Poesie di Iris Vignola

Autrice di Trilogia fantasy, fiabe e Poetessa, nato a LA SPEZIA (Italia)
Questo autore lo trovi anche in Frasi & Aforismi e in Racconti.

Scritta da: Iris Vignola

Stranito sogno sibillino

Stranito sogno sibillino
sfoggiava l'essenza sorprendente,
insolita irrealtà dell'univoca fusione
della divina coesistenza degl'immutabili elementi.

Cangiando le sue quadrupli figure,
il fuoco s'infiammò per la feconda terra,
d'inimitabile natura intrisa,
di cui percepiva l'ammaliante sensazione.

Contemplando l'incontaminato volto matriarcale,
nei cui occhi s'affacciavan i tre regni naturali,
l'orizzonte rispecchiava il suo serafico splendore,
nei capelli entrava il sole,
sulle mani sue poggiava la sostanza materiale;
si struggeva per amore...

Furioso alquanto
per la coscienza di rispecchiar se stesso,
smaniava di dolore,
quel singolare essere bruciante,
ch'ardeva per l'assurdo, sconvolgente ardore.

L'eterea aria ossigenante
e la scrosciante acqua sorgente
sembianze alternative,
ammutolite, subivan l'insensato malumore
della cosmica entità, forgiata di filosofico concetto,
implorante corrispondenza dell'inusuale sentimento.

Ribollente di passione,
le sue lingue incendiarie lambivan pericolosamente
tal sacral generatrice di materia primordiale,
quella parte da lui amata follemente,
incosciente ch'essa fosse il suo grembo naturale,
la sua madre originaria, nutriente il suo calore, il suo fulgore.

Preso atto del reale,
si dovette rassegnare ad amarla in tale veste.
Iris Vignola
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    Scritta da: Iris Vignola

    Un angelo bianco

    La notte sì greve non porta ristoro,
    con eco rombante di tuono
    e dardi di fuoco che schiantano al suolo,
    con luce accecante,
    schiarente due ombre
    stagliatesi ai vetri, tra l'oscure fauci
    che gocciolan pianto dal cielo,
    similmente a saliva,
    di angeli neri, espulsi dal tempio del Padre,
    dall'atavico tempo del Verbo iniziale.

    Essenze di demoni oscuri,
    avvolti da tetra clausura,
    intridon la stanza silente;
    negli occhi, divampa la fiamma infernale,
    scrutando quel viso dormiente
    del piccolo essere a palpebre chiuse,
    meticcio d'angelica e umana natura,
    ch'ha ali argentate, sì chiuse a riposo,
    tra riccioli d'oro,
    dispersi sul tenero corpo di bimba innocente.

    Un Angelo bianco, tessuto d'amore,
    racchiude il mistero d'un angelo nero,
    esplicito ai demoni, effigi del male,
    ch'attendono il giusto momento
    del vile misfatto,
    nel fulcro del bieco baratto,
    sancente il riscatto del nero sul bianco,
    del buio imperioso, su fulgida luce irradiante,
    artefatto da artigli bestiali,
    abiurando il destino prescritto da dita sacrali.

    Qual fato risulterà indi avvallato?
    Soccombente alla spira del vile serpente
    o aderente alla progenie dell'imperituro bene,
    ancestrale genesi universale?
    Iris Vignola
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      Scritta da: Iris Vignola

      Laudato sii o mio signore

      Laudato sii o mio Signore,
      nel Cantico di Francesco,
      rivolto al sommo artefice di tutte le creature,
      per le chiare stelle donate,
      la luna, il sole...

      Laudato per l'Amore generato,
      fattosi martire,
      umiliato e agonizzante,
      poi trucidato,
      barattato col misfatto del peccato.

      Eterogenia d'incalzanti sentimenti,
      emananti emozioni ridondanti,
      discioltesi in lacrimali stille sulle guance,
      fin da epoca remota,
      a suffragar sublime perfezione,
      palesemente trasudante la fede sottintesa,
      latente, dell'artista,
      espressa nel consacrar il volto della Madre,
      nonché del divin Figlio,
      scolpiti nel marmoreo blocco inanimato,
      arresosi alla ferrea volontà del Buonarroti,
      ai suoi sapienti tocchi di scalpello,
      atti a raffigurar l'apoteosi dell'amor materno,
      conclamante Pietà e Misericordia,
      che s'animò di vita,
      sancendo avverato l'infausto presagio,
      avvallante sospirata speme di rinascita.

      Coniugazione di sembianze immacolate,
      intrise di strazio e d'afflizione,
      sul giovin viso di Maria;
      di sonno eterno, su quello di suo Figlio,
      il Nazareno,
      mirabili,
      nel di lei atto di regger sulle gambe
      l'adorato corpo dell'Eletto ad Amore universale
      a lei sottratto,
      arresosi a un profetico disegno prefissato;
      di cingerlo, nell'inespresso abbraccio astratto;
      nel di lui riverso viso esangue,
      addormentato tra mortali grinfie fatiscenti
      e adornato da riccioli fluenti,
      sparsi sul braccio di colei che fu prescelta;
      abbandonate, le discinte, sacre membra,
      l'affusolate mani e i piedi, trafitti e dissacrati.

      Ha inteso d'esser immortale, il genio,
      velando, del mistero dell'attesa designata,
      tal istante immaginato,
      susseguente, del Cristo destinato, dall'origine del tempo,
      a essere immolato, similmente a un agnello.

      Vergin Maria,
      a palpebre socchiuse,
      muta, nel suo dolore immane,
      quel palmo della mano verso il cielo,
      par implorare Dio, nel suo pensiero:

      "Ecco, tutto ciò che hai comandato or s'è compiuto.
      Con dolore, rimetto a Te il Figlio amato, martoriato e ucciso,
      Tua trascendente Essenza,
      con speranza di riaverlo fra le braccia, per l'eternità del tempo.
      E così sia."
      Iris Vignola
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        Scritta da: Iris Vignola

        Poesia, eclettica dama, sempiterna castellana

        Contesto ambito,
        osannato in memorie antiche,
        l'armonia di chiacchiere e di vino,
        tra sinfonia di musicali note.
        Soave melodia di liriche parole,
        in scritti liberi o rimati,
        forgia Bacco a singolar cultore,
        ch'elegge i presenti esimi Poeti,
        spronati mai da vanità,
        e da mancanza d'umiltà,
        bensì da ciò ch'esula da questo.
        L'amor di quel ch'è un immortale canto
        trascritto in versi trasudanti sentimenti,
        suffraganti sensazioni, emozioni,
        circuenti menti, volenti o nolenti,
        decreta noi tutti vittime o artefici
        d'ispirazioni letterarie.
        Dalla profondità dell'animo,
        cacciando sentimenti ostili,
        differenze, discrepanze,
        tra sprazzi d'ispirazioni e scaglie di sapori,
        indossiam ali di farfalle,
        alfin di sconfinar nell'irreale,
        dal reale, rinnegato sì sovente,
        da cui sappiamo ben fuggire.
        Splendor di rilucenti stelle
        testimonia risa e fraterni abbracci,
        tra lo scorrer del rosso delle botti,
        del bianco, sprizzante bollicine,
        in gaudenti coppe, mai annacquate,
        giusto da poterne ampiamente assaporare
        l'inebriante gusto.
        Versatile aroma, sorseggiato tra esilaranti fumi,
        caccianti remore ai pensieri,
        che si fan fluidi,
        aprendo cuori allo scambio d'opinioni,
        nell'amicizie sublimate
        nel nome di Poesia,
        eclettica Dama, sempiterna Castellana,
        predominante, nello scemar dell'ore,
        dentro 'l sospiro d'una notte in amore.
        Iris Vignola
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          Scritta da: Iris Vignola

          Si bea alfin di poesia

          Pendii, ricoperti da manti
          talvolta screziati o immacolati,
          sposandosi a valli,
          sciallate del verde di prati
          oppur di ghiacciato candore,
          intonan profetico canto d'amore,
          al nascer del Sole
          e al proprio calar il drappo rubicondo,
          all'avanzar della sua dama silenziosa.
          Luna altezzosa, regnante all'imbrunire.
          Lo sguardo è in attesa fremente.
          Dopo aver disceso le scoscese chine,
          s'adagia sul piano a riposare,
          indi, s'alza e s'addentra, spaziando,
          nel color d'orizzonte vermiglio,
          finché l'ombre, oscuranti la notte,
          non incedan, col lor tetro passo assoluto.

          Sorgiva, la fonte zampilla festante
          e china il pendio taciturno;
          scrosciando, ne pregna il silenzio,
          coi gelidi fiotti, sprizzanti purezza.
          Velata di trasparenza,
          si coniuga al fiume, sornione e indolente.
          Vitale, l'abbraccio irruente lo sferza all'istante,
          dando agio a quell'inno d'amor gorgheggiato
          di rinascer costante, nel rovente fulgore solare,
          riflesso sullo specchio fluviale,
          nonché al chiaror sensuale di luna,
          che lo rende fatato.
          Lo sguardo,
          attardante a seguir la sorgente,
          va a calar sull'acque del letto del fiume.
          Scivolandovi sopra, s'adorna di lapilli d'oro,
          prima d'esser dipinto di strali d'argento.

          E l'eco, all'udito,
          riporta rumori dal dolce sapore,
          tal canti corali soavi.
          Amante di nenie,
          narranti le danze di sensuali Ninfe
          dei boschi o dei laghi,
          di storie abitate da leggiadre Fate,
          ch'esprimon malia,
          di suoni armoniosi reali o irreali,
          forgiati di vero o di fantasia...
          Quell'eco, al pari d'udito,
          si bea alfin di poesia.
          Iris Vignola
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            Scritta da: Iris Vignola

            Rimorsi

            Facile.
            Inaspettatamente troppo facile.
            Più che rubare le caramelle a un bambino.
            Il suo amore era, dunque, così tenue?
            Donna arrendevole...
            incapace di lottare...
            Sono salva!
            Lui è solo mio!
            Gioirò.
            Griderò al vento.
            Danzerò alla luna.
            Dopotutto...
            ... ho vinto...
            Che cosa voglio ancora?
            Tanto, non mi basta?
            Malessere,
            nelle mie membra...
            Ombre nere,
            nella mia mente...
            sortite dall'inferno,
            la ottenebrano...
            Era così bella...
            Era così dolce...
            Creatura eterea,
            approdata, per errore,
            sulla confusa Terra.
            Quanto male perpetrato
            in nome dell'amore.
            Il dolore la consuma,
            fino a spegnerla,
            quale candela
            al calore della fiamma.
            Io... vincitrice...
            seppur
            un sapore amaro di sconfitta,
            tormenti la mia bocca,
            quale veleno
            che brucia le viscere e la mente.
            Eccola...
            La sua veste nera... cade,
            come la sua vita
            e, quale bruco che si muta in farfalla,
            rinasce a nuova Vita,
            in veste candida,
            per danzare con gli Angeli.
            Iris Vignola
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              Scritta da: Iris Vignola

              Sogno d'amore... e null'altro

              Sogno irreale, a sua volta sognante,
              mai divenuto vecchio e stanco,
              ancor accompagnante il divenire,
              sballonzolato, nel proprio limbo esistenziale,
              sul trespolo dell'indefinito,
              nell'attesa del traguardo.
              S'aggrappa sugli specchi... e non soltanto.
              Sogno d'amore... e null'altro.

              Cavalcando dentro al tempo,
              dando colpi a destra e a manca,
              si fa largo tra ricordi e tra rimpianti,
              ingabbiati nelle pieghe d'un passato
              sconfinante nel presente,
              barcollante nel deciderne il rigetto.
              In un flash, guarda il film in bianco e nero.

              Tale mano si perpetua, incoerente,
              nel cucire la sua tela d'una tinta.
              Ragnatela.
              Come ragno, assembla i fili, dentro ai bivi,
              incatenando mero senso di speranza,
              sovente, desiosa trama fatiscente,
              all'ordito d'ogni scelta, sia giusta o desolante.

              In attesa, nella languida costanza,
              che incrementa di saggezza e di fermezza,
              il mio sogno non accenna un movimento,
              né all'avanti né all'indietro,
              attendendo... e attendendo...
              Un barlume di realtà,
              a nutrirlo e a ripararlo dall'ordito ancor errato,
              per donargli finalmente eternità.
              Iris Vignola
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                Scritta da: Iris Vignola

                Era bella

                Natia stella del borgo arroccato,
                era bella,
                Principessa di tutto e di niente,
                nel calcare il declivio sinuoso
                per bagnare candore di piume.
                Agognava un incontro regale
                come in tutte le fiabe sognate.
                Dalle membra d'un cigno aggraziato,
                in flessuose movenze,
                sbocciava l'incanto del fascino innato.
                Sprazzi d'arcobaleno, nell'iridi screziate,
                acquose pietre trasparenti,
                nel resto dei suoi occhi rilucenti.
                Lo sguardo suo, spavaldo,
                assorto negli squarci d'orizzonte,
                volava in alto,
                intanto che chinava altera e fiera,
                qual vestale immacolata,
                abbigliata di purezza, nella veste castigata,
                allorquando,
                strappandole le vesti e il sorriso,
                rudi mani
                le sottrassero il mondo intero,
                fomentando urla e pianti disperati,
                i cui echi
                rimbalzavano sull'acque gorgoglianti,
                prima di morir annegati.
                La sua virtù annaspava,
                nel mentre che implorava
                per non subir il demoniaco sopruso,
                di quell'immonda bestia su due piedi.
                Repressi tabù fors'erano alla fonte,
                incrementanti ossessioni
                e perpetranti infamie ossessionanti,
                in squallidi momenti depravati.
                Viscerale desio d'istantanea morte,
                il triste suo pensiero,
                a implementar rimedio
                allo spettro d'un futuro strazio vivo,
                senza scampo
                e ineluttabilmente eterno.
                Rea impenitente di pudore,
                violato e immolato sull'altare dissacrato,
                riversa, sulla riva imbrattata di sangue,
                la mente perduta nel nulla,
                riflettendo se stessa nello specchio fluviale,
                vide il cigno
                trafitto e sporcato dal bieco peccato
                e osservò le sue piume,
                non più bianche ma nere,
                sotto il cielo ammantato di male.
                Al pensiero funesto, era sordo!
                L'imbrunire, che intanto era sorto
                oscurando le acque sornione
                del letto del fiume,
                ponderato "appropriato all'eterno riposo",
                scatenò la coscienza confusa,
                nel suo sguardo ormai spento
                similmente a esistenza dissolta,
                come fiamma d'un mozzicone
                annientata dal lago di cera.
                Rizzandosi in piedi, a fatica,
                risalì il sentiero sterrato
                con il cuore vilmente spezzato.
                Un'ombra attendeva, dubbiosa...
                La sua falce impietosa era pronta,
                ma non ebbe ragione d'alzarsi
                sul giovane capo reclino,
                per mieter la vittima arresa alla sorte.
                E la morte perdente riprese il cammino.
                Iris Vignola
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                  Scritta da: Iris Vignola

                  Madre... padre...

                  Era mia madre,
                  la tenebra imperversante;
                  cingendomi nel suo amoroso abbraccio,
                  rapì il primo mio vagito stupefatto.
                  Lievi carezze,
                  accompagnanti sogni consumati assiduamente,
                  nei miei sonni beati di neonata,
                  dacché le ossute dita oscure
                  serravan le mie palpebre socchiuse,
                  cantavan nenie,
                  narravan di Fate e di Sirene,
                  carpendo il mio respiro,
                  in cambio del sospiro della notte.
                  Sospesa in equilibrio, tra la realtà e la fiaba,
                  lasciandomi traviare da suadente beltà rivelata,
                  addentrando il mio esile corpo,
                  m'accoccolavo in grembo,
                  in modo di nutrirmi al suo seno offerto,
                  nonché cercar protezione, in notti discinte,
                  esprimenti il livore del cielo.
                  A piena mano, allor elargiva il suo tepore.

                  Padre assoluto, padre beneamato,
                  il suo bacio d'amore,
                  al primo chiarore del mattino,
                  risvegliando il mio torpore persistente,
                  rasserenava l'animo infante,
                  spesso reso triste dalla bieca sorte.
                  Con tenacia, aggrappata a una nube,
                  con l'intento di sapermi, a lui, vicina,
                  ero figlia adorante il proprio padre,
                  seppur, talvolta, d'istante s'adombrasse;
                  anzitempo, in connubio alla sua sposa,
                  si copriva del suo velo,
                  per qualcosa a me incompreso,
                  tuonando la sua voce portentosa,
                  com'eco a ravvivar il mio timore insano
                  d'esser figlia bistrattata e poco ambita.
                  Fin a che il dolce pianto cristallino,
                  scacciante le mie lacrime di sale,
                  dal mio viso corrugato,
                  non portava il suo rimorso,
                  rinnovando la certezza del suo amore.

                  Or mio padre,
                  s'è decretato il divampante fuoco
                  alimentante il tempo,
                  a cui m'appello, assai sovente.
                  Or mia madre,
                  s'è palesata l'ancora pesante
                  della speranza costante,
                  a cui m'immolo, ormai perennemente.
                  Quando entrambi svaniranno,
                  allor soltanto,
                  sola, con me stessa,
                  diverrò inver funambola incallita.
                  Iris Vignola
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