Le migliori poesie inserite da Elisabetta

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Scritta da: Elisabetta
Se i libri fossero di torrone,
ne leggerei uno a colazione.

Se un libro fosse fatto di prosciutto,
a mezzogiorno lo leggerei tutto.

Se i libri fossero di marmellata,
a merenda darei una ripassata.

Se i libri fossero frutta candita,
li sfoglierei leccandomi le dita.

Se un libro fosse di burro e panna,
lo leggerei prima della nanna.
Composta sabato 25 luglio 2009
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    Scritta da: Elisabetta

    La sigaretta

    È lei che non mi fa sentire sola,
    è lei che scandisce il tempo quando sono in compagnia,
    è lei che mi fa impazzire se non mi è vicina,
    è lei che mi fa uscire anche di notte,
    è lei la colpa dei miei malanni,
    è lei che lascia un odore penetrante,
    è lei che arde e mi consuma lentamente,
    è lei che vincola la scelta dei locali pubblici,
    è lei la causa di tante vittime,
    è lei che mi rende schiava,
    è lei che mi fa scrivere questo.
    Allora mi domando,
    come faccio a venerarla?
    Eppure è così una specie di amore,
    e l'amore è sempre irrazionale.
    Composta sabato 29 agosto 2009
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      Scritta da: Elisabetta

      A che te serve?

      A che te serve èsse arto
      se poi nun sei all'artezza?
      oppure èsse bello
      si drento de te nun c'è bellezza?

      A che te servono li sordi
      se nun conosci la ricchezza?
      oppur avè cento diplomi
      si te manca la saggezza?

      A che te serve 'na gran casa
      ma nessuno che l'apprezza?
      oppure tanta gente intorno
      ma nemmeno.... una carezza?
      Composta sabato 4 ottobre 2014
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        Scritta da: Elisabetta

        Questione di pelle

        -Che cane buffo! E dove l' hai trovato? -
        Er vecchio me rispose: - é brutto assai,
        ma nun me lascia mai: s' é affezzionato.
        L' unica compagnia che m' é rimasta,
        fra tanti amichi, é ' sto lupetto nero:
        nun é de razza, é vero,
        ma m' é fedele e basta.
        Io nun faccio questioni de colore:
        l' azzioni bone e belle
        vengheno su dar core
        sotto qualunque pelle.
        Composta sabato 4 dicembre 2010
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          Scritta da: Elisabetta

          La mosca invidiosa

          La Mosca era gelosa Dio sa come
          d'una Farfalla piena de colori.
          - Tu - je diceva - te sei fatta un nome
          perché te la svolazzi tra li fiori:
          ma ogni vorta che vedo l'ale tue
          cò tutto quer velluto e quer ricamo
          nun me posso scordà quann'eravamo
          poveri verminetti tutt'e due...
          - Già - disse la Farfalla - ma bisogna
          che t'aricordi pure un'antra cosa:
          io nacqui tra le foje d'una rosa
          e tu su'na carogna.
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            Scritta da: Elisabetta

            Il girotondo delle maschere

            È Gianduia torinese
            Meneghino milanese.
            Vien da Bergamo Arlecchino
            Stenterello è fiorentino.
            Veneziano è Pantalone,
            con l'allegra Colombina.
            Di Bologna Balanzone,
            con il furbo Fagiolino.
            Vien da Roma Rugantino:
            Pur romano è Meo Patacca.
            Siciliano Peppenappa,
            di Verona Fracanappa
            e Pulcinella napoletano.
            Lieti e concordi si dan la mano;
            vengon da luoghi tanto lontani,
            ma son fratelli, sono italiani.
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              Scritta da: Elisabetta

              Gli odori dei mestieri

              Io so gli odori dei mestieri:
              di noce moscata sanno i droghieri,
              sa d'olio la tuta dell'operaio,
              di farina il fornaio,
              sanno di terra i contadini,
              di vernice gli imbianchini,
              sul camice bianco del dottore
              di medicine c'è un buon odore.
              I fannulloni, strano però
              non sanno di nulla e puzzano un pò
              Composta venerdì 24 luglio 2009
              dal libro "Filastrocche Italiane" di
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                Scritta da: Elisabetta

                Il passero ferito

                Era d'agosto. Un povero uccelletto
                ferito dalla fionda di un maschietto
                andò, per riposare l'ala offesa
                sulla finestra aperta di una chiesa.

                Dalle tendine del confessionale
                il parroco intravide l'animale
                ma, pressato da molti peccatori
                che pentirsi dovean dei loro errori
                rinchiuse le tendine immantinente
                e si rimise a confessar la gente.

                Mentre in ginocchio oppur stando a sedere
                diceva ogni fedele le preghiere,
                una donna, notato l'uccelletto,
                lo prese, e al caldo se lo mise in petto.

                Ad un tratto improvviso un cinguettio
                ruppe il silenzio: cìo, cìo, cìo, cìo.

                Rise qualcuno, e il prete, a quel rumore
                il ruolo abbandonò di confessore;
                scuro nel volto, peggio della pece
                s'arrampicò sul pulpito, poi fece:
                "Fratelli, chi ha l'uccello, per favore
                vada fuori dal tempio del Signore".

                I maschi, un po' stupiti a tali parole,
                lesti s'accinsero ad alzar le suole,
                ma il prete a quell'errore madornale,
                "Fermi, gridò, mi sono espresso male!
                Rientrate tutti e statemi a sentire:
                sol chi ha preso l'uccello deve uscire!"

                A testa bassa, la corona in mano,
                cento donne s'alzarono piangendo.
                Ma, mentre se n'andavano di fuora
                il prete rigridò: "Sbagliato ho ancora;
                rientrate tutte quante, figlie amate,
                che io non volevo dir quel che pensate!"

                Poi riprese; "Già dissi e torno a dire
                che chi ha preso l'uccello deve uscire.
                Ma mi rivolgo, a voce chiara e tesa,
                soltato a chi l'uccello ha preso in chiesa!"

                A tali detti, nello stesso istante,
                le monache s'alzaron tutte quante;
                quindi col viso pieno di rossore
                lasciarono la casa del Signore.

                "Oh Santa Vergine! - esclamò il buon prete -
                Sorelle orsù rientrate e state quiete,
                poiché voglio concludere, o signori,
                la serie degli equivoci ed errori;
                perciò, senza rumori, piano piano,
                esca soltato chi ha l'uccello in mano".

                Una fanciulla con il fidanzato,
                ch'eran nascosti in un angolo appartato
                dentro una cappelletta laterale,
                poco mancò che si sentisser male.
                Quindi lei sussurrò col viso smorto
                "che ti dicevo, hai visto? Se n'è
                accorto!"
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                  Scritta da: Elisabetta

                  Ncontro Gheddafi-Berlusconi

                  Pe'Gheddafi e il suo metano,
                  organizzo 'na gran festa,
                  mi trasformo in mussulmano,
                  col turbante sulla testa.

                  Pe' 'l piacere der tiranno,
                  organizzo tutto bene,
                  le veline già lo sanno,
                  giocheranno col suo pene.

                  Nell'incontri tra statisti,
                  come a Putin mio amichetto,
                  vecchi giochi ma mai tristi,
                  je faranno er servizietto.

                  De Viagra 'n par de chili,
                  letti grandi esagerati,
                  famo 'n poco li servili,
                  guadagnanno sull'asili.

                  E c'è er fine a tutto questo,
                  basta ave' l'occhi da falchi,
                  riusciremo cor pretesto,
                  a limità de più li sbarchi.

                  Er migrante clandestino,
                  che j'arriva dar deserto,
                  ancor più nero avrà il destino,
                  je spareranno in cielo aperto!
                  Composta giovedì 26 agosto 2010
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