Scritta da: Maia
in Poesie (Poesie d'amore)
Osmosi
Da te a me
movimenti d'anima
in soluzione concentrata
a soluzione rarefatta
attraverso la sottile
membrana dell'amore.
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Da te a me
movimenti d'anima
in soluzione concentrata
a soluzione rarefatta
attraverso la sottile
membrana dell'amore.
La vita ti cingo
il volto ti sfioro
la mente t'invado.
La pelle t'inseguo
i fianchi ti liscio
la testa t'incanto
Tremori t'induco
sussulti t'accendo
ebbrezza mi rendi
Ti bacio.
A questo amore grande e profondo
volevo fargli conoscere il mondo;
a questo amore bello e gentile
volevo solo non farlo soffrire.
Gli ho fatto solo conoscere il mare
gli ho fatto solo sentire il sale,
non son riuscita a dargli il mio amore;
non son riuscita ad avere il suo cuore.
Non so cosa dire,
ma so di volerlo dire a te.
Risorgo e ricordo
il sapore del tuo sguardo
tra le nostre recenti labbra d'Oriente.
Ho capito di esserci essenziali
e vivrò per accarezzarti dormendo,
quasi per crederci, guardare un destino condiviso
fin dalla prima notte, a parole, a indecisioni, a bassa voce.
Sapevo, in quella fine d'inverno,
che in qualche modo noi esistevamo.
Non potevamo non essere, non poteva
non nascere chi sapevamo di conoscere
sull'altra sponda dell'oceano, ma senza nome.
Dovevamo essere, e adesso che siamo
e scrittura mai sola si insinua tra volere e avere,
sono chi volevo essere quando ancora non lo sapevo.
Sono il noi nato il giorno della stessa alba di una impossibile morte.
Ispira la tua voce
quando perde il significato del verbo,
ed io sono nato in lei,
senza nessuna paralisi da cercare,
in angeli di cristalli che piovevano,
tra perle di distanze che strillavano
per la paura di avvicinarsi e poi smarrirsi
tra frantumi di magie infinite
nello specchio di attimi dispersi.
Quella voce non aveva nome,
o quella voce non esisteva
senza quello stesso nome,
e le cose cambiano o le cose muoiono,
e il nome le chiama o le vivifica,
quindi adesso devo farlo,
posso farlo, e quando voglio
non voglio perché l'attesa è tutto
e la sua fine un delitto.
Ispira la tua voce
se pronuncia il mio nome,
quando il margine di un'anca
affonda nell'addio di un bacio
e il suo oblio definisce la parola,
sulla schiena un neo
e accanto al labbro un altro,
il sorriso di chi si accende
nella solitudine di una compagnia.
Riduco a verso un dolore presunto,
svesto le cicatrici socchiuse
e le ricopro d'amore.
Senza voler usare la parola,
quando da sempre significa tutto,
mi ripeto che lo sei, e mi riappacifico.
Vorrei prendere le tue mani
e descrivere con loro la vita.
Non sei qui, la storia si ripete.
Chiamiamo affanno l'idea dell'assenza
e perderla, il non-dove, significa flagello.
Distratto divago per l'antica pelle accarezzata,
rievoco il suo odore, profumo d'argento
assonnato nel vivere il riposo.
Assaggia l'amore, dipingi il suo fuoco
e annienta la speme d'oltreoceano fasullo.
Non ho alimento, né cielo, né luce,
sguardi distanti perduti in demenze.
Torno alle tue mani, odo il loro plauso
e mi accingo a rapirlo, renderlo mio
per poi piangerlo: felicità per armonia illusa.
Voglio sposarti, non ci sei e mi confesso.
Nel desiderio di un futuro, a te prometto
di non abbandonarmi, di morir d'aria
in un lento, bollente, generoso riso tuo.
Un'attesa lunga,
una fortezza adornata
e una strada tortuosa, incerta
separano il povero
che cerca amore
dalla sua meta:
la perfezione,
il completamento,
un pianto primordiale, straziante.
Sigillo di umanità e
di una bellissima fragilità
è l'amore.
Le tue certezze si sono infrante
nel vento forte
che soffia da settentrione
e spazza la nuvolaglia grossa rozza
del tuo cuore
chiuso dalle tele fitte dei ricordi
da millenarie tradizioni
il tuo idioma gentile si mescola adesso
a cento a mille lingue e dialetti
e solo una parola è comprensibile
amore.
Un effimero brivido
climax ascendente, ripido
dai piedi sino alla mente
poche volte si avvera realmente
solo a chi del cuore
ne è possidente.