Le migliori poesie di Giovanni Pascoli

Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi.

Scritta da: Silvana Stremiz

La Tovaglia

Le dicevano: - Bambina!
Che tu non lasci mai stesa,
dalla sera alla mattina,
ma porta dove l'hai presa,
la tovaglia bianca, appena
ch'è terminata la cena!
Bada, che vengono i morti!
I tristi, i pallidi morti!
Entrano, ansimano muti.
Ognuno è tanto mai stanco!
E si fermano seduti
la notte intorno a quel bianco.
Stanno lì sino al domani,
col capo tra le due mani,
senza che nulla si senta,
sotto la lampada spenta. -
È già grande la bambina:
la casa regge, e lavora:
fa il bucato e la cucina,
fa tutto al modo d'allora.
Pensa a tutto, ma non pensa
a sparecchiare la mensa.
Lascia che vengano i morti,
i buoni, i poveri morti.
Oh! la notte nera nera,
di vento, d'acqua, di neve,
lascia ch'entrino da sera,
col loro anelito lieve;
che alla mensa torno torno
riposino fino a giorno,
cercando fatti lontani
col capo tra le due mani.
Dalla sera alla mattina,
cercando cose lontane,
stanno fissi, a fronte china,
su qualche bricia di pane,
e volendo ricordare,
bevono lagrime amare.
Oh! non ricordano i morti,
i cari, i cari suoi morti!
- Pane, sì... pane si chiama,
che noi spezzammo concordi:
ricordate?... È tela, a dama:
ce n'era tanta: ricordi?...
Queste?... Queste sono due,
come le vostre e le tue,
due nostre lagrime amare
cadute nel ricordare! -.
Giovanni Pascoli
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il Pesco

    Penso a Livorno, a un vecchio cimitero
    di vecchi morti; ove a dormir con essi
    niuno più scende; sempre chiuso; nero
    d'alti cipressi.
    Tra i loro tronchi che mai niuno vede,
    di là dell'erto muro e delle porte
    ch'hanno obliato i cardini, si crede
    morta la Morte,
    anch'essa. Eppure, in un bel dì d'Aprile,
    sopra quel nero vidi, roseo, fresco,
    vivo, dal muro sporgere un sottile
    ramo di pesco.
    Figlio d'ignoto nòcciolo, d'allora
    sei tu cresciuto tra gli ignoti morti?
    Ed ora invidii i mandorli che indora
    l'alba negli orti?
    Od i cipressi, gracile e selvaggio,
    dimenticàti, col tuo riso allieti,
    tu trovatello in un eremitaggio
    d'anacoreti?
    Giovanni Pascoli
    dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz

      Temporale

      È mezzodì. Rintomba.
      Tacciono le cicale
      nelle stridule seccie.
      E chiaro un tuon rimbomba
      dopo uno stanco, uguale,
      rotolare di breccie.
      Rondini ad ali aperte
      fanno echeggiar la loggia
      dè lor piccoli scoppi.
      Già, dopo l'afa inerte,
      fanno rumor di pioggia
      le fogline dei pioppi.
      Un tuon sgretola l'aria.
      Sembra venuto sera.
      Picchia ogni anta su l'anta.
      Serrano. Solitaria
      s'ode una capinera,
      là, che canta... che canta...
      E l'acqua cade, a grosse
      goccie, poi giù a torrenti,
      sopra i fumidi campi.
      S'è sfatto il cielo: a scosse
      v'entrano urlando i venti
      e vi sbisciano i lampi.
      Cresce in un gran sussulto
      l'acqua, dopo ogni rotto
      schianto ch'aspro diroccia;
      mentre, col suo singulto
      trepido, passa sotto
      l'acquazzone una chioccia.
      Appena tace il tuono,
      che quando al fin già pare,
      fa tremare ogni vetro,
      tra il vento e l'acqua, buono,
      s'ode quel croccolare
      cò suoi pigolìi dietro.
      Giovanni Pascoli
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz

        Patria

        Sogno d'un dì d'estate.
        Quanto scampanellare
        tremulo di cicale!
        Stridule pel filare
        moveva il maestrale
        le foglie accartocciate.
        Scendea tra gli olmi il sole
        in fascie polverose;
        erano in ciel due sole
        nuvole, tenui, róse:
        due bianche spennellate
        in tutto il ciel turchino.
        Siepi di melograno,
        fratte di tamerice,
        il palpito lontano
        d'una trebbiatrice,
        l'angelus argentino...
        dov'ero? Le campane
        mi dissero dov'ero,
        piangendo, mentre un cane
        latrava al forestiero,
        che andava a capo chino.
        Giovanni Pascoli
        dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il mendico

          Presso il rudere un pezzente
          cena tra le due fontane:
          pane alterna egli col pane,
          volti gli occhi all'occidente.
          Fa un incanto nella mente:
          carne è fatto, ecco, l'un pane.
          Tra il gracchiare delle rane
          sciala il mago sapiente.
          Sorge e beve alle due fonti:
          chiara beve acqua nell'una,
          ma nell'altra un dolce vino.
          Giace e guarda: sopra i monti
          sparge il lume della luna;
          getta l'arti al ciel turchino,
          baldacchino
          di mirabile lavoro,
          ch'ei trapunta a stelle d'oro.
          Giovanni Pascoli
          dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Silvana Stremiz

            L'uccellino del freddo

            Viene il freddo. Giri per dirlo
            tu, sgricciolo, intorno le siepi;
            e sentire fai nel tuo zirlo
            lo strido di gelo che crepi.
            Il tuo trillo sembra la brina
            che sgrigiola, il vetro che incrina...
            trr trr trr terit tirit...
            Viene il verno. Nella tua voce
            c'è il verno tutt'arido e tecco.
            Tu somigli un guscio di noce,
            che ruzzola con rumor secco.
            T'ha insegnato il breve tuo trillo
            con l'elitre tremule il grillo...
            trr trr trr terit tirit...
            Nel tuo verso suona scrio scrio,
            con piccoli crepiti e stiocchi,
            il segreto scricchiolettio
            di quella catasta di ciocchi.
            Uno scricchiolettio ti parve
            d'udirvi cercando le larve...
            trr trr trr terit tirit...
            Tutto, intorno, screpola rotto.
            Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
            Così rompere odi lì sotto,
            così screpolare lì dietro.
            Oh! lì dentro vedi una vecchia
            che fiacca la stipa e la grecchia...
            trr trr trr terit tirit...
            Vedi il lume, vedi la vampa.
            Tu frulli dal vetro alla fratta.
            Ecco un tizzo soffia, una stiampa
            già croscia, una scorza già scatta.
            Ecco nella grigia casetta
            l'allegra fiammata scoppietta...
            trr trr trr terit tirit...
            Fuori, in terra, frusciano foglie
            cadute. Nell'Alpe lontana
            ce n'è un mucchio grande che accoglie
            la verde tua palla di lana.
            Nido verde tra foglie morte,
            che fanno, ad un soffio più forte...
            trr trr trr terit tirit...
            Giovanni Pascoli
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Silvana Stremiz

              Anniversario (1889)

              Sono più di trent'anni e, di queste ore,
              mamma, tu con dolor m'hai partorito;
              ed il mio nuovo piccolo vagito
              t'addolorava più del tuo dolore.
              Poi tra il dolore sempre ed il timore,
              o dolce madre, m'hai di te nutrito:
              e quando fui del corpo tuo vestito,
              quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore,
              allor sei morta; e son vent'anni: un giorno!
              E già gli occhi materni io penso a vuoto;
              e il caro viso già mi si scolora;
              mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno
              freddo dè morti, nel tuo sogno immoto,
              tu m'accarezzi i riccioli d'allora.
              Giovanni Pascoli
              dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Silvana Stremiz

                Alba festiva

                Che hanno le campane,
                che squillano vicine,
                che ronzano lontane?
                È un inno senza fine,
                or d'oro, ora d'argento,
                nell'ombre mattutine.
                Con un dondolìo lento
                implori, o voce d'oro,
                nel cielo sonnolento.
                Tra il cantico sonoro
                il tuo tintinno squilla,
                voce argentina - Adoro,
                adoro - Dilla, dilla,
                la nota d'oro - L'onda
                pende dal ciel, tranquilla.
                Ma voce più profonda
                sotto l'amor rimbomba,
                par che al desìo risponda:
                la voce della tomba.
                Giovanni Pascoli
                dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Arano

                  Al campo, dove roggio nel filare
                  qualche pampano brilla, e dalle fratte
                  sembra la nebbia mattinal fumare,
                  arano: a lente grida, uno le lente
                  vacche spinge; altri semina; un ribatte
                  le porche con sua marra paziente;
                  ché il passero saputo in cor già gode,
                  e il tutto spia dai rami irti del moro;
                  e il pettirosso: nelle siepi s'ode
                  il suo sottil tintinnio come d'oro.
                  Giovanni Pascoli
                  Vota la poesia: Commenta
                    Scritta da: Silvana Stremiz

                    In ritardo

                    E l'acqua cade su la morta estate,
                    e l'acqua scroscia su le morte foglie;
                    e tutto è chiuso, e intorno le ventate
                    gettano l'acqua alle inverdite soglie;
                    e intorno i tuoni brontolano in aria;
                    se non qualcuno che rotola giù.
                    Apersi un poco la finestra: udii
                    rugliare in piena due torrenti e un fiume;
                    e mi parve d'udir due scoppiettìi
                    e di vedere un nereggiar di piume.
                    O rondinella spersa e solitaria,
                    per questo tempo come sei qui tu?
                    Oh! non è questo un temporale estivo
                    col giorno buio e con la rosea sera,
                    sera che par la sera dell'arrivo,
                    tenera e fresca come a primavera,
                    quando, trovati i vecchi nidi al tetto,
                    li salutava allegra la tribù.
                    Se n'è partita la tribù, da tanto!
                    Tanto, che forse pensano al ritorno,
                    tanto, che forse già provano il canto
                    che canteranno all'alba di quel giorno:
                    sognano l'alba di San Benedetto
                    nel lontano Baghirmi e nel Bornù.
                    E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote,
                    l'acqua mi sferza, mi respinge il vento.
                    Non più gli scoppiettìi, ma le remote
                    voci dei fiumi, ma sgrondare io sento
                    sempre più l'acqua, rotolare il tuono,
                    il vento alzare ogni minuto più.
                    E fuori vedo due ombre, due voli,
                    due volastrucci nella sera mesta,
                    rimasti qui nel grigio autunno soli,
                    ch'aliano soli in mezzo alla tempesta:
                    rimasti addietro il giorno del frastuono,
                    delle grida d'amore e gioventù.
                    Son padre e madre. C'è sotto le gronde
                    un nido, in fila con quei nidi muti,
                    il lor nido che geme e che nasconde
                    sei rondinini non ancor pennuti.
                    Al primo nido già toccò sventura.
                    Fecero questo accanto a quel che fu.
                    Oh! tardi! Il nido ch'è due nidi al cuore,
                    ha fame in mezzo a tante cose morte;
                    e l'anno è morto, ed anche il giorno muore,
                    e il tuono muglia, e il vento urla più forte,
                    e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura,
                    e quello ch'era non sarà mai più.
                    Giovanni Pascoli
                    Vota la poesia: Commenta