo più similissimi tra loro
            e invidiosi e pieni di rancore...
            una poesia è questa città adesso,
            cinquanta miglia dal nulla,
            le 9.09 del mattino,
            il gusto di liquore e delle sigarette,
            né poliziotti né innamorati che passeggiano per le strade,
            questa poesia, questa città, che serra le sue porte,
            barricata, quasi vuota,
            luttuosa senza lacrime, invecchiata senza pietà,
            i monti di roccia dura,
            l'oceano come una fiamma di lavanda,
            una luna priva di grandezza,
            una musichetta da finestre rotte...

            una poesia è una città, una poesia è una nazione,
            una poesia è il mondo...

            e ora metto questo sotto vetro
            perché lo veda il pazzo direttore,
            e la notte è altrove
            e signore grigiastre stanno in fila,
            un cane segue l'altro fino all'estuario,
            le trombe annunciano la forca
            mentre piccoli uomini vaneggiano di cose
            che non possono fare.
            Charles Bukowski
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              Attraversa l'anima

              Attraversa l'anima
              come una lama
              e ne sonda i paesaggi
              ora mesti, ora bui
              dove corvi neri come pece
              gracchiano così forte
              da grattarti le pareti del cuore.

              Percorre deliziosi giardini
              decorati da candide margherite
              e scaldati da un tiepido sole primaverile.
              Ma quando la sua linfa
              Giunta all'apice scoppia
              il foglio si macchia.
              Unico tampone per tale ferita.
              Charles Bukowski
              Composta sabato 28 settembre 2013
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                Scritta da: Andrew Ricooked

                Dove ero finito?

                Non sapevo da dove venissi
                o dove stessi
                andando.
                Ero perso.
                Mi ritrovavo seduto
                in strani ingressi
                per ore,
                senza pensare
                semza muovermi
                finché mi chiedevano
                di andarmene.

                Non voglio dire che ero
                idiota o
                stupido.
                Quello che voglio dire è che
                ero senza
                interessi.

                Non me ne fregava niente se cercavate
                di uccidermi.
                Non vi avrei fermato.

                Stavo vivendo un esistenza che
                non significava niente per
                me.

                Trovavo posti dove stare.
                Stanzette in affitto. Bar. Prigioni.
                Sonno e indifferenza sembravano
                le uniche
                possibilità.
                Tutto il resto sembrava
                privo di senso.

                Una volta rimasi tutta la notte a guardare
                il Mississipi.
                Non so perché.
                Il fiume scorreva lì accanto e
                l'unica cosa che ricordo è che
                puzzava.

                Mi sembrava sempre di essere
                su una corriera
                che attraversava il paese
                diretta
                da qualche parte.
                A guardare fuori da un finestrino
                sporco
                il nulla
                assoluto.

                Sapevo sempre esattamente quanti
                soldi avevo
                con me.
                Per esempio:
                un biglietto da cinque e due da uno
                nel portafoglio
                una moneta da venticinque, una da dieci e una
                da due centesimi nella tasca
                destra davanti.

                Non avevo voglia di parlare
                con nessuno e non volevo che nessuno
                mi parlasse.

                Ero considerato un
                disadattato e un tipo
                strambo.
                Mangiavo pochissimo ma
                ero incredibilmente
                forte.
                Una volta, quando lavoravo in una fabbrica
                dei ragazzotti giovani, strafottenti,
                stavano cercando di sollevare un pezzo
                di macchinario pesante
                dal pavimento.
                Non ci riusciva nessuno.

                "Ehi, Hank, provaci tu!" Dissero
                ridendo.

                Mi avvicinai, lo sollevai,
                lo rimisi a terra,
                tornai al
                lavoro.

                Mi valse il loro rispetto
                non so perché
                ma io non lo
                volevo.

                A volte abbassavo
                le tapparelle nella mia stanza
                e me ne stavo a letto per una
                settimana o più.

                Ero in uno strano viaggio
                ma era
                privo di senso.
                Non avevo idee.
                Non avevo progetti.
                Dormivo.
                Non facevo altro che dormire
                e aspettare.

                Non mi sentivo solo.
                Non soffrivo di vittimismo.
                Ero solo invecchiato in una
                vita nella quale
                non riuscivo a trovare alcun
                senso.

                Allora ero
                un giovanotto di
                mille anni.

                Adesso sono un vecchio
                che aspetta di rinascere.
                Charles Bukowski
                Composta domenica 3 gennaio 2010
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                  Mangiato dalle farfalle

                  Forse vincerò alla lotteria irlandese
                  forse diventerò pazzo
                  forse
                  forse l'assicurazione contro la disoccupazione o
                  una ricca lesbica in cima a una collina

                  forse re-incarnazione in una rana...
                  O 70.000 dollari trovati a galla in un sacchetto di plastica
                  nella vasca da bagno

                  ho bisogno di aiuto
                  sono un uomo grasso mangiato da
                  alberi verdi farfalle e da te

                  gira gira
                  accendi la luce
                  i denti fanno male, i denti della mia anima fanno male
                  non posso dormire
                  prego per i tram morti
                  i topi bianchi
                  motori in fiamme
                  sangue su un camice verde in una sala operatoria a
                  San Francisco
                  e sono imprigionato
                  ahi ahi
                  folle: il mio corpo là pieno di nient'altro che
                  di me
                  me intrappolato a metà strada fra il suicidio e
                  la vecchiaia
                  che mi affanno nelle fabbriche accanto ai
                  ragazzi
                  tenendo il passo
                  bruciando il mio sangue come benzina e
                  facendo sogghignare
                  il caposquadra

                  le mie poesie sono soltanto scarabocchi
                  sul pavimento di una
                  gabbia.
                  Charles Bukowski
                  Composta mercoledì 25 settembre 2013
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