Sei comparsa al portone in un vestito rosso per dirmi che sei fuoco che consuma e riaccende.
Una spina mi ha punto delle tue rose rosse perché succhiassi al dito, come già tuo, il mio sangue.
Percorremmo la strada che lacera il rigoglio della selvaggia altura, ma già da molto tempo sapevo che soffrendo con temeraria fede, l'età per vincere non conta.
Era di lunedì, per stringerci le mani e parlare felici non si trovò rifugio che in un giardino triste della città convulsa.
O che tra faggi e abeti erma su i campi Smeraldini la fredda ombra si stampi Al sole del mattin puro e leggero, O che foscheggi immobile nel giorno Morente su le sparse ville intorno A la chiesa che prega o al cimitero Che tace, o noci de la Carnia, addio! Erra tra i vostri rami il pensier mio Sognando l'ombre d'un tempo che fu. Non paure di morti ed in congreghe Diavoli goffi con bizzarre streghe, Ma del comun la rustica virtú Accampata a l'opaca ampia frescura Veggo ne la stagion de la pastura Dopo la messa il giorno de la festa. Il consol dice, e poste ha pria le mani Sopra i santi segnacoli cristiani: - Ecco, io parto fra voi quella foresta D'abeti e pini ove al confin nereggia. E voi trarrete la mugghiante greggia E la belante a quelle cime là. E voi, se l'unno o se lo slavo invade, Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade, Morrete per la nostra libertà. - Un fremito d'orgoglio empieva i petti, Ergea le bionde teste; e de gli eletti In su le fronti il sol grande feriva. Ma le donne piangenti sotto i veli Invocavan la madre alma dè cieli. Con la man tesa il console seguiva: - Questo, al nome di Cristo e di Maria, Ordino e voglio che nel popol sia. - A man levata il popol dicea, Sí. E le rosse giovenche di su 'l prato Vedean passare il piccolo senato, Brillando su gli abeti il mezzodí.
Te redimito di fior purpurei april te vide su 'l colle emergere da 'l solco di Romolo torva riguardante su i selvaggi piani: te dopo tanta forza di secoli aprile irraggia, sublime, massima, e il sole e l'Italia saluta te, Flora di nostra gente, o Roma. Se al Campidoglio non più la vergine tacita sale dietro il pontefice né più per Via Sacra il trionfo piega i quattro candidi cavalli, questa del Fòro tua solitudine ogni rumore vince, ogni gloria; e tutto che al mondo è civile, grande, augusto, egli è romano ancora. Salve, dea Roma! Chi disconósceti cerchiato ha il senno di fredda tenebra, e a lui nel reo cuore germoglia torpida la selva di barbarie. Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi del Fòro, io seguo con dolci lacrime e adoro i tuoi sparsi vestigi, patria, diva, santa genitrice. Son cittadino per te d'Italia, per te poeta, madre de i popoli, che desti il tuo spirito al mondo, che Italia improntasti di tua gloria. Ecco, a te questa, che tu di libere genti facesti nome uno, Italia, ritorna, e s'abbraccia al tuo petto, affisa nè tuoi d'aquila occhi. E tu dal colle fatal pe 'l tacito Fòro le braccia porgi marmoree, a la figlia liberatrice additando le colonne e gli archi: gli archi che nuovi trionfi aspettano non più di regi, non più di cesari, e non di catene attorcenti braccia umane su gli eburnei carri; ma il tuo trionfo, popol d'Italia, su l'età nera, su l'età barbara, su i mostri onde tu con serena giustizia farai franche le genti. O Italia, o Roma! Quel giorno, placido tornerà il cielo su 'l Fòro, e cantici di gloria, di gloria, di gloria correran per l'infinito azzurro.
Là in Maremma ove fiorio la mia triste primavera, là rivola il pensier mio con i tuoni e la bufera: là nel cielo librarmi la mia patria a riguardar, poi co'l tuon vò sprofondarmi tra quei colli ed in quel mar.
L'albero a cui tendevi la pargoletta mano, il verde melograno Da' bei vermigli fiori Nel muto orto solingo Rinverdì tutto or ora, E giugno lo ristora Di luce e di calor. Tu fior de la mia pianta Percossa e inaridita, Tu de l'inutil vita Estremo unico fior, Sei ne la terra fredda, Sei ne la terra negra; Né il sol piú ti rallegra Né ti risveglia amor.
Odio l'usata poesia: concede comoda al vulgo i flosci fianchi e senza palpiti sotto i consueti amplessi stendesi e dorme. A me la strofe vigile, balzante co 'l plauso e 'l piede ritmico nè cori: per l'ala a volo io còlgola, si volge ella e repugna. Tal fra le strette d'amator silvano torcesi un'evia su 'l nevoso Edone: più belli i vezzi del fiorente petto saltan compressi, e baci e strilli su l'accesa bocca mesconsi: ride la marmorea fronte al sole, effuse in lunga onda le chiome fremono à venti.
La nebbia agli irti colli Piovigginando sale, E sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; Ma per le vie del borgo Dal ribollir dè tini Va l'aspro odor de i vini L'anime a rallegrar. Gira sù ceppi accesi Lo spiedo scoppiettando: Sta il cacciator fischiando Su l'uscio a rimirar Tra le rossastre nubi Stormi d'uccelli neri, Com'esuli pensieri, Nel vespero migrar.
Sognai, placide cose dè miei novelli anni sognai. Non più libri: la stanza dal sole di luglio affocata, rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato da la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli, cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.