Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto: un sorriso mi sembra ora quel pianto. Rivedo i luoghi dove ho già sorriso... Oh! Come lacrimoso quel sorriso!
O vecchio bosco pieno d'albatrelli, che sai di funghi e spiri la malìa, cui tutto io già scampanellare udìa di cicale invisibili e d'uccelli: in te vivono i fauni ridarelli ch'hanno le sussurranti aure in balìa; vive la ninfa, e i passi lenti spia, bionda tra le interrotte ombre i capelli. Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia or sì or no, che se il desìo le vinca, l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia. Dileguano; e pur viva è la boscaglia, viva sempre nè fior della pervinca e nelle grandi ciocche dell'acacia.
Non ammirare, se in un cuor non basso, cui tu rivolga a prova, un pungiglione senti improvviso: c'è sott'ogni sasso lo scorpione. Non ammirare, se in un cuor concesso al male, senti a quando a quando un grido buono, un palpito santo: ogni cipresso porta il suo nido.
Noi mentre il mondo va per la sua strada, noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno, e perché vada, e perché lento vada. Tal, quando passa il grave carro avanti del casolare, che il rozzon normanno stampa il suolo con zoccoli sonanti, sbuca il can dalla fratta, come il vento; lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia. Il carro è dilungato lento lento. Il cane torna sternutando all'aia.
Un murmure, un rombo... Son solo: ho la testa confusa di tetri pensieri. Mi desta quel murmure ai vetri. Che brontoli, o bombo? Che nuove mi porti? E cadono l'ore giù giù, con un lento gocciare. Nel cuore lontane risento parole di morti... Che brontoli, o bombo? Che avviene nel mondo? Silenzio infinito. Ma insiste profondo, solingo smarrito, quel lugubre rombo.
Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca. Senti: una zana dondola piano piano. Un bimbo piange, il piccol dito in bocca; Canta una vecchia, il mento sulla mano. La vecchia canta: intorno al tuo lettino C'è rose e gigli, tutto un bel giardino. Nei bel giardino il bimbo si addormenta La neve fiocca lenta, lenta, lenta.
Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi, che pare dimenticato, tra il vapor leggero. E cadenzato dalla gora viene lo sciabordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene: Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese! Quando partisti, come son rimasta! Come l'aratro in mezzo alla maggese.
O mamma, o mammina, hai stirato la nuova camicia di lino? Non c'era laggiù tra il bucato, sul bossolo o sul biancospino. Su gli occhi tu tieni le mani... Perché? Non lo sai che domani...? din don dan, din don dan. Si parlano i bianchi villaggi cantando in un lume di rosa: dell'ombra dè monti selvaggi si sente una romba festosa. Tu tieni a gli orecchi le mani... tu piangi; ed è festa domani... din don dan, din don dan. Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve... quanti anni ora sono? Una sera... il bimbo era freddo, di neve; il bimbo era bianco, di cera: allora sonò la campana (perché non pareva lontana? ) din don dan, din don dan. Sonavano a festa, come ora, per l'angiolo; il nuovo angioletto nel cielo volava a quell'ora; ma tu lo volevi al tuo petto, con noi, nella piccola zana: gridavi; e lassù la campana... din don dan, din don dan.
Udii tra il sonno le ciaramelle, ho udito un suono di ninne nanne. Ci sono in cielo tutte le stelle, ci sono i lumi nelle capanne. Sono venute dai monti oscuri le ciaramelle senza dir niente; hanno destata nè suoi tuguri tutta la buona povera gente. Ognuno è sorto dal suo giaciglio; accende il lume sotto la trave; sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio, di cauti passi, di voce grave. Le pie lucerne brillano intorno, là nella casa, qua su la siepe: sembra la terra, prima di giorno, un piccoletto grande presepe. Nel cielo azzurro tutte le stelle paion restare come in attesa; ed ecco alzare le ciaramelle il loro dolce suono di chiesa; suono di chiesa, suono di chiostro, suono di casa, suono di culla, suono di mamma, suono del nostro dolce e passato pianger di nulla. O ciaramelle degli anni primi, d'avanti il giorno, d'avanti il vero, or che le stelle son là sublimi, conscie del nostro breve mistero; che non ancora si pensa al pane, che non ancora s'accende il fuoco; prima del grido delle campane fateci dunque piangere un poco. Non più di nulla, sì di qualcosa, di tante cose! Ma il cuor lo vuole, quel pianto grande che poi riposa, quel gran dolore che poi non duole; sopra le nuove pene sue vere vuol quei singulti senza ragione: sul suo martòro, sul suo piacere, vuol quelle antiche lagrime buone!