Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Hai chiuso gli occhi

Nasce una notte
piena di finte buche,
di suoni morti
come di sugheri
di reti calate nell'acqua.

Le tue mani si fanno come un soffio
d'inviolabili lontananze,
inafferrabili come le idee.

E l'equivoco della luna
e il dondolio, dolcissimi,
se vuoi posarmele sugli occhi,
toccano l'anima.

Sei la donna che passa
come una foglia.

E lasci agli alberi un fuoco d'autunno.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    12 Settembre 1966

    Sei comparsa al portone
    in un vestito rosso
    per dirmi che sei fuoco
    che consuma e riaccende.

    Una spina mi ha punto
    delle tue rose rosse
    perché succhiassi al dito,
    come già tuo, il mio sangue.

    Percorremmo la strada
    che lacera il rigoglio
    della selvaggia altura,
    ma già da molto tempo
    sapevo che soffrendo con temeraria fede,
    l'età per vincere non conta.

    Era di lunedì,
    per stringerci le mani
    e parlare felici
    non si trovò rifugio
    che in un giardino triste
    della città convulsa.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Il comune rustico

      O che tra faggi e abeti erma su i campi
      Smeraldini la fredda ombra si stampi
      Al sole del mattin puro e leggero,
      O che foscheggi immobile nel giorno
      Morente su le sparse ville intorno
      A la chiesa che prega o al cimitero
      Che tace, o noci de la Carnia, addio!
      Erra tra i vostri rami il pensier mio
      Sognando l'ombre d'un tempo che fu.
      Non paure di morti ed in congreghe
      Diavoli goffi con bizzarre streghe,
      Ma del comun la rustica virtú
      Accampata a l'opaca ampia frescura
      Veggo ne la stagion de la pastura
      Dopo la messa il giorno de la festa.
      Il consol dice, e poste ha pria le mani
      Sopra i santi segnacoli cristiani:
      - Ecco, io parto fra voi quella foresta
      D'abeti e pini ove al confin nereggia.
      E voi trarrete la mugghiante greggia
      E la belante a quelle cime là.
      E voi, se l'unno o se lo slavo invade,
      Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade,
      Morrete per la nostra libertà. -
      Un fremito d'orgoglio empieva i petti,
      Ergea le bionde teste; e de gli eletti
      In su le fronti il sol grande feriva.
      Ma le donne piangenti sotto i veli
      Invocavan la madre alma dè cieli.
      Con la man tesa il console seguiva:
      - Questo, al nome di Cristo e di Maria,
      Ordino e voglio che nel popol sia. -
      A man levata il popol dicea, Sí.
      E le rosse giovenche di su 'l prato
      Vedean passare il piccolo senato,
      Brillando su gli abeti il mezzodí.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        La madre

        Lei certo l'alba che affretta rosea
        al campo ancora grigio gli agricoli
        mirava scalza co 'l piè ratto
        passar tra i roridi odor del fieno.

        Curva su i biondi solchi i larghi omeri
        udivan gli olmi bianchi di polvere
        lei stornellante su 'l meriggio
        sfidar le rauche cicale a i poggi.

        E quando alzava da l'opra il turgido
        petto e la bruna faccia ed i riccioli
        fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,
        coloraro ignei le balde forme.

        Or forte madre palleggia il pargolo
        forte; da i nudi seni già sazio
        palleggialo alto, e ciancia dolce
        con lui che à lucidi occhi materni

        intende gli occhi fissi ed il piccolo
        corpo tremante d'inquïetudine
        e le cercanti dita: ride
        la madre e slanciasi tutta amore.

        A lei d'intorno ride il domestico
        lavor, le biade tremule accennano
        dal colle verde, il büe mugghia,
        su l'aia il florido gallo canta.

        Natura a i forti che per lei spregiano
        le care a i vulghi larve di gloria
        cosí di sante visïoni
        conforta l'anime, o Adrïano:

        onde tu al marmo, severo artefice,
        consegni un'alta speme de i secoli.
        Quando il lavoro sarà lieto?
        Quando securo sarà l'amore?

        Quando una forte plebe di liberi
        dirà guardando nel sole - Illumina
        non ozi e guerre a i tiranni,
        ma la giustizia pia del lavoro?
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          L'annuale della fondazione di Roma

          Te redimito di fior purpurei
          april te vide su 'l colle emergere
          da 'l solco di Romolo torva
          riguardante su i selvaggi piani:
          te dopo tanta forza di secoli
          aprile irraggia, sublime, massima,
          e il sole e l'Italia saluta
          te, Flora di nostra gente, o Roma.
          Se al Campidoglio non più la vergine
          tacita sale dietro il pontefice
          né più per Via Sacra il trionfo
          piega i quattro candidi cavalli,
          questa del Fòro tua solitudine
          ogni rumore vince, ogni gloria;
          e tutto che al mondo è civile,
          grande, augusto, egli è romano ancora.
          Salve, dea Roma! Chi disconósceti
          cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
          e a lui nel reo cuore germoglia
          torpida la selva di barbarie.
          Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
          del Fòro, io seguo con dolci lacrime
          e adoro i tuoi sparsi vestigi,
          patria, diva, santa genitrice.
          Son cittadino per te d'Italia,
          per te poeta, madre de i popoli,
          che desti il tuo spirito al mondo,
          che Italia improntasti di tua gloria.
          Ecco, a te questa, che tu di libere
          genti facesti nome uno, Italia,
          ritorna, e s'abbraccia al tuo petto,
          affisa nè tuoi d'aquila occhi.
          E tu dal colle fatal pe 'l tacito
          Fòro le braccia porgi marmoree,
          a la figlia liberatrice
          additando le colonne e gli archi:
          gli archi che nuovi trionfi aspettano
          non più di regi, non più di cesari,
          e non di catene attorcenti
          braccia umane su gli eburnei carri;
          ma il tuo trionfo, popol d'Italia,
          su l'età nera, su l'età barbara,
          su i mostri onde tu con serena
          giustizia farai franche le genti.
          O Italia, o Roma! Quel giorno, placido
          tornerà il cielo su 'l Fòro, e cantici
          di gloria, di gloria, di gloria
          correran per l'infinito azzurro.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Pianto antico

            L'albero a cui tendevi
            la pargoletta mano,
            il verde melograno
            Da' bei vermigli fiori
            Nel muto orto solingo
            Rinverdì tutto or ora,
            E giugno lo ristora
            Di luce e di calor.
            Tu fior de la mia pianta
            Percossa e inaridita,
            Tu de l'inutil vita
            Estremo unico fior,
            Sei ne la terra fredda,
            Sei ne la terra negra;
            Né il sol piú ti rallegra
            Né ti risveglia amor.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Preludio

              Odio l'usata poesia: concede
              comoda al vulgo i flosci fianchi e senza
              palpiti sotto i consueti amplessi
              stendesi e dorme.
              A me la strofe vigile, balzante
              co 'l plauso e 'l piede ritmico nè cori:
              per l'ala a volo io còlgola, si volge
              ella e repugna. Tal fra le strette d'amator silvano
              torcesi un'evia su 'l nevoso Edone:
              più belli i vezzi del fiorente petto
              saltan compressi,
              e baci e strilli su l'accesa bocca
              mesconsi: ride la marmorea fronte
              al sole, effuse in lunga onda le chiome
              fremono à venti.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                San Martino

                La nebbia agli irti colli
                Piovigginando sale,
                E sotto il maestrale
                urla e biancheggia il mar;
                Ma per le vie del borgo
                Dal ribollir dè tini
                Va l'aspro odor de i vini
                L'anime a rallegrar.
                Gira sù ceppi accesi
                Lo spiedo scoppiettando:
                Sta il cacciator fischiando
                Su l'uscio a rimirar
                Tra le rossastre nubi
                Stormi d'uccelli neri,
                Com'esuli pensieri,
                Nel vespero migrar.
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