Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Venezia

Ho visto un'ombra
giocare con uno
specchio d'acqua,
un tappo di sughero
ballare sulle onde,
delle voci rincorrersi
su cavalloni
d'echi sbizzarriti.

Ho visto la vita muoversi,
tra scalini e calle.

Ho guardato colombi,
disegnare il cielo
con le loro piume.

Ho visto volti
sorpresi, stupiti,
annoiati e luminosi.

Mani strette
ad altre mani,
intrecciate
da sentimenti.

Ho ascoltato
in angoli bui,
parole sussurrate,
piccole parole,
che parlavano di un mondo
d'amore eterno.

Ho visto i nostri passi,
camminare soli
tra la folla.

Ho visto la Venezia.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Avrai

    Avrai...
    Avrai una vita,
    incerta con qualche certezza.
    Avrai in quelle certezze,
    voglia di altre conferme.

    Avrai fra mille lacrime,
    la ragione del tuo sorriso,
    avrai in quel sorriso ancora
    voglia di ridere.

    Avrai mille occasioni,
    con qualche vera opportunità
    avrai in quelle opportunità
    voglia di arrivare.

    Avrai fra molte passioni e amori
    un solo vero amore
    avrai in quel amore il vero
    senso del tuo essere.

    Avrai... avrai...
    In tutti questi avrai
    Voglia di vivere e amare ancora.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      A volte amiamo un passato immaginato
      emozioni sognate sogni inventati.

      Amiamo l'ipotesi, la possibilità.
      Quel irreale che poteva esserci,
      che non c'è stato ma solo desiderato.

      Amiamo un'emozione percepita ingrandita
      fino all'infinito, fino toglierci il respiro.
      Fino a togliere il respiro, fino a starci male.

      Amiamo l'infinito di niente,
      lasciando l'immenso
      di ciò che abbiamo costruito.

      Quel caldo abbraccio.
      Un sorriso di bimba
      quella realtà che ha riempito la nostra vita.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Venderò l'anima

        Mi perderò nel universo
        del tuo immenso
        per ritrovarmi nel tuo cuore
        non chiederò di più alla vita
        che questa nuova emozione

        Venderò l'anima se serve
        perché solo così ha senso.
        Conserverò di noi ogni
        istante, ogni piccolo fiore
        ne strapperò le spine.

        Non lascerò cadere il silenzio
        quello che travolge e uccide.
        Darò ad ogni istante un suono nuovo
        ed ogni suono sarà fatto di noi.

        Mano nella mano dispersi
        fra cuore e anima.
        Nell'universo dei nostri sensi.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La Doppia Immagine

          A novembre compio trent'anni.
          Sei ancora piccola, hai solo tre anni.
          Guardiamo le foglie gialle, sono stremate,
          turbinano nella pioggia d'inverno,
          cadono e s'acquattano. Ed io ricordo
          i tre autunni che non hai passato qui.
          Hanno detto che mai ti avrei riavuto.
          Ti dico quel che mai saprai davvero:
          le congetture mediche
          che spiegano il cervello non saranno mai reali
          quanto queste foglie abbattute.

          Io, che ho tentato due volte d'ammazzarmi,
          ti avevo dato un nomignolo
          appena arrivata, nei mesi del piagnucolare;
          poi una febbre t'è rantolata in gola
          ed io mi muovevo come una pantomima
          attorno al tuo capino.
          Angeli brutti mi hanno parlato. La colpa,
          dicevano, era mia. Facevano gli spioni
          come streghe verdi versando nella testa la rovina
          come un rubinetto rotto;
          come se la rovina avesse allagato la pancia e sommerso la culla,
          un vecchio debito che dovevo accollarmi.

          La morte era più semplice di quanto credessi.
          Il giorno che la vita t'ha restituito sana e salva
          Ho lasciato le streghe rapire la mia anima in colpa.
          Ho finto d'esser morta
          finché uomini bianchi m'hanno spompato il veleno,
          m'hanno messo senza braccia e slavata
          nella manfrina di scatole parlanti e letti elettrici.
          Ridevo a vedermi messa ai ferri in quell'hotel.
          Oggi le foglie gialle
          sono stremate. Mi chiedi dove vanno.
          Ti dico che l'oggi ha creduto in se stesso, altrimenti cedeva.

          Oggi, piccina mia, Gioia,
          ama il tuo essere dove adesso vive.
          Non esiste un Dio speciale cui rivolgersi; o se c'è,
          allora perché t'ho fatto crescere altrove.
          Tu non riconoscevi la mia voce
          quando tornavo a casa a trovarti.
          Tutti i superlativi
          di alberi di Natale e vischi del futuro
          non ti aiuteranno a sapere le feste che hai perduto.
          Nel tempo che non amai me stessa
          venni in visita a te su marciapiedi spalati,
          mi tenevi per un guanto.
          Dopo questo fu di nuovo neve.

          2.

          Mi hanno spedito lettere con tue notizie
          e io cucivo mocassini che non avrei mai usato.
          Quando cominciai a sopportarmi
          andai a stare con la mamma. Troppo tardi,
          troppo tardi, dissero le streghe, per stare con la mamma.
          Non me ne sono andata.
          Ma un ritratto mi son fatto.

          Dal manicomio nel parziale ritorno
          venni alla casa di mia madre a Gloucester.
          Ed ecco come venni ad abbrancarla,
          ed ecco come venni a perderla.
          Mia madre disse, per il suicidio io non posso dar perdono.
          Non l'hai mai potuto.
          Ma un ritratto lei m'ha fatto.

          Ho vissuto da ospite rabbioso,
          parzialmente rammendata, bimba esorbitante.
          Ricordo che mia madre faceva del suo meglio.
          Mi portò a Boston per farmi cambiare il taglio.
          Sorridi come tua madre, disse il capocciante.
          Non mi pareva interessante.
          Ma un ritratto mi son fatto.

          C'era una chiesa là dove sono cresciuta,
          là in bianchi armadi fummo inchiavati
          come coro di marinai, o puritani, irreggimentati.
          Mio padre passava col piattino per la questua.
          Dissero le streghe, troppo tardi per esser perdonata.
          E non fui propriamente perdonata.
          Ma un ritratto m'hanno fatto.

          3.

          Quell'estate gettiti irrigui s'inarcavano
          a pioggia sull'erba rivierasca.
          Parlavamo di siccità
          mentre il prato corroso dal salmastro
          nuovamente raddolciva.
          Per passare il tempo falciavo l'erba
          e la mattina mi facevo fare il ritratto,
          fissando il sorriso nella formalità.
          Ti ho spedito il disegnino di un coniglio,
          e una cartolina col Motif number one
          come se fosse normale
          essere madre ed essersene andata.

          Hanno appeso il ritratto nella fredda luce
          del lato nord, che bene mi si addice,
          per farmi stare bene.
          Soltanto mia madre s'ammalò.
          Mi volse le spalle, come se la morte contagiasse,
          come se la morte si riflettesse,
          come se il mio morire l'avesse corrosa.
          Ad agosto avevi due anni, ma era dubbio il calcolo dei giorni.
          Il primo settembre mi guardò in faccia
          e mi disse che le avevo attaccato il cancro.
          Le mozzarono le colline dolci
          e ancora non avevo la risposta.

          4.

          Quell'inverno lei tornò
          parziale ritorno
          alla sterile suite
          di medici, nauseante
          crociera di raggi X,
          l'aritmetica delle cellule impazzita.
          Parziale intervento,
          braccio grasso, prognosi infausta,
          li ho sentiti dire.

          Durante le burrasche marine
          lei si fece fare il ritratto.
          Caverna di uno specchio,
          appeso al lato sud;
          una coppia di sorrisi, una copia di lineamenti.
          E tu mi assomigliavi sconosciuto
          viso mio, tu lo indossavi.
          Dopotutto eri mia.

          Ho svernato a Boston,
          sposa senza figli,
          niente di dolce da spartire,
          con le streghe a fianco.
          Ho perduto la tua infanzia,
          tentato un altro suicidio,
          subito il secondo hotel dei sigilli.
          M'hai fatto un Pesce d'Aprile.
          Abbiamo riso insieme, fu cosa buona.

          5.

          Per l'ultima volta m'hanno dimesso
          il primo maggio;
          laureata in casi mentali,
          con l'assenso dell'analista,
          un libro finito di versi,
          la macchina da scrivere e le borse.

          Quell'estate imparai a rimettere vita
          nelle mie sette stanze,
          andavo su barchette a cigno, al mercato,
          rispondevo al telefono,
          da brava moglie offrivo da bere,
          facevo l'amore fra crinoline e abbronzature d'agosto.

          E tu venivi ogni weekend. No, mento.
          Venivi di rado. Fingevo che c'eri
          bimba farfalla, porcellina
          guance di gelatina,
          tre anni di disobbedienza,
          ma splendida sconosciuta.

          E dovevo imparare
          perché volevo morire invece che amare,
          perché mi faceva male la tua innocenza,
          e perché accumulo le colpe
          come un giovane internista
          rivela i sintomi e la certa evidenza.

          Quel giorno d'ottobre che andammo a Gloucester
          le colline rosse mi ricordavano
          la pelliccia di volpe rossa sdrucita
          in cui giocavo da bambina,
          immobile come un orso, una tenda,
          una gran caverna che ride, pelliccia di volpe rossa.

          Oltrepassammo il vivaio dei pesci,
          il baracchino dove vendono l'esca,
          Pigeon Cove, lo Yacht Club,
          Squall Hill, verso la casa in attesa
          ancora, la casa sul mare.
          E due ritratti sono appesi su opposte pareti.

          6.

          Al lato nord il mio sorriso al suo posto è fissato,
          risalta nell'ombra il mio viso ossuto.
          Mentre posavo lì cosa avevo sognato
          tutta me negli occhi in attesa,
          il giovane viso, la zona del sorriso,
          trappola per volpi.

          Al lato sud il suo sorriso al suo posto è fissato,
          le guance vizze come orchidee appassite;
          mio specchio beffardo, mio amore spodestato,
          mia immagine prima. Mi occhieggia dal ritratto
          quella testa di morte impietrita
          che avevo sopraffatto.

          L'artista ci fissò alla svolta;
          si sorrideva inquadrate nelle tele
          prima di scegliere strade da prima separate.
          La pelliccia di volpe rossa doveva esser bruciata.
          Mi decompongo sulla parete
          come Dorian Grey.

          E questa fu caverna di uno specchio,
          una donna sdoppiata che si fissa
          come se il tempo l'avesse impietrita
          - due signore in terra d'ombra assise -
          Hai dato un bacio alla nonna,
          e lei ha pianto.

          7.

          Non potevo tenerti
          tranne il weekend. Ogni volta venivi
          stringendo il disegnino del coniglio
          che ti avevo spedito. Per l'ultima volta
          disfo i tuoi bagagli. Ci tocchiamo senza un contatto.
          La prima volta hai chiesto il mio nome.
          Ora rimani per sempre. Dimenticherò
          che sbalzavamo cozzandoci come marionette
          appese a fili. Non era l'amore
          ridursi al weekend.
          Ti sbucci le ginocchia, impari il mio nome,
          traballando sul marciapiede piangi e chiami.
          Mi chiami mamma e ricordo ancora mia madre,
          che altrove, nei dintorni di Boston, muore.

          Ricordo che ti chiamammo Gioia
          per poterti chiamare gioia.
          Arrivasti come un ospite imbarazzato
          allora, tutta fasciata umida meraviglia
          alla mia mammella pesante.
          Avevo bisogno di te. Non volevo un maschio,
          solo una femmina, un topino lattoso di bimba,
          da sempre amata, da sempre esuberante
          nella casa di se stessa. Ti chiamammo Gioia.
          Io, che non fui mai certa d'esser femmina,
          avevo bisogno di un'altra vita,
          di un'altra immagine per ricordarmi.
          E fu questa la mia più grave colpa;
          tu non potevi curarla o lenirla.
          Ti ho fatta per trovarmi.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Fragile Diamante

            Lacrime di sangue
            pace tormentata

            Inquieti ricordi
            trafiggono il cuore
            come lame sottili.

            Spengono le stelle
            nell'universo dell'innocenza

            Non più tramonti innocenti
            accompagneranno i tuoi passi

            Il passato riemerge
            come un'ombra, t'accompagna.

            Porta l'inverno
            nel cuore caldo

            Piangi bimba,
            per ogni violenza.

            Piangi per ogni vergogna.
            Piangi per ogni carezza.

            Le lacrime di vergogna
            troveranno pace nel tempo
            dei ricordi.

            Abbraccerai il passato
            con il suo dolore

            Fragile diamante
            diverrai di roccia.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Ho "sentito"

              Ho "sentito"
              squarciare l'anima di un bambino
              strappandogli l'innocenza.

              Ho "sentito"
              un sorriso dissolversi
              nella disperazione,
              la gente andare a fondo
              e la vita schiacciarli come serpenti.

              Ho "sentito"
              la notte scendere sul cuore di molta gente,
              mentre ciechi e sordi ne hanno fatto da spettatori
              vestiti con l'abito dell'indifferenza,
              senza scaldarne l'esistenza.

              Ho "sentito"
              la notte rubarsi i sogni
              e il grido del silenzio
              ha coperto ogni melodia
              regalando all'alba solo l'angoscia.

              Ho "sentito"
              urla disperate in mezzo la guerra,
              una madre pregare, chiedere clemenza
              piegandosi in due sulla tomba di un figlio,
              dolori e angoscia senza tregua.

              Poi ho "sentito"
              l'odio abbracciare l'amore,
              il dolore inchinarsi
              al sorriso di un bimbo,
              il travaglio partorire la felicità,
              la speranza coprire la disperazione.

              Ho "sentito"
              l'animo di chi nella vita crede,
              combattere con determinazione
              ogni tempo e ogni dolore.
              Composta martedì 18 maggio 2010
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Gabbiano India

                Come un Gabbiano volerò
                incitato
                da alberi dalle fronde scomposte
                io, piccolo Buddah dell'amore sorridente bikku
                volerò
                sulla tua pelle sincera
                piegata nel Karma
                raccolta sul sasso
                di un piccolo fiume
                nel sole, nel sorriso,
                silenzioso azzurro perfetto
                dove le nostre ombre s'incontrano
                solitaria India
                occhi di brace
                sentimento fanciullo
                gabbiano suadente
                così
                importante.
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