Poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Eolia

Lina, brumaio torbido inclina,
Ne l'aer gelido monta la sera:
E a me ne l'anima fiorisce, o Lina,
La primavera.
In lume roseo, vedi, il nivale
Fedriade vertice sorge e sfavilla,
E di Castalia l'onda vocale
Mormora e brilla.
Delfo a' suoi tripodi chiaro sonanti
Rivoca Apolline co' nuovi soli,
Con i virginei peana e i canti
De' rusignoli.
Da gl'iperborei lidi al pio suolo
Ei riede, a' lauri dal pigro gelo:
Due cigni il traggono candidi a volo:
Sorride il cielo.
Al capo ha l'aurea benda di Giove;
Ma nel crin florido l'aura sospira
E con un tremito d'amor gli move
In man la lira.
D'intorno girano come in leggera
Danza le Cicladi patria del nume,
Da lungi plaudono Cipro e Citera
Con bianche spume.
E un lieve il séguita pe 'l grande Egeo
Legno, a purpuree vele, canoro:
Armato règgelo per l'onde Alceo
Dal plettro d'oro.
Saffo dal candido petto anelante
A l'aura ambrosia che dal dio vola,
Dal riso morbido, da l'ondeggiante
Crin di viola,
In mezzo assidesi. Lina, quieti
I remi pendono: sali il naviglio.
Io, de gli eolii sacri poeti
Ultimo figlio,
Io meco traggoti per l'aure achive:
Odi le cetere tinnir: montiamo:
Fuggiam le occidue macchiate rive,
Dimentichiamo.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Agli amici della valle tiberina

    Pur da queste serene erme pendici
    D'altra vita al rumor ritornerò;
    Ma nel memore petto, o nuovi amici,
    Un desio dolce e mesto io porterò.
    Tua verde valle ed il bel colle aprico
    Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor;
    Bulciano, albergo di baroni antico,
    Or di libere menti e d'alti cor.
    E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi
    Discendendo da i balzi d'Apennin,
    Come gigante che svegliato tardi
    S'affretta in caccia e interroga il mattin,
    Tu ancor m'arridi. E, quando a i freschi venti
    Di su l'aride carte anelerà
    L'anima stanca, a voi, poggi fiorenti,
    Balze austere e felici, a voi verrà.
    Fiume famoso il breve piano inonda;
    Ama la vite i colli; e, a rimirar
    Dolce, fra verdi querce ecco la bionda
    Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar.
    De i vecchi prepotenti in su gli spaldi
    Pasce la vacca e mira lenta al pian;
    E de le torri, ostello di ribaldi,
    Crebbe l'utile casa al pio villan.
    Dove il bronzo dè frati in su la sera
    Solo rompeva, od accrescea, l'orror,
    Croscia il mulino, suona la gualchiera
    E la canzone del vendemmiator.
    Coraggio, amici. Se di vive fonti
    Corse, tocco dal santo, il balzo alpin,
    A voi saggi ed industri i patrii monti
    Iscaturiscan di fumoso vin:
    Del vin ch'edúca il forte suolo amico
    Di ferro e zolfo con natia virtú:
    Col quale io libo al padre Tebro antico,
    Al Tebro tolto al fin di servitù.
    Fiume d'Italia, a le tue sacre rive
    Peregrin mossi con devoto amor
    Il tuo nume adorando, e de le dive
    Memorie l'ombra mi tremava in cor.
    E pensai quanto i tuoi clivi Tarconte
    Coronato pontefice salì,
    E, fermo l'occhio nero a l'orizzonte,
    Di leggi e d'armi il popol suo partì;
    E quando la fatal prora d'Enea
    Per tanto mar la foce tua cercò,
    E l'aureo scudo de la madre dea
    In su l'attonit'onde al sol raggiò;
    E quando Furio e l'arator d'Arpino,
    Imperador plebeo, tornava a te,
    E coprivan l'altar capitolino
    Spoglie di galli e di tedeschi re.
    Fiume d'Italia, e tu l'origin traggi
    Da questa Etruria ond'è ogni nostro onor;
    Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi,
    L'agnel ti salta e túrbati il pastor.
    Meglio cosí, che tra marmoree sponde
    Patir l'oltraggio dè chercuti re,
    E con l'orgoglio de le tumid'onde
    L'orme lambire d'un crociato piè.
    Volgon, fiume d'Italia, omai tropp'anni
    Che la vergogna dura: or via, non piú.
    Ecco, un grido io ti do - Morte à tiranni -;
    Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu.
    Portal con suono ch'ogni suon confonda,
    Portal con le procelle d'Apennin,
    Portalo, o fiume; e un'eco ti risponda
    Dal gran monte plebeo, da l'Aventin.
    Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta:
    Allor chi fia che la vorrà infrenar ?
    Cento schiere di prodi a la vendetta
    Da le tue valli verran teco al mar.
    Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se piú tardi,
    Romito e taumaturgo esser vorrò:
    Da la faccia dè rei figli codardi
    Ne le tombe dè padri io fuggirò.
    Con l'arti vò che cielo o inferno insegna
    Da questi monti il foco isprigionar,
    E fiamme in vece d'acqua a Roma indegna,
    Al Campidoglio vile io vò mandar.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Ideale

      Poi che un sereno vapor d'ambrosia
      da la tua coppa diffuso avvolsemi,
      o Ebe con passo di dea
      trasvolata sorridendo via;
      non più del tempo l'ombra o de l'algide
      cure su 'l capo mi sento; sentomi,
      o Ebe, l'ellenica vita
      tranquilla ne le vene fluire.
      E i ruinati giù pe 'l declivio
      de l'età mesta giorni risursero,
      o Ebe, nel tuo dolce lume
      agognanti di rinnovellare;
      e i novelli anni da la caligine
      volenterosi la fronte adergono,
      o Ebe, al tuo raggio che sale
      tremolando e roseo li saluta.
      A gli uni e gli altri tu ridi, nitida
      stella, da l'alto. Tale ne i gotici
      delùbri, tra candide e nere
      cuspidi rapide salïenti
      con doppia al cielo fila marmorea,
      sta su l'estremo pinnacol placida
      la dolce fanciulla di Jesse
      tutta avvolta di faville d'oro.
      Le ville e il verde piano d'argentei
      fiumi rigato contempla aerea,
      le messi ondeggianti nè campi,
      le raggianti sopra l'alpe nevi:
      a lei d'intorno le nubi volano;
      fuor de le nubi ride ella fulgida
      a l'albe di maggio fiorenti,
      a gli occasi di novembre mesti.



      Di Giosuè Carducci:.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Rubai

        È l'alba. S'illumina il mondo
        come l'acqua che lascia cadere sul fondo
        le sue impurità. E sei tu, all'improvviso
        tu, mio amore, nel chiarore infinito
        di fronte a me.

        Giorno d'inverno, senza macchia, trasparente
        come vetro. Addentare la polpa candida e sana
        d'un frutto. Amarti, mia rosa, somiglia
        all'aspirare l'aria in un bosco di pini.

        Chi sa, forse non ci ameremmo tanto
        se le nostre anime non si vedessero da lontano
        non saremmo così vicini, chi sa,
        se la sorte non ci avesse divisi.

        È così, mio usignolo, tra te e me
        c'è solo una differenza di grado:
        tu hai le ali e non puoi volare
        io ho le mani e non posso pensare.

        Finito, dirà un giorno madre Natura
        finito di ridere e di piangere
        e sarà ancora la vita immensa
        che non vede non parla non pensa.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Come hanno fatto a me

          Ti racconteranno la storia
          e col passare del tempo
          ti benderanno gli occhi,
          come hanno fatto a me.

          Ti mostreranno l'ascia
          e passato un po' di tempo
          ti nasconderanno l'albero,
          come hanno fatto a me.

          Non ti serve a nulla sapere la verità
          e avere ragione,
          se quando gridi sai che
          non ti ascoltano più.

          Ti chiederanno di giurare
          ti chiederanno di marciare
          ti chiederanno le stesse cose
          come hanno fatto a me.

          Diranno che è tutto tuo
          e se tenti di cambiarlo
          ti pesteranno più forte
          come hanno fatto a me.

          Non ti serve a nulla sapere la verità
          e avere ragione,
          se quando gridi sai che
          non ti ascoltano più.

          Ti racconteranno la storia
          e col passare del tempo
          ti benderanno gli occhi,
          come hanno fatto a me.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Non è un cuore

            Non è un cuore, perdio, è un sandalo di pelle di bufalo
            che cammina, incessantemente, cammina
            senza lacerarsi
            va avanti
            su sentieri pietrosi.

            Una barca passa davanti a Varna
            "Ohilà, figli d'argento del Mar Nero! "
            una barca scivola verso il Bosforo
            Nazim dolcemente carezza la barca
            e si brucia le mani.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Ella giaceva come se per gioco

              Ella giaceva come se per gioco
              la sua vita se ne fosse andata
              in un balzo, decisa a ritornare,
              però non così presto.

              Le sue braccia felici abbandonate,
              come se nella pausa del trastullo avessero scordato
              per un attimo di riprendere il gioco.

              I suoi mobili occhi semiaperti,
              come se in essi la loro padrona
              ancora scintillasse, solamente
              per burlarsi di voi.

              Il suo mattino lì, dietro la porta,
              a escogitare un modo - son sicura -
              per forzare il suo sonno
              così lieve e profondo.
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