Le migliori poesie inserite da Elisabetta

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Scritta da: Elisabetta

L'ingiustizzie der monno

Quanno che senti di' "cleptomania"
è segno ch'è un signore ch'ha rubbato:
er ladro ricco è sempre un ammalato
e er furto che commette è una pazzia.

Ma se domani è un povero affamato
che rubba una pagnotta e scappa via
pe' lui nun c'è nessuna malatia
che j'impedisca d'esse condannato!

Così va er monno! L'antra settimana
che Yeta se n'agnede cór sartore
tutta la gente disse: - È una puttana. -

Ma la duchessa, che scappò in America
cór cammeriere de l'ambasciatore,
- Povera donna! - dissero - È un'isterica!...
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    Scritta da: Elisabetta

    Il passero ferito

    Era d'agosto. Un povero uccelletto
    ferito dalla fionda di un maschietto
    andò, per riposare l'ala offesa
    sulla finestra aperta di una chiesa.

    Dalle tendine del confessionale
    il parroco intravide l'animale
    ma, pressato da molti peccatori
    che pentirsi dovean dei loro errori
    rinchiuse le tendine immantinente
    e si rimise a confessar la gente.

    Mentre in ginocchio oppur stando a sedere
    diceva ogni fedele le preghiere,
    una donna, notato l'uccelletto,
    lo prese, e al caldo se lo mise in petto.

    Ad un tratto improvviso un cinguettio
    ruppe il silenzio: cìo, cìo, cìo, cìo.

    Rise qualcuno, e il prete, a quel rumore
    il ruolo abbandonò di confessore;
    scuro nel volto, peggio della pece
    s'arrampicò sul pulpito, poi fece:
    "Fratelli, chi ha l'uccello, per favore
    vada fuori dal tempio del Signore".

    I maschi, un po' stupiti a tali parole,
    lesti s'accinsero ad alzar le suole,
    ma il prete a quell'errore madornale,
    "Fermi, gridò, mi sono espresso male!
    Rientrate tutti e statemi a sentire:
    sol chi ha preso l'uccello deve uscire!"

    A testa bassa, la corona in mano,
    cento donne s'alzarono piangendo.
    Ma, mentre se n'andavano di fuora
    il prete rigridò: "Sbagliato ho ancora;
    rientrate tutte quante, figlie amate,
    che io non volevo dir quel che pensate!"

    Poi riprese; "Già dissi e torno a dire
    che chi ha preso l'uccello deve uscire.
    Ma mi rivolgo, a voce chiara e tesa,
    soltato a chi l'uccello ha preso in chiesa!"

    A tali detti, nello stesso istante,
    le monache s'alzaron tutte quante;
    quindi col viso pieno di rossore
    lasciarono la casa del Signore.

    "Oh Santa Vergine! - esclamò il buon prete -
    Sorelle orsù rientrate e state quiete,
    poiché voglio concludere, o signori,
    la serie degli equivoci ed errori;
    perciò, senza rumori, piano piano,
    esca soltato chi ha l'uccello in mano".

    Una fanciulla con il fidanzato,
    ch'eran nascosti in un angolo appartato
    dentro una cappelletta laterale,
    poco mancò che si sentisser male.
    Quindi lei sussurrò col viso smorto
    "che ti dicevo, hai visto? Se n'è
    accorto!"
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      Scritta da: Elisabetta

      Ncontro Gheddafi-Berlusconi

      Pe'Gheddafi e il suo metano,
      organizzo 'na gran festa,
      mi trasformo in mussulmano,
      col turbante sulla testa.

      Pe' 'l piacere der tiranno,
      organizzo tutto bene,
      le veline già lo sanno,
      giocheranno col suo pene.

      Nell'incontri tra statisti,
      come a Putin mio amichetto,
      vecchi giochi ma mai tristi,
      je faranno er servizietto.

      De Viagra 'n par de chili,
      letti grandi esagerati,
      famo 'n poco li servili,
      guadagnanno sull'asili.

      E c'è er fine a tutto questo,
      basta ave' l'occhi da falchi,
      riusciremo cor pretesto,
      a limità de più li sbarchi.

      Er migrante clandestino,
      che j'arriva dar deserto,
      ancor più nero avrà il destino,
      je spareranno in cielo aperto!
      Composta giovedì 26 agosto 2010
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        Scritta da: Elisabetta

        L'insensatezza dei miei pensieri

        Per te,
        che sai essere così
        cristallinamente vera.

        Per te,
        che con tue parole rendi meno gravosa,
        la mia necessaria e malinconica solitudine.

        Per te,
        che adori le tue favole
        che profumano di soave semplicità,
        in risvolti infantili di matura saggezza.

        Per te,
        che ricordi la libertà
        di poesie indispensabilmente amare.

        Per te,
        che con tutta la tua grinta,
        sai assopirti
        perdendoti in nuvole di note.

        Per te,
        Eli.
        Composta martedì 25 agosto 2009
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          Scritta da: Elisabetta

          L'orloggio cór cuccù

          È un orloggio de legno
          fatto con un congegno
          ch'ogni mezz'ora s'apre uno sportello
          e s'affaccia un ucello a fa' cuccù.
          Lo tengo da trent'anni a capo al letto
          e m'aricordo che da regazzetto
          me divertiva come un giocarello.
          M'incantavo a guardallo e avrei voluto
          che l'ucelletto che faceva er verso
          fosse scappato fòra ogni minuto...
          Povero tempo perso!
          Ogni tanto trovavo la magnera
          de faje fa' cuccù per conto mio,
          perché spesso ero io
          che giravo la sfera,
          e allora li cuccù
          nun finiveno più.

          Mó l'orloggio cammina come allora:
          ma, quanno vede lo sportello aperto
          co' l'ucelletto che me dice l'ora,
          nun me diverto più, nun me diverto...
          Anzi me scoccia, e pare che me dia
          un'impressione de malinconia...
          E puro lui, der resto,
          nun cià più la medesima allegria:
          lavora quasi a stento,
          o sorte troppo tardi e troppo presto
          o resta mezzo fòra e mezzo drento:
          e quer cuccù che me pareva un canto
          oggi ne fa l'effetto d'un lamento.
          Pare che dica: - Ar monno tutto passa,
          tutto se logra, tutto se sconquassa:
          se suda, se fatica,
          se pena tanto, eppoi...
          Cuccù, salute a noi!
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            Scritta da: Elisabetta

            Il pane

            Il Pane
            Le filastrocche dei mestieri.

            S'io facessi il fornaio
            vorrei cuocere un pane
            così grande da sfamare
            tutta, tutta la gente
            che non ha da mangiare.

            Un pane più grande del sole,
            dorato, profumato
            come le viole.

            Un pane così
            verrebbero a mangiarlo
            dall'India e dal Chilì
            i poveri, i bambini,
            i vecchietti e gli uccellini.
            Sarà una data
            da studiare a memoria:
            un giorno senza fame!
            Il più bel giorno di tutta la storia.
            Composta giovedì 27 ottobre 2011
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              Scritta da: Elisabetta

              I ragazzacci

              Mamma mia, che gran casino,
              oggi in strada e nelle piazze,
              han cominciato dar mattino,
              a strillà e a sbatte tazze.

              Era pieno de pischelli,
              indignati e sorridenti,
              perlopiù dei sbarbatelli,
              ma ner cor pieni d'intenti.

              Chissà che ci hanno ner cervello,
              sarà la paura der domani,
              slogan a iosa e in ritornello,
              battendo er tempo con le mani.

              Ma a quarcun questo nun piace:
              er sol promesso nun s'oscura,
              meglio er popolo che tace,
              che 'na protesta de bambini... ma matura!

              Padri, annate a ripiglialli,
              co' l'elmetto e li bastoni,
              stanno a fà un po' troppo i galli,
              meglio voi già pecoroni!

              Ecco allora che solerti,
              parton militi obbedienti,
              picchian duro sull'inerti,
              spaccan teste e pure denti!

              Ma il divino nun fa sconti,
              e je prepara la fattura,
              per la sera già pareggia i conti,
              de 'sta giornata de tortura.

              Quanno er padre torna a cena,
              stanco toglie la divisa,
              ma di fronte ci ha 'na scena,
              che pe' 'n bel po' n'avrà più risa.

              La moje piagne a più nun posso,
              er figlio ci ha quattr'ossa rotte,
              in piazza gli hanno dato addosso,
              e in faccia de sangue è ancora rosso!

              (Dedicato alle forze dell'ordine e ai loro figli oggi in piazza )
              Composta venerdì 5 ottobre 2012
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                Scritta da: Elisabetta

                L'incontro de li sovrani

                Bandiere e banderole,
                penne e pennacchi ar vento,
                un luccichìo d'argento
                de bajonette ar sole,
                e in mezzo a le fanfare
                spara er cannone e pare
                che t'arimbombi dentro.
                Ched'è? chi se festeggia?
                È un Re che, in mezzo ar mare,
                su la fregata reggia
                riceve un antro Re.
                Ecco che se l'abbraccica,
                ecco che lo sbaciucchia;
                zitto, ché adesso parleno...
                -Stai bene? - Grazzie. E te?
                e la Reggina? - Allatta.
                - E er Principino? - Succhia.
                - E er popolo? - Se gratta.
                - E er resto? - Va da sé...
                - Benissimo! - Benone!
                La Patria sta stranquilla;
                annamo a colazzione... -

                E er popolo lontano,
                rimasto su la riva,
                magna le nocchie e strilla:
                - Evviva, evviva, evviva... -
                E guarda la fregata
                sur mare che sfavilla.
                Composta martedì 13 dicembre 1988
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