Poeta e scrittore, nato lunedì 16 agosto 1920 a Andernach (Germania), morto mercoledì 9 marzo 1994 a San Pedro, Los Angeles, California (USA - Stati Uniti d'America)
Mi destai alla siccità e le felci erano morte, le piante in vaso gialle come grano; la mia donna era sparita e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote mi cingevano con la loro inutilità; c'era ancora un bel sole, però, e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo e senza pretese; ora quello che ci voleva era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo perché esiste, solo per questo; sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio l'uomo che un tempo era stato giovane e, così dicevano, geniale; ma questa è la tragedia delle foglie, le felci morte, le piante morte; ed entrai in una sala buia dove stava la padrona di casa insultante e ultimativa, mandandomi all'inferno, mulinando i braccioni sudati e strillando strillando che voleva i soldi dell'affitto perché il mondo ci aveva tradito tutt'e due.
Ridono continuamente anche quando un'asse piomba giù e rovina una faccia o deforma un corpo loro continuano a ridere, quando il colore dell'occhio impallidisce da far paura per via della poca luce ridono ancora; rugosi e rimbecilliti ancora giovani ci scherzano sopra: un uomo che dimostra sessant'anni dirà ne ho 32, e allora rideranno tutti; qualche volta li fanno uscire per una boccata d'aria ma sono incatenati a ritornare da catene, che non spezzerebbero anche se potessero; anche fuori, tra gli uomini liberi, continuano a ridere, girano qua e là con un passo zoppicante e inane quasi non fossero più lì con la testa; fuori masticano un tozzo di pane, tirano sul prezzo, dormono, contano i soldi, guardano l'orologio e sono di ritorno; qualche volta nei confini addirittura si fanno seri un momento, parlano di Fuori, di come deve essere orribile, essere chiusi Fuori per sempre, e non essere mai più riammessi; fa caldo mentre lavorano e sudano un po', ma lavorano sodo e bene, lavorano così sodo che i nervi si ribellano e lì fanno tremare, ma spesso sono elogiati da quelli che tra loro si sono innalzati come stelle, e ora le stelle vigilano vigilano anche per quei pochi che potrebbero tentare un ritmo più lento o mostrare disinteresse o simulare una malattia per avere un po' di riposo (il riposo deve essere guadagnato per raccogliere le forze destinate ad un lavoro più perfetto).
Qualche volta uno muore o impazzisce e allora da Fuori ne arriva uno nuovo per sfruttare la sua grande occasione.
Io ci sono stato molti anni; in principio trovavo il lavoro monotono, stupido addirittura ma ora vedo che tutto ha un senso, e i lavoratori senza volto vedo bene che non sono proprio brutti, e che le teste senz'occhi – ora so che quegli occhi ci vedono e sono capaci di seguire il lavoro. Le donne che lavorano sono spesso le migliori, adattandosi con naturalezza, e con alcune ho amoreggiato nei momenti di riposo; in principio non sembravano molto diverse dalle scimmie ma poi grazie al mio spirito di osservazione mi son o reso conto che erano cose reali e vive come me.
L'atra sera un vecchio lavoratore grigio e cieco, non più utile è stato mandato in pensione là Fuori.
Discorso! Discorso! Abbiamo chiesto
è stato un inferno, ha detto lui abbiamo riso tutti e 4000: aveva conservato il suo umorismo fino alla fine.
Voglio dire, dormivo soltanto mi svegliai con una mosca sul gomito e chiamai la mosca Benny poi l'uccisi e poi m'alzai per guardare nella cassetta della posta e c'era una specie di avviso del governo ma siccome non c'era nessuno tra i cespugli con la baionetta lo stracciai e tornai a letto a guardare il soffitto e pensai: questo mi piace proprio, voglio starmene qui sdraiato per altri dieci minuti e rimasi lì sdraiato per altri dieci minuti e pensai: è assurdo, ho tante cose da fare ma voglio starmene qui sdraiato per un'altra mezz'ora e mi stirai mi stirai e guardai il sole tra le foglioline di un albero fuori, e mi vennero pensieri meravigliosi, non mi vennero pensieri immortali, e quello fu il momento migliore e cominciò a far caldo e buttai via le coperte e dormii - ma un sogno maledetto: ero ancora sul treno per le solite 5 ore di viaggio su e giù fino all'ippodromo, seduto accanto al finestrino, davanti al solito oceano malinconico, con la Cina laggiù che m'insinuava bizzarrie nel fondo del cervello, e poi qualcuno sedette accanto a me e parlò di cavalli una naftalina di parole che mi sventrarono come la morte, e poi ero là di nuovo: i cavalli che correvano come una cosa vista su uno schermo e i fantini pallidissimi in viso e non contava chi vinse alla fine e tutti lo sapevano, il viaggio di ritorno fatto in sogno era lo stesso della realtà: neri pesi di notte tutt'intorno alle stesse montagne vergognose d'essere là, e ancora il mare, ancora il treno come un gallo che passa la cruna d'un ago e mi toccò d'alzarmi per andare al gabinetto e non avevo voglia di andare al gabinetto perché qualcuno aveva gettato, qualche minchione aveva gettato della carta nel cesso, ingorgandolo di nuovo, e quando tornai fuori nessuno aveva altro da fare che guardare la mia faccia e io sono così stanco che lo sanno quando mi guardano in faccia che li odio e allora odiano me e vorrebbero ammazzarmi ma non lo fanno. Mi svegliai ma siccome non c'era nessuno vicino al letto per dirmi che sbagliavo dormii ancora un po'. Questa volta quando mi svegliai era quasi sera. La gente tornava dal lavoro. Mi alzai e sedetti su una seggiola a guardarli. Non avevano una gran bella cera. Anche le ragazzine non erano così attraenti come quando erano partite. E arrivarono gli uomini: sicari, assassini, ladri, truffatori, l'intero campionario, e i loro volti erano più orrendi di qualunque mascherone mai ideato.
Trovai un ragno nell'angolo e l'uccisi con la scopa.
Guardai la gente ancora per un po' e poi mi stancai e smisi di guardare e mi feci due uova fritte e sedetti a tavola con un pezzo di pane e annaffiai il tutto con un goccio di tè.