Le migliori poesie di Giovanni Pascoli

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Scritta da: Silvana Stremiz

Alba

Odoravano i fior di vitalba
per via, le ginestre nel greto;
aliavano prima dell'alba
le rondini nell'uliveto.
Aliavano mute con volo
nero, agile, di pipistrello;
e tuttora gemea l'assiolo,
che già spincionava il fringuello.
Tra i pinastri era l'alba che i rivi
mirava discendere giù:
guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi;
virb... disse una rondine; e fu
giorno: un giorno di pace e lavoro,
che l'uomo mieteva il suo grano,
e per tutto nel cielo sonoro
saliva un cantare lontano.
Giovanni Pascoli
dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Dalla spiaggia

    C'è sopra il mare tutto abbonacciato
    il tremolare quasi d'una maglia:
    in fondo in fondo un ermo colonnato,
    nivee colonne d'un candor che abbaglia:
    una rovina bianca e solitaria,
    là dove azzurra è l'acqua come l'aria:
    il mare nella calma dell'estate
    ne canta tra le sue larghe sorsate.
    O bianco tempio che credei vedere
    nel chiaro giorno, dove sei vanito?
    Due barche stanno immobilmente nere,
    due barche in panna in mezzo all'infinito.
    E le due barche sembrano due bare
    smarrite in mezzo all'infinito mare;
    e piano il mare scivola alla riva
    e ne sospira nella calma estiva.
    Giovanni Pascoli
    dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Scalpitio

      Si sente un galoppo lontano
      (è la...? ),
      che viene, che corre nel piano
      con tremula rapidità.
      Un piano deserto, infinito;
      tutto ampio, tutt'arido, eguale:
      qualche ombra d'uccello smarrito,
      che scivola simile a strale:
      non altro. Essi fuggono via
      da qualche remoto sfacelo;
      ma quale, ma dove egli sia,
      non sa né la terra né il cielo.
      Si sente un galoppo lontano
      più forte,
      che viene, che corre nel piano:
      la Morte! La Morte! La Morte!
      Giovanni Pascoli
      dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La Guazza

        Laggiù, nella notte, tra scosse
        d'un lento sonaglio, uno scalpito
        è fermo. Non anco son rosse
        le cime dell'Alpi.
        Nel cielo d'un languido azzurro,
        le stelle si sbiancano appena:
        si sente un confuso sussurro
        nell'aria serena.
        Chi passa per tacite strade?
        Chi parla da tacite soglie?
        Nessuno. È la guazza che cade
        sopr'aride foglie.
        Si parte, ch'è ora, né giorno,
        sbarrando le vane pupille;
        si parte tra un murmure intorno
        di piccole stille.
        In mezzo alle tenebre sole,
        qualcuna riluce un minuto;
        riflette il tuo Sole, o mio Sole;
        poi cade: ha veduto.
        Giovanni Pascoli
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          Il bove

          Al rio sottile, di tra vaghe brume,
          guarda il bove, coi grandi occhi: nel piano
          che fugge, a un mare sempre più lontano
          migrano l'acque d'un ceruleo fiume;

          ingigantisce agli occhi suoi, nel lume
          pulverulento, il salice e l'ontano;
          svaria su l'erbe un gregge a mano a mano,
          e par la mandra dell'antico nume:

          ampie ali aprono imagini grifagne
          nell'aria; vanno tacite chimere,
          simili a nubi, per il ciel profondo;

          Il sole immenso, dietro le montagne
          cala, altissime: crescono già, nere,
          l'ombre più grandi d'un più grande mondo.
          Giovanni Pascoli
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Il fiume

            Fiume che là specchiasti un casolare
            cò suoi rossi garofani, qua mura
            d'erme castella, e tremula verzura;
            eccoti giunto al fragoroso mare:
            ed ecco i flutti verso te balzare
            su dall'interminabile pianura,
            in larghe file; e nella riva oscura
            questa si frange, e quella in alto appare;
            tituba e croscia. E là, donde tu lieto,
            di sasso in sasso, al piè d'una betulla,
            sgorghi sonoro tra le brevi sponde;
            a un po' d'auretta scricchiola il canneto,
            fruscia il castagno, e forse una fanciulla
            sogna a quell'ombre, al mormorìo dell'onde.
            Giovanni Pascoli
            dal libro "Myricae" di Giovanni Pascoli
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Rio Salto

              Lo so: non era nella valle fonda
              suon che s'udìa di palafreni andanti:
              era l'acqua che giù dalle stillanti
              tegole a furia percotea la gronda.
              Pur via e via per l'infinita sponda
              passar vedevo i cavalieri erranti;
              scorgevo le corazze luccicanti,
              scorgevo l'ombra galoppar sull'onda.
              Cessato il vento poi, non di galoppi
              il suono udivo, nè vedea tremando
              fughe remote al dubitoso lume;
              ma poi solo vedevo, amici pioppi!
              Brusivano soave tentennando
              lungo la sponda del mio dolce fiume.
              Giovanni Pascoli
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                La Tovaglia

                Le dicevano: - Bambina!
                Che tu non lasci mai stesa,
                dalla sera alla mattina,
                ma porta dove l'hai presa,
                la tovaglia bianca, appena
                ch'è terminata la cena!
                Bada, che vengono i morti!
                I tristi, i pallidi morti!
                Entrano, ansimano muti.
                Ognuno è tanto mai stanco!
                E si fermano seduti
                la notte intorno a quel bianco.
                Stanno lì sino al domani,
                col capo tra le due mani,
                senza che nulla si senta,
                sotto la lampada spenta. -
                È già grande la bambina:
                la casa regge, e lavora:
                fa il bucato e la cucina,
                fa tutto al modo d'allora.
                Pensa a tutto, ma non pensa
                a sparecchiare la mensa.
                Lascia che vengano i morti,
                i buoni, i poveri morti.
                Oh! la notte nera nera,
                di vento, d'acqua, di neve,
                lascia ch'entrino da sera,
                col loro anelito lieve;
                che alla mensa torno torno
                riposino fino a giorno,
                cercando fatti lontani
                col capo tra le due mani.
                Dalla sera alla mattina,
                cercando cose lontane,
                stanno fissi, a fronte china,
                su qualche bricia di pane,
                e volendo ricordare,
                bevono lagrime amare.
                Oh! non ricordano i morti,
                i cari, i cari suoi morti!
                - Pane, sì... pane si chiama,
                che noi spezzammo concordi:
                ricordate?... È tela, a dama:
                ce n'era tanta: ricordi?...
                Queste?... Queste sono due,
                come le vostre e le tue,
                due nostre lagrime amare
                cadute nel ricordare! -.
                Giovanni Pascoli
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