Cade la neve lentamente ritorna primavera; alto il sole arroventa l'aria ricresce l'erba cadono le foglie, novembre torna grigio il tempo si dissolve.
Un fiore in bocca rosso mi consuma, mastico amaro. Un pensiero antico mi arrovella schiodo il tarlo, lo chiudo stretto in pugno e gli sussurro: "A chi giova la vita appesa al filo della morta speranza"? – La vita è dono! –
Se Dio comanda Cristo rimase in croce un solo giorno, anch'io risorgerò vicino a Dio.
"Maddalena sorella assassina – insinua il tarlo – non bere la cicuta, si tocchi Caina".
All'alba nell'orto degli ulivi il gallo "conta" centocinquanta gallina troppo vecchia niente uovo.
In alto Resegone giù tre monti: Vesuvio Gran Sasso Aspromonte l'escort... i nomi "Caduti per la Patria" Mille in verde... se rosso non si passa! verde speranza di bandiera? è verde cotto - colore di fondi di bottiglia.
Cappuccetto Rosso, sono la nonna. Ho allacciato le "stringhe", posso comunicare.
Qui il tempo ha la misura della luce, il silenzio è interrotto dalle voci come suoni, percuotono sui timpani, vibrano le "membrane". Piccola, la tua voce cristallina nel silenzio ha fantastici rinvii. Se mi chiami, "nonna nonnaaa, nooo" l'eco si riproduce negli abissi, si congiunge al rumore della Terra intermittente attraversa i buchi neri è silenzio.
Ricorda, ho lasciato il mio bagaglio, le radici; le mie foglie - sempre verdi - nella luce. Tu, le mie radici i principi di vita: rispetta la semina, il raccolto. Ascolto è il battito impazzito del tuo cuore - elettrizza - Amore è poesia pulsano le "membrane".
Il tempo si misura con gli spilli, otto ore in fabbrica è denaro, la produzione stanca; a fine mese comprerò i semi la vanga per la terra, e aspetterò il raccolto, i frutti dell'orto, i papaveri rossi tra l'oro delle spighe è un ricordo lontano! Crisalide, farfalla sui fiori a primavera volerò alto. Privata d'orizzonti, mi resta poco tempo per attraversare il solco della terra.
Ero nel guscio in braccio alla mia nonna, gli altri stavano fuori. Poi sono andata a scuola. La merenda mi sparì dal banco e, al mio compagno, addentai la guancia. Sono passati gli anni, i lunghi miei capelli vanno al vento, il seno è prosperoso, ho addosso mille sguardi. Se attraverso il bosco lo so, arriva il lupo. Sogno l'anarchia, dove il controllo è mio: si cliccano i bottoni del cervello si resetta il buio, si accende la luce, poi s'infrange la legge: ho fame, vado... al supermercato prendo la mela sottobanco incontro il mio compagno, il capitale è suo. Miracolo e stupore: mi rubò la merenda, ha fatto il portafoglio.
Il tempo a lungo annoia il gusto del proibito s'inchioda nel cervello. Sul nido della rondine un cuculo non tornerà a primavera. La serpe si sgroviglia sotto il sole i piccoli s'intrigano nel covo. Gira la terra; non cambia verso, trovarlo il punto fermo per la sterza! A destra, poi a manca, ecco si ferma - meraviglia - riparte il gioco è palla. Se giunge la sconfitta il riso è amaro - Fermati, o sole! si prolunghi il giorno.
La musica nel vento porta la nostalgia, suoni di versi: il miagolio dei gatti sopra i tetti, il guaito di un cucciolo disperso. - Buon giorno - annuncia il gallo, l'usignolo legge sullo spartito della vita, canta il mio dramma. La musica mi avvolge, è nostalgia ho un groppo in gola piango, tiro su il naso. Ricordo: un filo d'erba in mano poggiato sulle labbra, è musica nel fiato; grido il mio concerto libero nel vento, chiusa tra queste mura.
Era così intenso il verde prato, da non stingere al sole. Vi abitava Pecora Nera, dai bianchi suoi vicini l'erba non c'era.
Viro-silente, capo branco bianco, in una notte di luna piena tenne consiglio rapido e astuto: "i nostri figli ormai sono stremati cadono i denti ruminando a vuoto. L'erba ci fugge, noi la raggiungiamo".
Una nuvola, densa di sospiri, coprì la bianca luna; fu buio pesto nel sordo ruminare.
Stava Martino in mezzo al prato verde, sognava una dolce agnellina. Viro-silente, rapido all'istante, prese la preda e corse dai compagni saziati, a sbafo, con l'erba del vicino.
"Amici miei, dobbiamo ringraziare il nostro Dio. Offriamo in sacrificio questo agnello".
Così Martino, dal nero mantello, bruciò senza pietà nella fornace; il fumo della legna ancora verde, intriso dell'odore di bruciato, salì nel cielo e si dispose attorno la faccia tonda della luna piena.
Pecora Nera, quando fu mattino, si accorse che non c'era il suo Martino. La rabbia in corpo, colore della pelle, decise di recarsi dai vicini.
Viro-silente non era ancora sazio brucava l'erba in sogno; fu interrotto da un belato, straziante e senza fine. Pensò alla beffa, per ovviare al danno prese dal gregge, suo, un agnellino gli tinse col tizzone il bianco vello
"Vedi quel cactus - disse il gran montone - unica pianta nell'arida valle, ha protetto dai lupi il tuo Martino".
Una nuvola, gravida d'inganno, uno scroscio di pioggia aprì all'istante, lavando il nero fumo al vello bianco.
Viro-silente non perse l'occasione mise il timbro solenne e sentenziò: "Miracolo! Per trovarlo al buio della notte occorreva fosse bianco il tuo Martino".
Da quel giorno, Pecora nera non mangiò che "fogli" lo spazio verde fu arso dal sole.