Poesie d'Autore


in Poesie (Poesie d'Autore)

Dove cammini

Dove cammini si fa autunno e sera
Azzurro animale che sotto alberi suona
solitario lago di sera.
Dove cammini si fa autunno
gli alberi cambiano d'improvviso colore
la sera diventa dorata
poi s'incendia
l'aria si fa malinconica e dolce. Lo so perché sto camminando verso di te, con te, insieme a te.
Composta lunedì 2 novembre 2009
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    Scritta da: Anna De Santis
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Una lacrima e un sorriso

    Passata è ancora una giornata
    ore per fare sera e tutto di corsa
    incontrare tanta gente, non ricordare niente.
    Provare a far quadrare i conti
    che nella vita difficilmente sono giusti
    e tentare di salvare il risultato
    ma sempre con dei resti.
    Tra lacrime e sorrisi si va avanti
    prendendo quel che viene, senza ipotizzare
    perché per quanto fai progetti
    tendono sempre a ribaltare.
    Forse quel porsi in forse
    ti farebbe vivere meglio
    in modo più tranquillo, senza sperare
    accontentarsi, senza troppo desiderare.
    Un futuro che bisogna guadagnare
    forse come un gioco a punti
    si deve comunque tentare
    ti hanno messo, senza tua intenzione
    in questa situazione
    che non hai chiesto e c'è anche il resto.
    Non chiamatemi folle, ma è così che mi sento
    a volte sbattuta, a volte cullata
    spesso perduta
    una foglia d'autunno, in balia del vento.
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      Scritta da: Prometeo
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Notte d'estate

      È una bella notte d'estate
      Tengono le alte case
      aperti i balconi
      del vecchio paese sulla vasta piazza
      Nell'ampio rettangolo deserto,
      panchine di pietra, evonimi ed acacie
      simmetrici disegnano
      le nere ombre sulla bianca arena.
      Allo zenit la luna, e sulla torre
      la sfera dell'orologio illuminata.
      Io in questo vecchio paese vo passeggiando
      solo come un fantasma.
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        Scritta da: Ambra
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Non ti amo, se non perché ti amo.
        E dall'amarti al non amarti giungo.
        E dall'attenderti quando non t'attendo
        passa il mio cuore dal freddo al fuoco.
        Ti odio senza fine, e
        odiandoti ti cerco.
        E la misura del mio amor perduto,
        è non vederti e amarti come un cieco.
        Forse consumerà la luce di Gennaio,
        col suo raggio crudele il mio cuore intero,
        rubandomi la chiave della calma.
        In questa storia solo io muoio,
        e morirò d'amore perché t'amo.
        Perché t'amo amore, a Sangue e Fuoco!
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          Scritta da: Kovski21
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il flauto di vertebre

          Prologo

          a voi tutte,
          che piacete o siete piaciute,
          che conservate icone nell'antro dell'anima,
          come coppa di vino in un brindisi,
          levo il cranio ricolmo di canti.

          Sempre più spesso mi chiedo
          se non sia meglio metter il punto
          d'un proiettile alla mia sorte.
          Oggi darò,
          in ogni caso,
          un concerto d'addio.

          Memoria!
          Raduna nella sala del cervello
          le schiere inesaurivbili delle amate.
          Da un occhio all'altro effindi il sorriso. D'antiche nozze travesti la notte.
          Di corpo in corpo effondete la gioia.
          Che nessuno dimentichi una simile notte.
          Oggi io suonerò il flauto
          sulla mia colonna vertebrale.

          I

          Miglia di strade i miei passi calpestano.
          Dove andrò a nascondere il mio inferno?
          Da quale Hoffmann celeste
          sei stata concepita, maledetta?

          Sono anguste le strade per una tempesta di gioia.
          Gente adorna la festa senza posa attingeva.
          Penso.
          I pensieri, grumi di sangue,
          imfermi e rappresi strisciano via dal cranio.

          Io,
          taumaturgo di ogni tripudio,
          non ho con chi andare alla festa.
          Cadrò di schianto, supino,
          sfracellandomi il capo dulle pietre del Nevskij!
          Ho bestemmiato.
          Ho urlato che Dio non esiste,
          e lui ha tratto dal fondo dell'inferno
          una donna che farebbe tremare una montagna
          e mi ha comandato:
          amala!

          Dio è soddisfatto.
          Nell'erta sotto il cielo
          un uomo tormentato s'è inselvatichito e spanto.
          Dio si stropiccia le mani.
          Dio pensa:
          aspetta, Vladimir!
          L'ha escogitato lui, lui,
          per non farmi scoprire il tuo mistero,
          di darti un marito vero
          e di porre sul pianoforte note umane.
          Se furtivo m'accostassi alla soglia della tua alcova, per far la croce sulla nostra coperte,
          lo so,
          si sentirebbe puzzo di lana bruciata
          e fumo sulfureo si leverebbe dalla carne del diavolo.

          Ma invece fino all'alba
          l'orrore che tu fossi condotta ad amare
          m'ha sconvolto,
          e le mie grida
          ho sfaccettato in versi,
          gioielliere già in preda alla follia.
          Giocare a carte!
          Sciaquare
          nel vino la rauca gola del cuore!

          Non ho bisogno di te!
          Non voglio!
          Non importa,
          lo so
          che creperò fra breve.

          Se è vero che esisti,
          o Dio,
          o mio Dio,
          se hai intessuto il tappeto di stelle,
          se questo tormento,
          moltiplicato ogni giorno,
          è, Signore, una prova mandata giù da te,
          indossa la toga del giudice.
          Aspetta la mia visita.
          Sono puntuale,
          non tarderò d'un giorno.
          Ascolta,
          altissimo inquisitore!

          Serrerò la bocca.
          Non udiranno un grido
          dalle labbra morse.
          Legami alle comete, come alle code dei cavalli,
          trascinami,
          squarciandomi sulle punte delle stelle.
          Oppure,
          quando l'anima mia sloggerà
          per venire al tuo tribunale,
          accigliandoti ottusamente,
          come una forca
          distendi la Via Lattea,
          e subito impiccami come un criminale.
          Fà quello che ti pare.
          Squartami, se vuoi.
          Io stesso, giusto, ti laverò le mani.
          Però,
          ascolta!
          Portati via la maledetta,
          che m'hai comandato d'amare!

          Miglia di strade i miei passi calpestano.
          Dove andrò a nascondere il mio inferno?
          Da quale Hoffmann celeste
          sei stata concepita, maledetta?

          Ii

          Il cielo
          fumoso, immemore d'azzurro,
          e le nubi a brandelli come profughi
          rischiarerò nell'alba del mio ultimo amore,
          vivido come l'incarnato d'un tisico.
          La mia gioia ricoprirà il ruggito
          dell'ammasso, dimentico
          del tepore domestico.
          Uscite dalle trincee.
          Combatterete dopo.

          Anche se dura la battaglia,
          ubriaca di sangue e vacillante come Bacco,
          le parole d'amore non sono vane.
          Cari tedeschi!
          Io so
          che avete sul labbro
          la Margherita di Goethe.

          Muore il francese
          sulla baionetta sorridendo,
          con un sorriso si schianta l'aviatore ferito,
          se ricorda
          il bacio della tua bocca,
          Traviata.

          Ma a me che importa
          della rosea polpa,
          che i secoli masticheranno?
          Oggi stendetevi ad altri piedi!
          Canto te,
          imbellettata,
          fulva.

          Forse di questi giorni,
          orrendi come aguzze baionette,
          quando i secoli avranno canuta la barba,
          resteremo soltanto
          tu
          ed io,
          che t'inseguirò di città in città.

          Sarai mandata di là dal mare,
          ti celerai nel covo della notte:
          ti bacerò attraverso la nebbia di Londra
          con le labbra di fuoco dei lampioni.

          In lente carovane percorrerai i torridi deserti,
          dove stanno leoni in agguato:
          per te
          sotto la polvere, strappata dal vento,
          sarà un Sahara la mia guancia ardente.

          Con un sorriso sulle labbra guardami,
          vedrai
          che torero io sono!
          E d'improvviso
          getterò sul tuo palco la mia gelosia
          come l'occhio morente del toro.

          Se portando il tuo passo distratto sul ponte
          penserai
          che ti sta bene laggiù,
          sarò io
          sotto il ponte la corrente della Senna,
          e ti chiamerò,
          digrignando i putridi denti.

          Con un altro incendierai nel fuoco dei cavalli
          Strelka o Sokolniki.
          Io starò in alto a farti soffrire
          con un'ignuda luna in attesa.

          Sono forte,
          avranno bisogno di me
          e mi ordineranno:
          muori in battaglia!
          Il tuo nome
          sarà l'ultimo,
          rappreso sul mio labbro lacerato dal proiettile.

          Finirò sul trono?
          O a Sant'Elena?
          Dominati i flutti tempestosi della vita,
          sarò ugualmente candidato
          al regno dell'universo
          e al lavoro forzato.

          Se è mio destido d'essere re,
          il tuo viso
          ordinerò di coniare al mio popolo
          nell'oro vivo delle mie monete!
          O laggiù,
          dove si scolora il mondo nella tundra,
          dove traffica il fiume col vento del nord,
          sul ferro graffierò il tuo nome, Lilia,
          e le catene bacerò nel buio della galera.

          Ascoltate, immemori dell'azzurro del cielo,
          irsuti,
          come bestie feroci.
          Al mondo, forse,
          questo ultimo amore
          è un'alba vivida come incarnato di un tisico

          iii

          Scorderò l'anno, la data, il giorno.
          Mi chiuderò solo con un foglio di carta.
          Avverati, magia sovrumana,
          delle parole illuminate di pianto!

          Oggi, appena entrato nella tua casa,
          mi sono sentito
          a disagio.
          Tu celavi qualcosa nell'abito di seta
          e s'effondeva nell'aria un profumo d'incenso.
          Sei felice?
          Hai risposto un freddo:
          &olaquo Molto ".
          L'inquietudine ha rotto l'argine della ragione.
          Accumolo disperazione, nel delirio della febbre.

          Ascolta,
          tanto non ci riesci
          a celare il cadavere.
          Scagliami in viso la parola terribile.
          Ogni tuo muscolo urla
          lo stesso,
          come in un megafono:
          è morto, è morto, è morto.
          No,
          rispondi.
          Non mentire!
          (Come farò a tornare indietro così?)
          Come due tombe
          ti si scavano gli occhi nel viso.

          Le due fosse si inabissano.
          Non se ne vede il fondo.
          Mi sembra
          di crollare dal palco dei giorni.
          Come una fune, ho teso l'anima sul precipizio
          e vi ho fatto l'equilibrista, giocoliere di parole.

          Lo so,
          ormai l'ha consunto l'amore.
          Da tanti segni indovino la noia.
          Fammi tornare giovane nell'anima.
          La gioia del corpo fà di nuovo conoscere al cuore.

          Lo so,
          per una donna sempre si paga.
          Non fa niente,
          se intanto,
          non ti vestirò con l'elegante abito di Parigi
          ma soltanto col fumo della sigaretta.

          Il mio amore,
          come un apostolo d'età remote,
          diffonderò oer mille e mille strade.
          Da secoli è pronta per te una corona,
          ove sono incastonate le mie parole:
          arcobaleno di spasimi.

          Come fecero vincere Pirro
          gli elefanti con passi di due quintali,
          così io ho sconvolto il tuo cervello col passo del genio.
          Invano.
          Non potrò piegarti

          Gioisci,
          gioisci
          d'avermi finito!
          Ora è tale l'angoscia che desidero
          soltanto fuggire al canale
          e il capo cacciare nell'acqua digrignante.

          Mi hai offerto le labbra.
          Con quanta indifferenza.
          Le ho sfiorate e m'hanno ghiacciato.
          M'è parso di baciare in penitenza
          un monastero intagliato nella fredda pietra.

          Hanno sbattuto
          la porta.
          È entrato lui,
          rorido della gaiezza delle strade.
          Io
          con un gemito mi sono spezzato in due.
          Gli ho gridato:
          &olaquo Va bene!
          Me ne andrò!
          Va bene!
          Rimarrà tua.
          Ricoprila di stracci,
          le sete appesantiscono le sue timide ali.
          Bada che non s'involi.
          Appendile al collo
          come una pietra collane di perle!".

          Oh, questa
          che notte!
          Ho spremuto a non finire la mia disperazione.
          Al mio pianto e al mio riso
          il muso della stanza d'è torto in una smorfia d'orrore.
          E come una visione sorse a te il suo sembiante,
          sul suo tappeto effondevi l'aurora dei tuoi occhi,
          quasi in sogno evocasse un nuovo Bjalik
          un'abbagliante regina dell'ebraica Sion.

          Nel tormento ho piegato i ginocchi
          dinanzi a colei che non è più mia.
          A mio paragone
          re Alberto,
          arresosi con tutte le sue fortezze,
          è un festeggiato ricolmo di regali.

          Indoratevi al sole, fiori ed erbe!
          Dilagate in primavera, vita di tutti gli elementi!
          Io un solo veleno desiderio:
          bere e bere sempre versi.

          Tu che hai saccheggiato il mio cuore,
          privandolo di tutto,
          e nel delirio m'hai lacerato l'anima,
          accogli, cara, il mio dono,
          forse più nulla io potrò inventare.

          Onorate a festa la data di oggi.
          Avverati,
          magia simile alla passione di Cristo.
          Vedete,
          sulla carta sono trafitto con chiodi di parole.
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            Scritta da: Kovski21
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Ascoltate!

            Ascoltate!
            Se accendono le stelle,
            vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
            Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
            Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?
            E tutto trafelato,
            fra le burrasche di polvere meridiana,
            si precipita verso Dio,
            teme d'essere in ritardo,
            piange.
            Gli bacia la mano nodosa,
            supplica
            che ci sia assolutamente una stella,
            giura
            che non può sopportare questa tortura senza stelle!
            E poi cammina inquieto,
            fingendosi calmo.
            Dice ad un altro:
            "Ora va meglio, è vero?
            Non hai più paura?
            Sì!?"
            Ascoltate!
            Se accendono le stelle,
            vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
            Vuol dire che è indispensabile
            che ogni sera
            al di sopra dei tetti
            risplenda almeno una stella?
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              Scritta da: Kovski21
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Invece di una lettera

              Il fumo del tabacco ha roso l'aria.
              La stanza
              è un capitolo dell'inferno di Kruchenych.
              Ricordi?
              Accanto a questa finestra
              per la prima volta
              accarezzai freneticamente le tue mani.
              Oggi, ecco, sei seduta,
              il cuore rivestio di ferro.
              Ancora un giorno,
              e mi scaccerai,
              forse maledicendomi.
              Nella buia anticamera, la mano, rotta dal tremito,
              a lungo non saprà infilarsi nella manica.
              Poi uscirò di corsa,
              e lancerò il mio corpo per la strada.
              Fuggito da tutti,
              folle diventerò,
              consunto dalla disperazione.
              Ma non è necessario tutto questo;
              cara,
              dolce,
              diciamoci adesso addio.
              Il mio amore,
              peso così schiacciante ancora,
              ti grava sopra
              lo stesso,
              dovunque tu fugga.
              Lasciami sfogare in un ultimo grido
              l'amarezza degli offesi lamenti.
              Se lo sfiancano di lavoro, un bue,
              se ne va
              ad adagiardi sulle fredde acque.
              Ma, al di fuori del tuo amore,
              per me
              non c'è mare,
              e dal tuo amore neanche col pianto puoi imetrare tregua.
              Se l'elefante sfinito cerca pace,
              si stende regalmente sulla sabbia arroventata.
              Ma, al di fuori del tuo amore,
              per me
              non c'è sole,
              e io non so neppure dove sei e con chi.
              Se così tua avessi ridotto un poeta,
              lui
              avrebbe lasciato la sua amata per la gloria e il denaro
              ma per me
              non un solo
              suono è di festa
              oltre a quello del tuo amato nome.
              Non mi butterò nella tromba delle scale,
              non ingierò veleno,
              non saprò premere il grilletto contro la tempia.
              Su di me,
              al di fuori del tuo sguardo,
              non ha potere la lama di nessun coltello.
              Domani dimenticherai
              che ti ho incoronato,
              che l'anima in fiore ho incenerito con l'amore,
              e lo scatenato carnevale dei giorni irrequieti
              socompiglierà le pagine dei miei libi...
              Potranno mai le foglie secche delle mie parole
              trattenerti un momento
              per aspirare avidamente?
              Ma lascia almeno
              ch'io lastrichi con un'ultima tenerezza
              il tuo passo che s'allontana.
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                Scritta da: Anna De Santis
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                L'urlo che libera

                Autunno mi colora intorno
                ma non vedo niente
                ho vuoto dentro e fuori
                passo tra la gente che mi è indifferente
                maledetto sentimento
                che ha portato via il vento
                ma ho ancora un urlo che mi libera
                tra questi alberi
                tanto non c'è nessuno che mi sente.
                Anche loro, come me
                han perduto il calore ed il colore
                lentamente si spogliano
                e mi sento scoperta, senza protezione
                dò libero sfogo all'emozione
                che mi fa tremare di rabbia e di dolore.
                Niente e nessuno mi può consolare
                ma fatemi gridare
                qualche foglia leggera mi accarezza il viso
                e ripenso a te.
                Dove sarai adesso, mi starai pensando
                forse la tua mano sta accarezzando...
                non posso immaginare, ci stò male.
                Lascio che il mio grido liberi la mente
                che giunga fino a te... che non mi stai a sentire...
                che non mi stai a sentire...
                che non mi puoi sentire.
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