Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Scriviamo la parole fine

Scriviamo la parola fine...

Laddove si ferma il tempo
dove ogni dolore cessa
dove ogni speranza si spegne
dove ogni cosa appare
più dolce o più atroce.

Laddove si ferma il tempo
dove il giorno incontra la notte
dove la primavera incontra l'inverno
dove tutto è più torbido o più chiaro
dove domande trovano risposte assurde.

Laddove la porta della vita si chiude
dove una speranza nuova nasce
dove la vita si schianta con la morte
dove ogni sogno si trasforma
in un'"illusione" o "speranza" di eternità.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il senso di me

    Sentirai sussurrare che sei stato un errore.
    Se mai c'è stato un errore ricordati
    che sei stato il più dolce degli errori.

    Nessun rimpianto se non
    quello di aver avuto dei dubbi.
    Non sei stato cercato ma voluto
    intensamente, con gioia.

    Accettare il cercato è scontato
    è amore, il coronarsi di un sogno
    nessun dubbio, nessun tormento.

    Volere l'indesiderato è
    semplicemente amore puro
    e dare vita alla vita perché credi nella vita
    è dare respiro al tuo respiro
    perché senza ne moriresti.

    Sei stato tormento, angoscia, incertezza
    divenuto amore, desiderio, completezza.
    Oggi sei il respiro più profondo
    di ogni senso di me.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      La Doppia Immagine

      A novembre compio trent'anni.
      Sei ancora piccola, hai solo tre anni.
      Guardiamo le foglie gialle, sono stremate,
      turbinano nella pioggia d'inverno,
      cadono e s'acquattano. Ed io ricordo
      i tre autunni che non hai passato qui.
      Hanno detto che mai ti avrei riavuto.
      Ti dico quel che mai saprai davvero:
      le congetture mediche
      che spiegano il cervello non saranno mai reali
      quanto queste foglie abbattute.

      Io, che ho tentato due volte d'ammazzarmi,
      ti avevo dato un nomignolo
      appena arrivata, nei mesi del piagnucolare;
      poi una febbre t'è rantolata in gola
      ed io mi muovevo come una pantomima
      attorno al tuo capino.
      Angeli brutti mi hanno parlato. La colpa,
      dicevano, era mia. Facevano gli spioni
      come streghe verdi versando nella testa la rovina
      come un rubinetto rotto;
      come se la rovina avesse allagato la pancia e sommerso la culla,
      un vecchio debito che dovevo accollarmi.

      La morte era più semplice di quanto credessi.
      Il giorno che la vita t'ha restituito sana e salva
      Ho lasciato le streghe rapire la mia anima in colpa.
      Ho finto d'esser morta
      finché uomini bianchi m'hanno spompato il veleno,
      m'hanno messo senza braccia e slavata
      nella manfrina di scatole parlanti e letti elettrici.
      Ridevo a vedermi messa ai ferri in quell'hotel.
      Oggi le foglie gialle
      sono stremate. Mi chiedi dove vanno.
      Ti dico che l'oggi ha creduto in se stesso, altrimenti cedeva.

      Oggi, piccina mia, Gioia,
      ama il tuo essere dove adesso vive.
      Non esiste un Dio speciale cui rivolgersi; o se c'è,
      allora perché t'ho fatto crescere altrove.
      Tu non riconoscevi la mia voce
      quando tornavo a casa a trovarti.
      Tutti i superlativi
      di alberi di Natale e vischi del futuro
      non ti aiuteranno a sapere le feste che hai perduto.
      Nel tempo che non amai me stessa
      venni in visita a te su marciapiedi spalati,
      mi tenevi per un guanto.
      Dopo questo fu di nuovo neve.

      2.

      Mi hanno spedito lettere con tue notizie
      e io cucivo mocassini che non avrei mai usato.
      Quando cominciai a sopportarmi
      andai a stare con la mamma. Troppo tardi,
      troppo tardi, dissero le streghe, per stare con la mamma.
      Non me ne sono andata.
      Ma un ritratto mi son fatto.

      Dal manicomio nel parziale ritorno
      venni alla casa di mia madre a Gloucester.
      Ed ecco come venni ad abbrancarla,
      ed ecco come venni a perderla.
      Mia madre disse, per il suicidio io non posso dar perdono.
      Non l'hai mai potuto.
      Ma un ritratto lei m'ha fatto.

      Ho vissuto da ospite rabbioso,
      parzialmente rammendata, bimba esorbitante.
      Ricordo che mia madre faceva del suo meglio.
      Mi portò a Boston per farmi cambiare il taglio.
      Sorridi come tua madre, disse il capocciante.
      Non mi pareva interessante.
      Ma un ritratto mi son fatto.

      C'era una chiesa là dove sono cresciuta,
      là in bianchi armadi fummo inchiavati
      come coro di marinai, o puritani, irreggimentati.
      Mio padre passava col piattino per la questua.
      Dissero le streghe, troppo tardi per esser perdonata.
      E non fui propriamente perdonata.
      Ma un ritratto m'hanno fatto.

      3.

      Quell'estate gettiti irrigui s'inarcavano
      a pioggia sull'erba rivierasca.
      Parlavamo di siccità
      mentre il prato corroso dal salmastro
      nuovamente raddolciva.
      Per passare il tempo falciavo l'erba
      e la mattina mi facevo fare il ritratto,
      fissando il sorriso nella formalità.
      Ti ho spedito il disegnino di un coniglio,
      e una cartolina col Motif number one
      come se fosse normale
      essere madre ed essersene andata.

      Hanno appeso il ritratto nella fredda luce
      del lato nord, che bene mi si addice,
      per farmi stare bene.
      Soltanto mia madre s'ammalò.
      Mi volse le spalle, come se la morte contagiasse,
      come se la morte si riflettesse,
      come se il mio morire l'avesse corrosa.
      Ad agosto avevi due anni, ma era dubbio il calcolo dei giorni.
      Il primo settembre mi guardò in faccia
      e mi disse che le avevo attaccato il cancro.
      Le mozzarono le colline dolci
      e ancora non avevo la risposta.

      4.

      Quell'inverno lei tornò
      parziale ritorno
      alla sterile suite
      di medici, nauseante
      crociera di raggi X,
      l'aritmetica delle cellule impazzita.
      Parziale intervento,
      braccio grasso, prognosi infausta,
      li ho sentiti dire.

      Durante le burrasche marine
      lei si fece fare il ritratto.
      Caverna di uno specchio,
      appeso al lato sud;
      una coppia di sorrisi, una copia di lineamenti.
      E tu mi assomigliavi sconosciuto
      viso mio, tu lo indossavi.
      Dopotutto eri mia.

      Ho svernato a Boston,
      sposa senza figli,
      niente di dolce da spartire,
      con le streghe a fianco.
      Ho perduto la tua infanzia,
      tentato un altro suicidio,
      subito il secondo hotel dei sigilli.
      M'hai fatto un Pesce d'Aprile.
      Abbiamo riso insieme, fu cosa buona.

      5.

      Per l'ultima volta m'hanno dimesso
      il primo maggio;
      laureata in casi mentali,
      con l'assenso dell'analista,
      un libro finito di versi,
      la macchina da scrivere e le borse.

      Quell'estate imparai a rimettere vita
      nelle mie sette stanze,
      andavo su barchette a cigno, al mercato,
      rispondevo al telefono,
      da brava moglie offrivo da bere,
      facevo l'amore fra crinoline e abbronzature d'agosto.

      E tu venivi ogni weekend. No, mento.
      Venivi di rado. Fingevo che c'eri
      bimba farfalla, porcellina
      guance di gelatina,
      tre anni di disobbedienza,
      ma splendida sconosciuta.

      E dovevo imparare
      perché volevo morire invece che amare,
      perché mi faceva male la tua innocenza,
      e perché accumulo le colpe
      come un giovane internista
      rivela i sintomi e la certa evidenza.

      Quel giorno d'ottobre che andammo a Gloucester
      le colline rosse mi ricordavano
      la pelliccia di volpe rossa sdrucita
      in cui giocavo da bambina,
      immobile come un orso, una tenda,
      una gran caverna che ride, pelliccia di volpe rossa.

      Oltrepassammo il vivaio dei pesci,
      il baracchino dove vendono l'esca,
      Pigeon Cove, lo Yacht Club,
      Squall Hill, verso la casa in attesa
      ancora, la casa sul mare.
      E due ritratti sono appesi su opposte pareti.

      6.

      Al lato nord il mio sorriso al suo posto è fissato,
      risalta nell'ombra il mio viso ossuto.
      Mentre posavo lì cosa avevo sognato
      tutta me negli occhi in attesa,
      il giovane viso, la zona del sorriso,
      trappola per volpi.

      Al lato sud il suo sorriso al suo posto è fissato,
      le guance vizze come orchidee appassite;
      mio specchio beffardo, mio amore spodestato,
      mia immagine prima. Mi occhieggia dal ritratto
      quella testa di morte impietrita
      che avevo sopraffatto.

      L'artista ci fissò alla svolta;
      si sorrideva inquadrate nelle tele
      prima di scegliere strade da prima separate.
      La pelliccia di volpe rossa doveva esser bruciata.
      Mi decompongo sulla parete
      come Dorian Grey.

      E questa fu caverna di uno specchio,
      una donna sdoppiata che si fissa
      come se il tempo l'avesse impietrita
      - due signore in terra d'ombra assise -
      Hai dato un bacio alla nonna,
      e lei ha pianto.

      7.

      Non potevo tenerti
      tranne il weekend. Ogni volta venivi
      stringendo il disegnino del coniglio
      che ti avevo spedito. Per l'ultima volta
      disfo i tuoi bagagli. Ci tocchiamo senza un contatto.
      La prima volta hai chiesto il mio nome.
      Ora rimani per sempre. Dimenticherò
      che sbalzavamo cozzandoci come marionette
      appese a fili. Non era l'amore
      ridursi al weekend.
      Ti sbucci le ginocchia, impari il mio nome,
      traballando sul marciapiede piangi e chiami.
      Mi chiami mamma e ricordo ancora mia madre,
      che altrove, nei dintorni di Boston, muore.

      Ricordo che ti chiamammo Gioia
      per poterti chiamare gioia.
      Arrivasti come un ospite imbarazzato
      allora, tutta fasciata umida meraviglia
      alla mia mammella pesante.
      Avevo bisogno di te. Non volevo un maschio,
      solo una femmina, un topino lattoso di bimba,
      da sempre amata, da sempre esuberante
      nella casa di se stessa. Ti chiamammo Gioia.
      Io, che non fui mai certa d'esser femmina,
      avevo bisogno di un'altra vita,
      di un'altra immagine per ricordarmi.
      E fu questa la mia più grave colpa;
      tu non potevi curarla o lenirla.
      Ti ho fatta per trovarmi.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Venezia

        Ho visto un'ombra
        giocare con uno
        specchio d'acqua,
        un tappo di sughero
        ballare sulle onde,
        delle voci rincorrersi
        su cavalloni
        d'echi sbizzarriti.

        Ho visto la vita muoversi,
        tra scalini e calle.

        Ho guardato colombi,
        disegnare il cielo
        con le loro piume.

        Ho visto volti
        sorpresi, stupiti,
        annoiati e luminosi.

        Mani strette
        ad altre mani,
        intrecciate
        da sentimenti.

        Ho ascoltato
        in angoli bui,
        parole sussurrate,
        piccole parole,
        che parlavano di un mondo
        d'amore eterno.

        Ho visto i nostri passi,
        camminare soli
        tra la folla.

        Ho visto la Venezia.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Avrai

          Avrai...
          Avrai una vita,
          incerta con qualche certezza.
          Avrai in quelle certezze,
          voglia di altre conferme.

          Avrai fra mille lacrime,
          la ragione del tuo sorriso,
          avrai in quel sorriso ancora
          voglia di ridere.

          Avrai mille occasioni,
          con qualche vera opportunità
          avrai in quelle opportunità
          voglia di arrivare.

          Avrai fra molte passioni e amori
          un solo vero amore
          avrai in quel amore il vero
          senso del tuo essere.

          Avrai... avrai...
          In tutti questi avrai
          Voglia di vivere e amare ancora.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            A volte amiamo un passato immaginato
            emozioni sognate sogni inventati.

            Amiamo l'ipotesi, la possibilità.
            Quel irreale che poteva esserci,
            che non c'è stato ma solo desiderato.

            Amiamo un'emozione percepita ingrandita
            fino all'infinito, fino toglierci il respiro.
            Fino a togliere il respiro, fino a starci male.

            Amiamo l'infinito di niente,
            lasciando l'immenso
            di ciò che abbiamo costruito.

            Quel caldo abbraccio.
            Un sorriso di bimba
            quella realtà che ha riempito la nostra vita.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Venderò l'anima

              Mi perderò nel universo
              del tuo immenso
              per ritrovarmi nel tuo cuore
              non chiederò di più alla vita
              che questa nuova emozione

              Venderò l'anima se serve
              perché solo così ha senso.
              Conserverò di noi ogni
              istante, ogni piccolo fiore
              ne strapperò le spine.

              Non lascerò cadere il silenzio
              quello che travolge e uccide.
              Darò ad ogni istante un suono nuovo
              ed ogni suono sarà fatto di noi.

              Mano nella mano dispersi
              fra cuore e anima.
              Nell'universo dei nostri sensi.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Ho "sentito"

                Ho "sentito"
                squarciare l'anima di un bambino
                strappandogli l'innocenza.

                Ho "sentito"
                un sorriso dissolversi
                nella disperazione,
                la gente andare a fondo
                e la vita schiacciarli come serpenti.

                Ho "sentito"
                la notte scendere sul cuore di molta gente,
                mentre ciechi e sordi ne hanno fatto da spettatori
                vestiti con l'abito dell'indifferenza,
                senza scaldarne l'esistenza.

                Ho "sentito"
                la notte rubarsi i sogni
                e il grido del silenzio
                ha coperto ogni melodia
                regalando all'alba solo l'angoscia.

                Ho "sentito"
                urla disperate in mezzo la guerra,
                una madre pregare, chiedere clemenza
                piegandosi in due sulla tomba di un figlio,
                dolori e angoscia senza tregua.

                Poi ho "sentito"
                l'odio abbracciare l'amore,
                il dolore inchinarsi
                al sorriso di un bimbo,
                il travaglio partorire la felicità,
                la speranza coprire la disperazione.

                Ho "sentito"
                l'animo di chi nella vita crede,
                combattere con determinazione
                ogni tempo e ogni dolore.
                Composta martedì 18 maggio 2010
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