Poesie inserite da Cheope

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Scritta da: Cheope

Il bambino di gomma

Melampo era un bambino
di gomma e cancellava
i passi che segnava
mettendosi in cammino.

Era di gomma rossa,
tondo come una palla,
e stava sempre a galla
nel bagno, e senza ossa

dolce, tenero, buono,
scendeva dalle scale
senza mai farsi male
saltando dal balcone.

A scuola era bocciato,
sempre il quaderno bianco!
Eppure era il più franco
a scrivere il dettato.

Scriveva e poi cassava
con la mano di gomma,
i numeri, la somma,
le lettere, e tornava

a scrivere, a cassare.
E sempre zitto rosso
con tutti gli occhi addosso
senza poter parlare.

O povero Melampo!
Un giorno, detto fatto,
saltò su di scatto
e si bucò la pancia.

Fischiò come un pallone
sgonfiato d'ogni affanno
e visse senza danno
tappando col bottone

il buco della pancia.

Visse nel tempo antico
Melampo - ve l'ho detto? -
Fischiò col suo fischietto
premendosi a soffietto
il disco all'ombelico.
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    Scritta da: Cheope

    Infinità d'amore

    Se ancor non ho tutto l'amore tuo,
    cara, giammai tutto l'avrò;
    non posso esalare un altro sospiro per intenerirti,
    né posso implorare un'altra lacrima a che sgorghi;
    ormai tutto il tesoro che avevo per acquistarti
    - sospiri, lacrime, e voti e lettere - l'ho consumato.
    Eppure non può essermi dovuto
    più di quanto fu inteso alla stipulazione del contratto;
    se allora il tuo dono d'amore fu parziale,
    si che parte a me toccasse, parte ad altri,
    cara giammai tutta ti avrò

    Ma se allora tu mi cedesti tutto,
    quel tutto non fu che il tutto di cui allora tu disponevi;
    ma se nel cuore tuo, in seguito, sia stato o sarà
    generato amor nuovo, ad opera di altri,
    che ancor possiedono intatte le lor sostanze, e possono di lacrime,
    di sospiri, di voti, di lettere, fare offerte maggiori,
    codesto amore nuovo può produrre nuove ansie,
    poiché codesto amore non fu da te impegnato.
    Eppur lo fu, dacché la tua donazione fu totale:
    il terreno, cioè il tuo cuore, è mio; quanto ivi cresca,
    cara, dovrebbe tutto spettare a me.

    Tuttavia ancor non vorrei avere tutto;
    chi tutto ha non può aver altro,
    e dacché il mio amore ammette quotidianamente
    nuovo accrescimento, tu dovresti avere in serbo nuove ricompense;
    tu non puoi darmi ogni giorno il tuo cuore:
    se puoi darlo, vuol dire che non l'hai mai dato.
    il paradosso d'amore consiste nel fatto che, sebbene il tuo cuore si diparta,
    tuttavia rimane, e tu col perderlo lo conservi.
    Ma noi terremo un modo più liberale
    di quello di scambiar cuori: li uniremo; così saremo
    un solo essere, e il Tutto l'un dell'altro.
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      Scritta da: Cheope

      Il fiore

      Ben poco ti preoccupi, povero fiore,
      che ho osservato per sei o sette giorni,
      e ho visto la tua nascita, e ho visto quanto ogni ora donava
      al tuo sviluppo, affinché tu crescessi fino a questa altezza,
      e ora che su questo ramo tu trionfi e ridi,
      ben poco ti preoccupi
      che gelerà fra breve, e che domani
      ti troverò caduto, o non ti troverò per nulla.

      Ben poco ti preoccupi, povero cuore,
      che ancora fatichi a costruirti un nido,
      e pensi qui svolando di conquistarti un luogo
      su un albero vietato o che a te si rifiuta,
      e speri di piegare, in un lungo assedio, la sua rigidezza:
      ben poco ti preoccupi,
      che prima che si desti il sole, domani mattina,
      dovrai con questo sole e insieme a me metterti in viaggio.

      Ma tu, che ami essere
      sottile a tormentarti, dirai:
      ahimè, se tu devi partire a me che importa?
      Qui son le mie faccende, qui voglio restare;
      tu vai da amici il cui affetto e i cui mezzi
      altro piacere arrecano
      agli occhi tuoi, agli orecchi, alla lingua, a ogni parte di te.
      Se quindi parte il tuo corpo, che bisogno hai di un cuore?

      Bene, allora rimani: ma sappi,
      quando sarai rimasto, e fatto del tuo meglio:
      un cuore nudo e pesante, che non fa mostra di sè,
      per una donna non è che una specie di spettro;
      come potrà conoscere il mio cuore; o non avendo cuore
      in te riconoscerne uno?
      La pratica le può insegnare a conoscere altre parti,
      ma, parola mia, non a conoscere un cuore.

      Vienimi incontro a Londra, allora,
      fra venti giorni, e mi potrai vedere
      più fresco e grasso, per la compagnia degli uomini,
      che se fossi rimasto insieme a te e a lei.
      Per amore di Dio, se ti è possibile, segui il mio esempio:
      laggiù ti vorrei dare
      a un altro amico, che si mostrerà felice
      di avere tanto il mio corpo quanto la mia anima.
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        Scritta da: Cheope

        La partita di calcio

        Boccaccio era il portiere,
        il gran portiere giallo
        della squadra del quartiere.
        Stava all’erta come un gallo

        sulla porta del campetto
        alla periferia.
        Diceva: "Qua sul petto,
        ed ogni palla è mia".

        Ma quel giorno, chi lo sa,
        sbuca di qua sbuca di là
        - Boccaccio attento! - pa pa
        la palla è in rete. "Ma va,
        ma va, Boccaccio, è uno".

        Attento, di qua di là,
        passa non passa, tira.
        Boccaccio si rigira;
        si tuffa - passerà?-
        "Qui non passa nessuno",
        ma la palla è nel sacco.

        E son due. Lo smacco,
        i fischi, e poi sotto...
        "Salta a pugno, Boccaccio,
        ma non la vedi dov’è,
        salta, salta"... E son tre.

        E quattro e cinque e sei.
        - Boccaccio dove sei?-
        E sette e otto e nove
        e piove e piove e piove
        con grandine e con tuoni.  
        Quattordici palloni
        nella rete di Boccaccio
        poveretto poveraccio,
        bianco come uno straccio
        col berretto da fantino
        ubriaco senza vino.

        Quanti fischi! e poi "cretino",
        "pastafrolla", "posapiano",
        "tappabuchi", "moscardino!"
        Oh, quel povero Boccaccio
        nella furia del baccano
        si strappava i suoi capelli
        e la folla dai cancelli
        gli gridava: "Ancora, ancora".

        Tutti tutti, ad uno ad uno
        si strappò capelli e baffi
        e poi schiaffi sopra schiaffi
        si ridette per lezione.
        Restò lì con la sua testa
        tonda, liscia come palla.
        "Oh, son quindici con questa
        - gli gridò dietro la folla -
        tappabuchi, pastafrolla
        vai a guardia d’un portone!"

        E difatti il buon Boccaccio
        col berretto e col gallone,
        mani pronte e spazzolone,
        oggi è a guardia d’un portone
        dove passano persone
        che fermare egli non può,
        dieci venti cento e più.
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          Scritta da: Cheope

          A palazzo Oro Ror

          Nel cuor della notte, ogni notte,
          la veglia incomincia a palazzo Oro Ror.
          In riva allo stagno s'innalza il palazzo,
          soltanto lo stagno lo guarda perenne e lo specchia.

          Già lenta l'orchestra incomincia la danza,
          la notte è profonda.

          Comincian le dame che giungon da lungi,
          discendon silenti dai cocchi dorati.
          Dei ricchi broccati ricopron le dame,
          ricopron le vesti cosparse di gemme i ricchi broccati.

          Finestra non s'apre a palazzo Oro Ror,
          ma solo la porta, la sera, pel passo alle dame.
          In fila infinita si seguono i cocchi dorati,
          discendon le dame silenti ravvolte nei ricchi broccati.
          Lo stagno ne specchia l'entrata,
          e l'oro dei cocchi risplende nell'acqua estasiata.

          L'orchestra soltanto si sente.
          Si perde il vaghissimo suono
          confuso fra muover di serici manti.
          La veglia ora è piena.
          Di fuori più nulla.
          Silenzio.

          Un cocchio lucente ancora lontano risplende,
          s'appressa più ratto del vento
          e rapida scende la dama tardante.
          Se n'ode soltanto il leggero frusciare del serico manto.

          Il cocchio ora lento nell'ombra si perde.
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            Scritta da: Cheope

            Trieste

            Trieste
            Ho attraversata tutta la città.
            Poi ho salita un'erta,
            popolosa in principio, in là deserta,
            chiusa da un muricciolo:
            un cantuccio in cui solo
            siedo; e mi pare che dove esso termina
            termini la città.

            Trieste ha una scontrosa
            grazia. Se piace,
            è come un ragazzaccio aspro e vorace,
            con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
            per regalare un fiore;
            come un amore
            con gelosia.
            Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
            scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
            o alla collina cui, sulla sassosa
            cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.

            Intorno
            circola ad ogni cosa
            un'aria strana, un'aria tormentosa,
            l'aria natia.
            La mia città che in ogni parte è viva,
            ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
            pensosa e schiva....
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              Scritta da: Cheope

              Città vecchia

              Spesso, per ritornare alla mia casa
              prendo un'oscura via di città vecchia.
              Giallo in qualche pozzanghera si specchia
              qualche fanale, e affollata è la strada.

              Qui tra la gente che viene che va
              dall'osteria alla casa o al lupanare,
              dove son merci ed uomini il detrito
              di un gran porto di mare,
              io ritrovo, passando, l'infinito
              nell'umiltà.

              Qui prostituta e marinaio, il vecchio
              che bestemmia, la femmina che bega,
              il dragone che siede alla bottega
              del friggitore,
              la tumultuante giovane impazzita
              d'amore,
              sono tutte creature della vita
              e del dolore;
              s'agita in esse, come in me, il Signore.

              Qui degli umili sento in compagnia
              il mio pensiero farsi
              più puro dove più turpe è la via..
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                Scritta da: Cheope

                Dopo la tristezza

                Questo pane ha il sapore d'un ricordo,
                mangiato in questa povera osteria,
                dov'è più abbandonato e ingombro il porto.

                E della birra mi godo l'amaro,
                seduto del ritorno a mezza via,
                in faccia ai monti annuvolati e al faro.

                L'anima mia che una sua pena ha vinta,
                con occhi nuovi nell'antica sera
                guarda una pilota con la moglie incinta;

                e un bastimento, di che il vecchio legno
                luccica al sole, e con la ciminiera
                lunga quanto i due alberi, è un disegno

                fanciullesco, che ho fatto or son vent'anni.
                E chi mi avrebbe detto la mia vita
                così bella, con tanti dolci affanni,

                e tanta beatitudine romita.
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