Uno strano libro, m'è apparso all'improvviso, ingiallite e vuote, le pagine ch'odorano d'antico. Alquanto sbigottita e intimorita, la mano par avere vita propria, quand'immerge il pennino nell'inchiostro, appen tremando e trascrive il nome mio, sul primo foglio. Un testo appar d'incanto, narrato dal mistero, com'io l'avessi scritto, nel raccontar il dì futuro. Nel proseguir d'un altro foglio, m'è chiara la conferma d'un raro sortilegio, non della sospetta provenienza. Magia, ma di che tipo? Nera o bianca? Stregoneria od incantesimo fatato? Per tempo, al divenir del buio, rimando la sequenza, per fronteggiar l'arcano e legger la speranza. Tuttavia chiude la gola, l'atavica paura e mozza il fiato, per l'indomani, se il foglio narrasse l'opprimente vuoto. Com'un gatto, balzo, d'un sol colpo, gettando tra le fiamme, nel camino, quel dannato libro del destino. E, a crepapelle, rido, dopodiché spalanco il vetro e mi soffermo sulle stelle.
Pulsan, le stelle, di luce intermittente, sì lontane, paion piccole quasi a stare nella mano, eppure sono immense. Volgon, pianeti itineranti, che non vediam col nostro sguardo nudo, intorno ad altri soli, capostipiti d'ignoti mondi sconosciuti, d'alieni esseri abitati. Alieni, viceversa, siam al cospetto loro. Stranieri sì, ma confratelli universali. Squarci d'universi s'apron al passaggio di comete o d'asteroidi, qual rocciosi frammenti, meteore vaganti, nel silenzio siderale. Senza fine, l'iperspazio astrale. Universo o universi paralleli, fantasia migliore mai potrebbe fare suoi, quant'astratta e sconfinata appar l'ermetica realtà, per l'esigua mente umana, reticente a elevarsi, nell'esistenza miseranda, e ad affannarsi ad accumular ricchezza, qual creanza del massimo piacere. Cosmica energia, nel sottil cordone ombelicale che ci lega all'infinito, tal vibrazioni rinnovanti lo spirito carpente, fluenti in noi, coscienza permettendo. Percezione telepatica, fonte di rinascita interiore, ch'accomuna il piccolo universo individuale, nell'equipararci in assoluto, oltre l'abiette distinzioni, con tutto il resto del creato, in sintonia, E in imparagonabile armonia col nostro io profondo.
L'occhio ci spia, in ogni istante e in ogni luogo. Osserva, attento, ogni agire, subordinato o volontario, la mimica facciale, per ogni movimento, rivelante l'intrinseco riflesso di gioia o di timore che legge, impresso, come se fosse scritto su di un libro aperto. Nero assoluto, com'appare il vuoto, il carattere indicato d'un sordido pensiero, infiltratosi, vilmente, nel meandro più nascosto, scaturendo, astutamente, dall'inferno; rosso sanguigno, da linfa scorrente nelle vene, qual'indice d'acredine e di rabbia, nonché di gelosia, infervoranti l'animo in subbuglio, che divien brutale, tutt'in un momento; bianco immacolato, indistinto, sopra il candor del foglio, adduce, la grafia trascritta dalla mente, a declinar durezza di pensiero, onde osannar angelica virtù. Decade il velo dell'enigma soggettivo dell'io profondo, all'osservator astrale, cui nulla sfugge. Non v'è menzogna alcuna, né scusa, né giustificazione, addotta dalla mente, da ricondurre ad altri ed a se stessi, che non sia già ad essere palese, in precedenza, a colui che, tutto, sa vedere. Nudo, è lo spirito, di cui scruta, altresì, con discrezione, saggezza od imprudenza, scempio, è quell'essere che cerca d'emular o d'ingannar l'occhio di Dio.
Squarcio momentaneo, d'un dì del tutto uguale agli altri, occhi intriganti, si son palesati, su cui, il mio sguardo, a lungo, ha sostato. Ricordo ancor cos'ho provato, in quel frangente. Sensazione alquanto strana, m'aveva catturata. Un fascino diverso, del tutto inspiegato, da una piccola foto, aveva trasudato. Quell'uomo rude, all'apparire, avrei voluto, sebbene, un certo non so che, emanasse, lo sguardo suo profondo. Per averlo, avrei fatto di tutto, dalle sue braccia, per esser circondata, avrei dato me stessa, i suoi baci, fatta, m'avrebbero, fremere di vita. Lusinghe seduttive, illusorie emozioni, vagheggiamenti di chi, troppo presto, s'era spento, avendo perso cognizione del tempo e dello spazio. Miseri morti viventi, in cerca d'essere capiti. Miraggi d'amore l'avrebbero adescato, mirando ad uno spirito affamato, del mero sentimento ch'alimenta il vivere sensato. Per averti, avrei dato i giorni miei, per essere colmati. Ho barattato moine e adulazioni, che mai ho ritenute come mie, con frasi talvolta dure, a smuovere il pensiero immobile, ad apportare riflessione, atte a non perdere se stessi, al fin di non aver rimorsi d'eventuali errori, di cui pentirsi per tutta l'esistenza. La dignità d'un uomo, d'egocentrismo, pecca, sancendo di venir prioritaria. Sono andata, infin, a cercar sogni, di fantasia, plasmati, per ricondurli a te e farne così prosa, in modo da viaggiare, insieme, con la mente e il cuore, per estraniarci da realtà attuale, nell'attesa d'un fatale disegno, comunque già prestabilito.
Se i giorni miei languissero, per non averti conosciuto, non sarei qui, a scrivere di te, dell'uomo che m'ha amato, praticamente da subito. Silenzio, intorno a me, seppur mi trovassi tra la gente, opprimente, circuito m'avrebbe, di tenebrosa solitudine. Se, nel momento buio che, l'animo, ha scalfito, il viso tuo, quella radiosa luce, non m'avesse apportato, rischiarando il mio percorso e incitando il mio coraggio, testè percepirei un peso al cuore, sarei barca rollante, in balia del mare, cadrei, dall'alto, come foglia morta, donna che annaspa, senz'alcun amore. L'assidua tua presenza restituito m'ha la forza, che, la mente, cercava inutilmente, riflettendo che fosse andata persa. Hai condotto, per mano, la speranza, fino a me. Se non t'avessi avuto, sarebbe triste, il mondo circostante, non l'amerei sì tanto, perdendomi nei sogni e nel pensar progetti, trascinerei quel tempo, che sa d'appartenermi, nell'esistenza vuota, senza l'amor d'un uomo. Invece ho te e ho tutto l'universo, le stelle sul soffitto, a luccicar nell'ombra la luna sopra il tetto, a illuminar la notte, il sole, che s'accinge a riscaldarmi il cuore. Ho te ed ho il tuo amore... svanisce la paura d'esser sola, dissolto s'è il silenzio, il futuro, nelle mani, s'è creato. Con te, ho aperto la finestra a un'alba nuova il buio s'è portato via le nubi, sgombrando il cielo.
Orsù ottobre, sei arrivato? Stai sfiorendo il verde prato? E le foglie silenziose, giù dai rami, fino a un tempo, rubicondi, piroettando, fai cadere, nell'attesa dei bei tempi più fecondi. Vento freddo sferza i visi; irruente e dispettoso, i cappelli fa volare e, lontano, ruzzolare, per far correre i passanti. Pioggia bagna case e strade ed il sole, timoroso, tra grige nubi, si nasconde, quasi ad essere a riposo. Anche il mare ora appare agitato e quasi irato, sobillando le sue onde a incalzare e far rumore, non di canto, ma lamento, per avercela col tempo. Caro ottobre malandrino, che indossar ci fai il mantello e portar dietro l'ombrello, hai i capelli rosso mosto, dal sapore del buon vino e di castagne messe arrosto. Senza te, messer autunno, non sarebbe più lo stesso, quindi, stanne pur sicuro, tutti noi, l'anno venturo, t'aspetteremo, come adesso.
Si spegnevan riflettori, si chiudevan i sipari, sullo scrosciar d'applausi, fra maschere e belletti. Calarsi nelle parti, nel recitar gioie e ancor dolori, per calamitare folle attente. Calcavan le scene, attor con pochi soldi, brillanti artisti nel recitare, calandosi in panni differenti, atti a perpetuar le gesta altrui. Drammi, tragedie, commedie, sul palco in cui vivevan plurime vite, scordandosi le proprie e i propri affanni. Sapienti maestri dell'inganno e del mascherarsi, nel declamar parti, truccando l'irrealtà a realtà artefatta. Teatranti d'altri tempi, regalanti chimere ed illusioni, a molti, verosimilmente, persino a se stessi.